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Gabriele Landi: Ciao Renzogallo, per iniziare questa conversazione mi piacerebbe chiederti se anche per te, così come avviene per molti artisti, l’infanzia e le sue molteplici esperienze reali ed immaginifiche hanno avuto un ruolo nello sviluppo del tuo lavoro?
Renzogallo: La mia infanzia? Non è un periodo della mia vita ma la vera fornace in cui si è temprata la mia curiosità e da cui ho sempre tratto gli stimoli a produrre quelle emozioni e sensazioni che solo nell’arte si possono verificare. Ho avuto la fortuna, per me è stato così, di nascere da una modesta famiglia in una parte di Roma che allora era campagna e ora zona elevata al rango di zona di un certo prestigio. Allora strade dissestate, piccole valli profonde e misteriose, agglomerati di poche abitazioni e tra queste una misteriosa e ricchissima villa con un grande parco, oggi convento di suore, il nostro castello dei misteri. Da ogni cosa si poteva ricavare nuovo stupore, prati e fiori erano il nostro letto dove sdraiarsi per riconoscere, cosa sicuramente comune a tutti, la forma delle nuvole sopra di noi come animali o altro.
Corse per scoprire il territorio, il nostro e quello degli “altri oltre la valle”, poi dietro agli alberi, nel costone, scavando con un piccone (preso in prestito ?!) piccole grotte-rifugio, con democratici turni di lavoro, dove costruire nuovi giochi e infantili azioni teatrali. Spettatori i nostri amici inseparabili, quasi tutti avevamo dei cani. Correvamo con le nostre armi inventate, che solo gli occhi di un bambino possono vedere come oggetto minaccioso, verso gli altri piccoli aggregati di case, al di là della valle o oltre il campo di grano, nascondiglio perfetto per noi, per scoprire qualcosa di nuovo,
provando stimolanti emozioni, compresa la paura, talvolta. Tutto era motivo di scoperta e di meraviglia, la natura e noi eravamo in simbiosi in un creativo rapporto sempre nuovo e stimolante. Lo spazio e la luce determinavano la mia giornata e il colore dei fiori, delle ali delle piccole cavallette e degli uccelli ne arricchivano il senso. Avevo inventato un gioco a cui avevo dato il nome di “Tesori” che, con i miei compagni di infanzia si praticava spesso. Il gioco
consisteva nello scavare in una zona terrosa delle piccole buche di circa 10 cm di diametro dove ogni partecipante doveva creare una composizione con piccoli oggetti: fiori, tappi di bottiglia, foglie,
bottoni e quant’altro fosse reperibile. In queste veniva poggiato un piccola lastrina di vetro trovata in una serra vicina e si ricopriva il tutto con nuova terra e nulla era più visibile. Ora era il momento della magia: uno di noi, durante l’operazione, doveva restare lontano dal luogo, ignaro di quanto si stesse facendo, quindi veniva chiamato, in veste di giudice, e invitato a scoprire questi tesori muovendo sulla terra un dito in moto circolare fino a scoprire il vetrino e ciò che era visibile al di sotto di questo. La cosa non era semplice perché le piccole buche erano distanziate tra loro e il tempo impiegato per scoprirle era riempito dalle risate di tutti e dalle false indicazioni suggerite dai partecipanti al gioco. Una volta scoperti tutti i tesori, il giudice cercatore assumeva il ruolo di critico e doveva stabilire quale fosse il più bello il cui autore avrebbe avuto, come premio, di essere il nuovo giudice nel gioco successivo. Un alternarsi di ruoli da artista a critico e viceversa. Uno stato emozionale costante in cui la creatività veniva stimolata continuamente galleggiando nel mistero. Penso che ho sempre continuato a fare la stessa cosa.
Gabriele Landi: Il piacere della scoperta, la meraviglia, la curiosità ti accompagnano anche ora?
Renzogallo: Certamente il piacere della scoperta, la meraviglia e la curiosità continuano a comporre la struttura primaria del lavoro ma, a queste, si aggiunge una infinità di nuovi strumenti e mezzi operativi che hanno nel tempo ampliato e modificato le pulsioni primarie dell’infanzia per allargare i campi di indagine. tutto cambia nel percorso di una vita, anche facendo la stessa cosa, questa è diversa, se non altro perché realizzata in altro momento, in altro luogo, con altra luce, con tensione diversa e, principalmente, con aspettative diverse sul suo destino. Ciò che resta sempre identico è l’identità originaria di chi compie l’azione. Identità non facilmente riconoscibile poiché questa si trova nel fondo, all’origine della cosa fatta e non nel suo aspetto finale che, come detto precedentemente, cambia continuamente ma senza perdere la presa sulla realtà della partita che si sta giocando. Se da un gioco si è partiti in origine in un gioco ci si ritrova ancora. In un gioco serio, responsabile, consapevoli della sua profonda importanza immateriale. Sbagliando, talvolta fortunatamente, cosa che ci restituisce ad una umana appartenenza.
Il viaggio dall’istinto alla ragione, anzi all’educazione della ragione meglio, non è stato certamente facile. Il primo volo finisce quasi sempre con una caduta educativa a terra. Le varie difficoltà che ho potuto incontrare sono state il carburante della mia crescita, il potere della costrizione è, credo, una grande spinta verso la creatività, alimenta il coraggio e l’assunzione di rischio nel compiere una qualsiasi azione artistica contro il ricatto della realtà materiale. La consapevolezza della presenza ingombrante di due componenti contrastanti ( razionalità e intuito) ha prodotto uno schizzofrenico compromesso che ha totalmente destabilizzato il problema: ho deciso che razionalità e intuito sono la stessa cosa in forma completamente diversa e in alternanza operativa (a seconda del caso) o collaborando contemporaneamente. Secondo il caso, dicevo, poiché il caso è l’elemento esterno a cui bisogna prestare molta attenzione e che può determinare ogni percorso. Ma questo è un altro argomento.
Gabriele Landi: Sei convinto che il caso esista d’avvero?
Renzogallo: O credi nel caso o credi in Dio.
I Gabriele Landi: n questi giorni sto conducendo un’indagine in cui ho coinvolto molte persone che in qualche modo si lega a gli argomenti di cui stiamo discutendo.
La domanda é questa
Secondo te il sacro ha ancora una sua importanza nell’arte di oggi e nel mondo in cui viviamo?
Renzogallo: Se per “sacro” si intende un riferimento diretto ad una qualsiasi religione credo proprio che questo non rientri negli interessi generali delle attività artistiche se non per rappresentazioni attinenti al rito della specifica religione. In questo caso l’opera assume valore di simbolo specifico, strumento del rito stesso.
Se invece si intende “sacro” come valore trascendente, metafisico, incomprensibile razionalmente ma percepibile come valore oltre il reale e in grado di essere “sentito” esclusivamente attraverso vari stati emozionali, questo è strettamente collegato alla creazione artistica e al mistero che in essa alberga. L’attività artistica si pone fuori dalla ragione materiale, trascendente ogni attività profana. Credo che ogni artista senta nel suo operare, nel rito del suo operare, qualcosa che va oltre ogni propria possibilità di comprensione razionale: è l’autore e contemporaneamente il fruitore di quella misteriosa particolare emozione provocata dal suo fare che può considerarsi trascendente, sacra.
Gabriele Landi: Caro Renzogallo ti chiedo di raccontarmi i rituali che quotidianamente che ti trasportano nella dimensione del tuo lavoro?
Renzogallo: No, non esiste alcun rituale che mi trasporti nella dimensione del mio lavoro poiché questa dimensione è costante per me nel quotidiano. Comunque non lo chiamerei lavoro. In realtà il mio “lavoro” non si discosta dalla vita, quella comune, di ogni giorno. In ogni momento il pensiero continuo di quello che sto facendo nello studio si mescola con gesti normali, che chiunque compie quotidianamente, in uno schizzofrenico crogiuolo dove i pensieri giocano altalenanti, tra serio e leggero, in una complessa giostra da cui, talvolta fortunatamente scaturiscono oggetti, progetti, storie, sogni, appunti, tanti appunti, per la maggior parte destinati ad essere dimenticati o ripescati dopo un tempo così lungo da sembrare così nuovi da crederli nati solo in quel momento.
Non esiste differenza di comportamento tra le azioni che normalmente compio nella vita quotidiana e la parte, diciamo così, realizzativa, forse meglio dire oggettuale, “strettamente artistica”. Non ho mai la sensazione di andare a fare un lavoro, faccio qualcosa che riguarda il mio modo di vivere, come preparare nella mia cucina un piatto che spero risulti buono, nuovo, stimolante, o leggere un buon libro che talvolta riprendo a più riprese perché mi viene in mente che vi era qualcosa di importante che non ricordo, un pensiero che magari è ormai diventato mio ma che ha bisogno di essere rafforzato, ben digerito, collaudato.
L’unico rito che considero tale (e qui si può parlare di sacro) è quello dopo il risveglio mattutino della pulizia del mio corpo, una purificante doccia bollente propedeutica per una nuova giornata fredda o, anch’essa, bollente.
Lorenzo Gallo nasce a Roma nel 1943. Sin dai primi anni della sua formazione possiede una prospettiva internazionale, che lo conduce dalla capitale (dove poi tornerà per terminare gli studi classici e artistici) a Belgrado e a Madrid, dove si reca grazie a una borsa di studio per scambi culturali erogata dai Ministeri degli Affari Esteri e da quello della Pubblica Istruzione. A Madrid, nel 1965, realizza la sua prima personale, presso la Residencia de Relaciones Culturales. Proseguendo verso Barcellona e Parigi, la sua maturazione artistica si arricchisce grazie all’architettura e al design. Dal miglior panorama romano provengono alcuni dei suoi maestri: Giuseppe Capogrossi, Giulio Turcato, Afro e Gastone Novelli che lo introdurrà alla galleria II Ferro di Cavallo: è il 1967, anno della prima esposizione a Roma. Il contatto con le avanguardie dell’astrattismo italiano permette a Lorenzo Gallo di sviluppare la propria cifra espressiva, prima pittorica, poi ambientale, fatta di lucidità analitica e pulsione fantastica e sintetizzata in una struttura a maglia quadra, con minime varianti nel segno e poche grammature di colore. Trascorrono venti anni, per mutare il proprio nome in Renzogallo, ampliare l’azione creativa fino a coinvolgere lo spazio e il paesaggio e appropriarsi delle grandi dimensioni. All’attività espositiva internazionale l’artista affianca la docenza, prima nei licei, poi nelle università: dal 2005 al 2017, con la discontinuità richiesta da numerose iniziative e incarichi, insegna presso la facoltà di architettura della Sapienza Università di Roma; fra i suoi corsi si annoverano “Forme e strutture dello spazio” e “Progettazione artistica per l’ambiente e il paesaggio”.

345 gradi Nord 2006-2012 Arte-Natura L’Olimpo, Villa Santa Maria (Chieti)

Elogio della Lentezza 2021 Sculture in Campo – Bassano in Teverina (VT)

Incontro 2000 Fondazione Volume Roma

L’Incontro 2019 Via Francigena San Lorenzo Nuovo (VT)

MARE 1990 Epikentro Art Center Patras

Mirare al bersaglio che ti sta mirando 1992 Museo Macro Roma

