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Gabriele Landi: Buona sera Giorgio come nasce e da dove viene il suo interesse per l’arte ?
Giorgio Verzotti: l’interesse… viene per caso. Io avevo interesse per il teatro, coltivato fin dai tempi del ginnasio. Mi ero iscritto alla Statale di Milano e lì un corso di Storia del Teatro non c’era, erano gli anni settanta esistevano però i corsi di quelli che noi chiamavamo i Docenti Democratici. Docenti che facevano seminari sperimentali, eravamo a ridosso del’68, sarà stato il 72, il 73, mi sono laureato nel 1977 quindi… Fra questi corsi esisteva quello di Storia della Critica d’Arte tenuto da Marisa Dalai Emiliani. Ricordo che il primo giorno di lezione, quando si presentavano i vari seminari tenuti dagli assistenti, io da studente proposi un seminario “autogestito” sul teatro; la cosa ebbe subito un suo riscontro positivo da parte di alcuni studenti. Nei successivi tre anni quindi, grazie a quella proposta, mi sono ricavato un ruolo di punto di riferimento per tutti gli studenti che volevano seguire il seminario sul teatro contemporaneo. Al momento della tesi la Dalai mi disse, se ti vuoi laureare con me non puoi fare una tesi sul teatro devi trovare qualcosa di intermedio! Prendi in considerazione la Body Art! E’ uscito ora il libro di Lea Vergine, sull’argomento, potrebbe essere una buona strada da percorrere. Io non ne sapevo nulla … o meglio si qualcosa conoscevo, Merce Cunningham ad esempio e altri artisti che avevano un forte legame con quella che si chiamava allora scrittura scenica. All’epoca seguivo una rivista che portava lo stesso nome”Scrittura Scenica” su cui scrivevano Giuseppe Bartolucci e seguivo l’avanguardia teatrale italiana: Falso Movimento con Mario Martone, Kripton, La Gaja Scienza, Magazzini Criminali… tutti questi avevano conoscenze dirette con gli artisti della Body Art come Vito Acconci, Gina Pane… e fu infatti anche grazie ai loro consigli che iniziai ad occuparmi di questo mondo. Cosi feci la tesi sulla Body Art! Dopo di che iniziai ad inserirmi nel mondo dell’arte, iniziando a lavorare come assistente di Luciano Inga Pin alla galleria Diagramma, che si era occupata proprio di body art, con le prime mostre di Gina Pane e Marina Abramovic. Un giorno ricevetti una telefonata da una mia collega, l’assistente della galleria di Nino Soldano, che mi disse che Giancarlo Politi stava cercando dei giovani per scrivere recensioni di mostre, per diecimila lire a recensione! Cosi telefono a Giancarlo e posso dire che tutto è cominciato da lì… La prima che feci fu scartata perché era troppo breve, troppo sintetica, mi spiegarono che dovevo essere più analitico dilungarmi di più nelle descrizioni… la mostra era quella di Domenico Bianchi da Françoise Lambert poi ne feci un’altra su Lawrence Weiner sempre da Françoise Lambert e poi su Mimmo Paladino da Toselli che all’epoca aveva lo spazio in via De Castilia, qui a Milano, che ora è un ristorante, era una bella villa con giardino che per un periodo è stato anche lo studio di Pier Paolo Calzolari e così ho cominciato…
Gabriele Landi: come aveva organizzato questo lavoro?
Giorgio Verzotti: Come uno studio in itinere in realtà, perché io non sapevo molto su questi artisti. Ogni vota che scrivevo una recensione dovevo studiare sui materiali che trovavo per esempio quando scrissi il pezzo su Weiner dovetti cercare quello che allora si trovava sull’arte concettuale… e cosi per tutto il resto, io conoscevo la Body Art il teatro la nuova danza, insomma quello che avevo studiato e che mi interessava maggiormente. Per farla breve io finito il liceo volevo fare il critico teatrale!
Gabriele Landi: e invece si è ritrovato critico d’arte!
Giorgio Verzotti: si io sono uno dei pochi che fa quello che ha studiato, faccio il critico d’arte laureato in storia della critica d’arte, pur non avendolo voluto dall’inizio.
Gabriele Landi: che in qualche modo è stato un compromesso?
Giorgio Verzotti: si si, in qualche modo si, perché già la tesi era una via di mezzo fra teatro e arte visiva, e inoltre la mia tesi in realtà era per metà un excursus storico artistico ma per metà era una sorta di saggio psicanalitico parafemminista e LGBT ante litteram. Era diviso in due, era una tesi fuori dall’ordinario. Eppure fu accettata e mi laureai con 110 e lode.
Gabriele Landi: Fatto salvo Lawrence Weiner e Calzolari i due nomi che mi ha nominato prima appartengono tutti ad una scena che in quegli anni si stava delineando…
Giorgio Verzotti: mah quando ho iniziato io la scena concettuale e poverista stava lasciando il posto alla Transavanguardia ed io ho cominciato a seguire il trend del momento, seguendo anche quegli artisti un po’ diversi da quella situazione ma neanche tanto lontani tipo Giuseppe Maraniello, Aldo Spoldi, Luciano Bartolini. Io non avevo nulla in contrario alla Transavanguardia tanto che Achille Bonito Oliva mi ha preso come suo pupillo a Milano e mi ha fatto scrivere sull’Avanti. Germano Celant invece era contro, e a me non mi considerava proprio, mi vedeva, sapeva chi ero ma mi salutava appena… Fino al 1987 io scrivevo le recensioni su Flash Art ma nulla più, avevo un lavoro come bibliotecario alla Braidense, il primo concorso che ho trovato dopo la laurea, avevo solo co/curato un Premio Suzzara con Massimo Carboni e Laura Cherubini…
Gabriele Landi: la paga per le recensioni era sempre 10 mila lire a recensione o nel frattempo Giancarlo Politi le aveva fatto un conguaglio…?
Giorgio Verzotti: ah Politi, eh no non pagava neanche regolarmente e la stessa cosa faceva Inga Pin e tanto meno Luigi De Ambrogi con cui ho lavorato l’anno successivo! No, soldi se ne vedevano pochi…. Oltre a Flash Art scrivevo su G7 la rivista di Ginevra Grigolo a Bologna, dove ho pubblicato una parte della tesi, e su Segno. Poi come ho detto prima con Achille e poi con Barilli scrivevo sull’Avanti, ma non facevo grandi cose, altri della mia generazione facevano di più erano più dinamici Gualdoni, Meneguzzo facevano molto più di me.
Gabriele Landi: accennava prima al 1987 cosa succede in quell’anno?
Giorgio Verzotti: Nel 1987 Giancarlo Politi mi chiama e mi dice che la Fondazione Lucio Fontana vuole dare due borse di studio per andare a lavorare per un anno al Centre G. Pompidou a Parigi o al Guggenheim Museum di New York ad una retrospettiva di Lucio Fontana, cercano uno stagista. Subito ho pensato questa è la mia occasione mi butto! A Parigi ho tre quarti della mia famiglia, il francese è la mia seconda lingua, così decido di andare. Sono rimasto li per 10 mesi, ho seguito l’organizzazione della mostra ed ho scritto anche un testo su Fontana e il sacro che fra l’altro è stato citato di recente ed ovviamente e stata l’occasione per imparare molte cose, il Pompidou era ed è un museo molto dinamico… Bene, un giorno passa per gli uffici Germano Celant che mi vede al lavoro, proprio Celant che fino a quel momento mi aveva snobbato deve aver pensato se è arrivato fin qui proprio un coglione non sarà… Germano era li perché stava allestendo il Corso del Coltello di Claes Oldenburg che aveva esposto a Venezia poco prima. Così iniziamo a parlare e ricorderò sempre le due cose che mi disse: “Fontana è la tua forza, la grande arte Italiana ti fara arrivare dappertutto, ricordati però che io sono diventato quello che sono grazie a vent’anni in America” in buona sostanza mi stimolava ad occuparmi della cultura italiana ma anche a esportarla, a diventare un interlocutore sulla scena artistica internazionale. Alla fine dello stage torno in Italia e dopo poco mi chiamano da Palazzo Grassi a Venezia dove c’erano appunto Germano Celant ed Ida Gianelli che lavoravano ad una mostra sull’arte Italiana e mi chiedono di fare tutta la parte didattica: le guide, i testi, le schede delle opere…
Gabriele Landi: sta parlando di quella mostra che ha quel grande catalogo con in copertina uno strano quadro con un cielo coperto da una specie di tovaglia…
Giorgio Verzotti: si! Si doveva trattare di una mostra fatta in due parti. La prima era quella sull’arte moderna fino al 1945 e la successiva doveva andare dal 1945 ad oggi. Per un problema, credo creato da Gianni Agnelli, la seconda parte non si è fatta. In tutti i casi Ida Gianelli era curatrice a Palazzo Grassi e mi ha chiesto di stilare questi testi didattici anche per la mostra bellissima di Andy Warhol ed un’altra sulla Collezione Guggenheim . Poi mi chiese un testo per una mostra sull’arte italiana “Memoria dal Futuro” portata da Venezia al Reina Sofia insomma cominciavo ad avere un certo riscontro nel settore. Ad un certo punto Ida lascia Palazzo Grassi per fare un rapido passaggio alla Fondazione Melotti e poi viene chiamata a dirigere il Castello di Rivoli siamo nel 1990 e mi chiede di continuare la collaborazione. Così comincio a scrivere le schede per esempio nella prima mostra che fece Arte Arti … In tutto questo io continuavo il mio lavoro alla Braidense facendo il pendolare da Milano a Venezia prima e poi a Torino mi ero solo spostato dalla Biblioteca Braidense a quella della Pinacoteca di Brera. Nel giro di poco Ida mi offre di fare il curatore a Rivoli e a tempo pieno, tu dici come puoi rifiutare una proposta simile accetto naturalmente prima chiedendo in Braidense una aspettativa non retribuita, come quando ero andato a Parigi, ma devo dire che sapevo che non sarei più tornato! Ci furono naturalmente grandi problemi per questa mia scelta i miei ricordo andarono su tutte le furie: “ Come lasci un lavoro statale sicuro per una situazione a contratto” … Insomma sono andato a Rivoli e ci sono rimasto per 11 anni e li ho fatto le cose più importanti della mia carriera. Ho imparato anche in questa occasione tante cose che non sapevo sull’organizzazione delle mostre. Fino a quel momento avevo fatto una mostra ricordo nel 1988 al PAC a Milano con Gregorio Magnani sulla fotografia poi una con Meneguzzo sempre li poi collaboravo con le riviste straniere insomma con Rivoli il mio nome finalmente veniva fuori per bene. Dopo 11 anni a Rivoli sono stato chiamato da Gabriella Belli al MaRT di Rovereto che stava aprendo in quegli anni. Gabriella aveva bisogno di un “head of exhibitions” e un esperto di arte contemporanea, essendo lei, come lei dice, una “modernista”, una studiosa specialista del primo Novecento e di Depero in particolatre. Accettare questo incarico è stato un errore di eccessiva autostima, avrei dovuto portare al MaRT le relazioni internazionali che avevo creato lavorando a Rivoli, ma ci sono riuscito solo in minima parte, e in quel senso il museo non è mai decollato. Il MaRT non è diventato un punto di riferimento per il sistema contemporaneo poi è cambiata la direzione ora c’è Sgarbi non ne parliamo!
Gabriele Landi: ed ora che fa?
Giorgio Verzotti: dal 2006 faccio il free-lance.
Gabriele Landi: Cercando notizie sulla sua attività più recente ho visto che oltre a seguire gli artisti molto noti lei lavora anche con artisti meno conosciuti, meno esposti. Questa è una novità per lei o è una cosa che ha sempre fatto?
Giorgio Verzotti: è una cosa che ho sempre fatto, anche pagandone le conseguenze. Per esempio quando ero a Rivoli mi ricordo che Maurizio Cattelan mi rimproverava perché mi occupavo anche di artisti secondo lui mediocri, senza futuro, senza riscontro internazionale . Questo è un discorso che io ho sempre sentito fare dai grandi direttori dei musei, dai grandi critici ed è sbagliato perché non dobbiamo solo correre sul carro del vincitore, anche se conviene a tutti! Facciamo le mostre dei Top Ten, ma esiste anche una schiera di artisti altrettanto bravi ma meno capaci di fare la cosa giusta al momento giusto o di fondare una moda o semplicemente di vendersi bene, ma che meritano altrettanto interesse. A Rivoli io ho provato a portare degli artisti di questo tipo ma mi hanno sempre detto no; al MaRT ho fatto lo stesso ma li poi era ancora più difficile perché si voleva sempre il grande nome “modernista”, il grande tema attrattivo… e allora sapete che c’è andate tutti a quel paese! Ho voluto provare io a fare queste cose da solo e tutti mi dicevano: “ E’ una follia se hai un museo rimani e combatti per fare queste cose li”, ma io non sono mai stato un combattente, non sono mai stato né competitivo né combattivo, cos’ ho deciso di andarmene ed ho sbagliato. Perché si, bisognava restare e combattere per aprire questi spazi ma insomma non si può essere diversi da quello che siamo. Infatti dal 2006 è stato tutto molto più complicato trovare uno spazio, trovare i soldi… In un momento di crisi come quello che abbiamo passato dal 2008 ad oggi, sono stato costretto a attenuare la mia visibilità, io avevo una bella visibilità internazionale, grazie a Ida Panicelli allora direttrice avevo cominciato a scrivere su Artforum, con cui collaboro ancora oggi. Grazie a queste relazioni anche negli Stati Uniti mi conoscevano ed è un livello che ho perso, ma pazienza non si torna indietro! Quindi per tornare sulla domanda io seguo quegli artisti che hanno avuto meno fortuna di altri ma che secondo me sono meritevoli di attenzione, ed ultimamente mi sto proprio occupando di loro insieme a dei nomi storici. Lo faccio soprattutto con le gallerie private o con gli spazzi no profit insomma quel tipo di realtà li. Poi ho fatto altre cose come un libro su Maro Merz, sono stato direttore della Fiera di Bologna cosi come diceva Achille ora a tua madre puoi dire che hai diretto qualcosa…
Gabriele Landi: Poi le si è occupato anche di insegnamento in Accademia!
Giorgio Verzotti: si ma sempre da ultima ruota del carro. Non ho mai fatto concorsi, sono cose che mi danno l’angoscia solo al pensiero! Ho lavorato sia all’università che in Accademia ma sempre da contrattista, senza potere decisionale, e pagato ad ore! Ma non mi lamento.
Gabriele Landi: In qualche modo lei coltiva la precarietà?
Giorgio Verzotti: (ride) sostanzialmente si! O se vogliamo sono autonomo senza padroni e senza padrini… oddio senza padrini… no io ne ho avuti diversi Politi, Achille, Germano non avrei fatto tutto quello che ho fatto senza il loro appoggio. Sono comunque stati sodalizi brevi, a causa di Artforum i rapporti con Politi si sono un po’rovinati, Achille sai dopo un pò diventa un elemento di confusione quindi è meglio lasciarlo perdere, Germano non c’è più, anche se da molto tempo non abbiamo più fatto niente insieme… Quindi direi precariato organizzato. Del resto anche a Rivoli o al MaRT ho sempre avuto la partita iva non sono mai entrato nello staff permanente, come dicevo a mio padre io voglio poter lavorare come voglio io senza l’obbligo delle ore d’ufficio e lui mi diceva troppo comodo! (ride) Però ci sono riuscito!
Gabriele Landi: beh una bella soddisfazione!
Giorgio Verzotti: si sicuramente, ma a patto di non guadagnare gran che!
Gabriele Landi: mi racconta qualcosa del suo interesse per la scultura?
Giorgio Verzotti: Ma è venuto dal fatto che… dicono tutti che io sono contro la pittura! Ricordo che quando nel 1997 con Gemano abbiamo fatto la Biennale a Venezia lui diceva abbiamo la nomea di essere un team contro la pittura ed infatti di pittori ce ne erano pochi in quella Biennale. Si è vero io preferisco l’installazione sono un tipo da installazione in verità io non ho nulla contro la pittura, se ci penso però gli artisti che ho seguito di più sono quasi tutti attivi sul fronte dell’installazione nemmeno poi veramente scultori.
Gabriele Landi: sono artisti che lavorano sulla pertinenza spaziale!
Giorgio Verzotti: si infatti il discorso che io volevo fare con la scultura è quello di un’arte che rinuncia alla sua materialità per aprirsi allo spazio fino a dipendere da esso, o diventando quasi immateriale, un lavoro che deriva da quello di Luciano Fabro per esempio e anche da Pistoletto e ovviamente da diversi altri precedenti, forse un’origine si può trovare in Rodin. Questa è un’impronta che viene dalle mie origini legate alla performance alla Body Art… che ora mi interessa meno, ma che mi ha lasciato la voglia di avvicinarmi a quegli artisti implicati con il corpo come misura dello spazio, con le materie manipolabili con le quali decostruiscono l’opera più che costruirla, e la pongono in relazione con lo spazio. Sono più vicino a quella dimensione che alla pittura analitica o anche al concettualismo in generale, anche se ne riconosco il valore. Anzi, Joseph Kosuth, Vincenzo Agnetti, Claudio Olivieri e Pino Pinelli sono stati dei riferimenti costanti nelle mie ricerche. Così ultimamente mi sono interessato a degli artisti non giovani che hanno un età compresa fra i 45 e i 50 anni, ancora oggi marginali rispetto al sistema, che però fanno delle cose molto interessanti, e grazie a questi artisti ne ho riscoperto altri che personalmente non avevo mai considerato ma che invece sono molto importanti come Eliseo Mattiacci o Paolo Icaro








