“Una brillante memoria” Conversazione a più voci con Caterina Sbrana, Gabriele Mallegni e Piero Gaglianò.

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Parola d’Artista: Ciao mi piacerebbe iniziare questa conversazione chiedendo a Caterina e a Gabriele come avete scoperto i segni dei colpi di arma da fuoco risalenti alla Seconda Guerra Mondiale su alcuni Palazzi di Pisa?


Gabriele Mallegni: Li abbiamo scoperti in una caldissima sera d’estate, passeggiando in una Pisa deserta, metafisica. Io, Caterina e Mina, la nostra canina. Avevamo sempre notato i segni lasciati dal conflitto, ma fu proprio quella sera che incominciammo a vederli con un altro occhio e a percepirne la potenzialità del messaggio.

Caterina Sbrana: Le lesioni della guerra ci sono apparse come un mistero, una micro-geografia all’interno della geografia più estesa della città. Non è un dettaglio che ci fosse Mina con noi, i cani seguono percorsi invisibili, apparentemente non tracciati.e anche noi come animali (che dunque siamo) stavamo tracciando inconsapevolmente un nuovo percorso all’interno della città.

Quasi tutti i progetti a cui lavoriamo insieme nascono passeggiando, da sempre il cammino è legato al pensiero che con il corpo si muove nel tempo e nello spazio. Ci piace camminare e parlare di quello che incontriamo, di quello che sfugge, di quello che non si vede e  provare a “cantare nuove mappe”.

Pd’A: L’idea di passeggiata, che mi sembra abbia molto a che fare anche con l’idea di perdersi, ritorna spesso nel vostro lavoro mi piacerebbe che ne parlaste più diffusamente?

Caterina Sbrana: Camminare è un modo di pensare, nel mondo antico il cammino era pensiero, elaborazione, cura per gli ammalati.

Potrei dire che Una brillante memoria è un lavoro peripatetico, che trova nel cammino origine e sviluppo. 

Il cammino ha un ruolo importante anche nella mia ricerca personale, fin dall’inizio fa parte del lavoro, è un momento di immersione nel paesaggio di raccolta di materiali e di idee, come nel lavoro iniziato nel 2008 in cui ogni hanno raccolgo capsule di papavero per tracciare mappe dei miei percorsi in cui si incontrano la geografia umana, animale e vegetale.

Le mappe, che da sempre studio e osservo, sono una delle più antiche forme di restituzione grafica, sono state tracciate sulle ossa, sull’argilla, sono state cantate con i suoni e la voce, sono un racconto di limiti e di confini, di paure e desideri.

Anche le lesioni delle bombe ci sono apparse come una mappa, una geografia da decifrare. Queste sono mappe che servono per perdersi, o meglio, per perdere il centro, per muoversi su percorsi marginali, eccentrici in senso letterale. Si scoprono molte cose durante quel particolare tipo di cammino che è la passeggiata, proprio perché non si cerca nulla di particolare, il più delle volte è senza scopo, la mancanza di scopo è spesso una cosa importante, fertile.

Una cosa interessante del passeggiare è che ci si muove in distanze brevi, ci si allontana e ci si avvicina alle cose.

Nel tempo della scomparsa del reale è un modo per riappropriarsi del paesaggio e del nostro corpo, di una visione fresca e non filtrata da altro.

Camminare in due, con Gabriele, o in tre con Mina, è molto diverso, il discorso interiore e solitario si fa dialettico e si trova senza sforzo un passo comune e camminare di notte, come in questo caso, è come camminare sulle ombre e sul rovescio delle cose.

Gabriele Mallegni: Mi è sempre piaciuto camminare fin da piccolo, tornavo da scuola camminando, sia alle elementari, che alle medie, che alle superiori e all’Accademia.

Camminare per me non è perdersi, bensì avere un rapporto con lo spazio e con il tempo più intimo, camminando si osservano cose e dettagli che con altri metodi di spostamento è impossibile percepire con la stessa intensità, per me è un modo per assimilare più a fondo quello che mi circonda, misurare la distanza e il tempo mi permette di metabolizzare.

Spesso mi capita di chiudere gli occhi e ripercorrere le strade e i paesaggi percorsi a piedi, un esercizio di memoria che è possibile solo se il percorso è stato fatto passeggiando, con altri mezzi è molto più difficile e impreciso, ci sono falle, punti morti dovuta alla poca attenzione e al poco tempo impiegato per compiere il tragitto, alla velocità che offusca i ricordi.

Non c’è una assimilazione completa e di conseguenza la mente non registra.

Insieme a Caterina abbiamo sempre fatto lunghe camminate, parliamo, ci confrontiamo, stiamo in silenzio.

Ci è spesso capitato di percorrere lunghe distanze, a volte senza nemmeno rendersene conto, sono le gambe che ci avvertono, ma l’energia che abbiamo consumato non è mai sprecata, è solo data in prestito per qualcosa che verrà alla luce in un altro momento, in un altra forma.

Pd’A: Una volta che avete individuato queste tracce come avete proceduto?

Gabriele Mallegni: Abbiano incominciato a fare dei piccoli saggi, applicando la  gomma siliconica su alcuni frammenti di marmo che avevamo allo studio per  capire come reagivano i materiali una volta che venivano a contatto, per assicurarci di non recare alcun danno, abbiamo fatto dei  saggi anche su piccole porzioni della facciata del palazzo. Era importante capire i tempi di lavorazione dell’impasto siliconico e i tempi di catalisi, questo ci ha permesso di renderci conto che avevamo bisogno di un “accelerante” oltre al normale catalizzatore necessario per far indurire le gomme. I tempi di catalisi normali erano troppo lunghi, e noi avevamo bisogno di effettuare la copia delle lesioni nel minor tempo possibile.

Quindi, una volta che ci siamo trovati di fronte al marmo lesionato della facciata di Palazzo alla giornata, abbiamo applicato la gomma sulle superfici che ci interessavano, e dopo qualche ora abbiamo tolto i vari negativi in gomma.

Una volta tornati allo studio abbiamo colato del gesso nei vari negativi ottenendo così la copia esatta della lesione. Un ulteriore negativo in gesso è stato poi necessario per ottenere una successiva matrice per lo stampaggio in creta delle varie lesioni, che ancora fresche, sono state poi integrate nel corpo ancora umido dei vasi uniformandosi.

Caterina Sbrana: Abbiamo subito  iniziato a pianificare quando fare i calchi.  Dopo aver fatto i saggi, ci siamo portati dietro il materiale, l’acqua, la gomma, ci siamo seduti con Mina sulle scale del palazzo a mangiare un gelato, poi tra un passante e un altro abbiamo iniziato e  qualche ora dopo la facciata era costellata di gomma rosa, era molto bella, una installazione temporanea e effimera che sarebbe sparita poco dopo, la gente ci passava davanti senza accorgersene.

Allo studio avevamo già preparato i primi vasi, e la mattina, dopo aver riportato i calchi dalla  gomma al gesso, abbiamo iniziato a gettare le lesioni in argilla e poi le abbiamo applicate sulla superficie dei vasi stuccandole con  argilla e barbottina,  dopo l’asciugatura abbiamo cotto i vasi e li abbiamo smaltati con cristallina, eccetto le  scalfiture che volevamo opache ad interrompere la superficie smaltata e perfetta. Nel nostro lavoro ritorna spesso questo uso delle superfici lucide e opache sullo stesso pezzo come scelta concettuale prima che estetica.

Lavoravamo a vari vasi contemporaneamente e una sera, guardandoli appoggiati a varie altezze sui cavalletti da lavoro, ci siamo accorti che volevamo installarli proprio così e abbiamo disegnato i cavalletti in ferro ad altezza regolabile simili a quelli tecnici sui quali li abbiamo lavorati. Abbiamo fatto e facciamo anche altri oggetti con calchi di lesioni, dei piatti, un servito da te, ma l’installazione principale è quella con i vasi perché  il vaso è un corpo, un archetipo che accompagna da sempre l’uomo. 

Pietro dal tuo punto di vista che cosa ti colpisce di questo lavoro?

Pietro Gaglianò: Il lavoro di Caterina e Gabriele riguarda una delle più estese e lancinanti ferite della cultura europea: la difficoltà a relazionarsi con il vuoto, con la scomparsa, con l’inabissamento delle civiltà nello scorrere del tempo, che ha generato il feticismo per le rovine, un sentimento spesso romanticizzato, che si accompagna all’invenzione di memorie, di miti, di religioni, di suprematismi culturali. Caterina e Gabriele, in molti modi, misurandosi con gli spazi affascinanti e grotteschi della conservazione museale, mettono in evidenza tutte le contraddizioni di questo atteggiamento, quasi esclusivo delle civiltà europee e mediterranee.

Caterina Sbrana (Pisa 1977) studia restauro di dipinti all’Istituto Europeo delle Arti Operative di Perugia e si laurea all’Accademia di Belle Arti di Carrara in Pittura e Arti Visive. La sua ricerca, in bilico tra l’uso di materiali primordiali, le tecniche della tradizione e una visione contemporanea contaminata dalla tecnologia, indaga, attraverso l’immaginario geografico, gli spazi liminali in cui si incontrano natura e cultura, umano e non umano. La raccolta di tracce, residui, texture e il rapporto diretto con il paesaggio sono al centro del suo lavoro che si avvale di media diversi. Il segno delle capsule di papavero diventa un pixel naturale per comporre grandi mappe, oggetti e nature morte in ceramica registrano l’incontro tra il tempo umano e il tempo ciclico della natura, mentre terre, succhi e pigmenti vegetali ottenuti da piante selvatiche e tintorie, che l’artista coltiva e raccoglie, diventano il materiale per dipingere paesaggi ispirati a visioni digitali. E’ co-fondatrice di Studio17 (2009) con Gabriele Mallegni, spazio multidisciplinare dedicato alle arti visive e al design. Tra le mostre ricordiamo: A memoria di forma, 2025, a cura di Pietro Gaglianò, Gipsoteca di Arte Antica dell’Università di Pisa; Concours International de céramique de Carouge, 2024, Museè de Carouge, Carouge (CH); Premio Midec, Midec, Laveno Mombello, 2024; Santissime, Galerie du Gènie de la Bastille, Parigi; Preziose Miniature, 2024, a cura di Stefania Balestri, Archivio Storico di Palermo; Urpflanze des Mittelmeers, 2024, a cura di Anna Guillot, On the Contemporary, Catania; Vis à Vis, 2023, residenza artistica internazionale, Molise; Il respiro della terra, a cura di Gaia Bindi, Museo dei Georgofili, Firenze; 2023, Fuoriporta, 2023, a cura di Ilaria Mariotti in collaborazione con Caterina Fondelli e Alessandra Ioalè; Eco-esistenze, forme del naturale e dell’artificiale, 2022, IED Firenze in collaborazione con Palazzo Strozzi, a cura di Daria Filardo, Martino Margheri, MA Curiatorial Practice Ied; Imboscata, 2022, a cura di Shilha Cintelli, Rachel Morellet, Eva Sauer, Enrico Vezzi, Bosco di Corniola, Empoli; Systemae Naturae, 2022, a cura di Anne Guillot, Palazzo Mazzone Alessi, Caltanissetta; Landmarks, a map for an inner geography, 2022, Studio, La Portineria progetti per l’arte contemporanea, Firenze; Sentieri di segni, 2022, a cura di Alessandra Scappini, Sincresis Arte, Empoli; XV Bienal Internacional Ceramica Artistica Aveiro, 2021; Aller Retour, 2020, 59 Rivoli, Rue de Rivoli, Parigi; The Curated Space, Five Figurative Artists in Florence, a cura di Arturo Galansino, 2015 Mall Galleries, London (GB).

Gabriele Mallegni nasce a Pisa, 1977, dove vive e lavora. Si forma al Liceo Artistico di Lucca, prosegue gli studi all’Accademia di Belle Arti di Carrara dove si laurea in scultura con Piergiorgio Balocchi. La sua ricerca si concentra sulla ceramica con la quale modella ritratti contemporanei, mondi distopici, incubi e contraddizioni della società attuale, con uno sguardo rivolto all’impatto dell’uomo sugli ambienti che abita e sull’architettura come dimensione simbolica. La città come micro e macrocosmo urbano attraversa la sua ricerca, gli edifici in ceramica ospitano muschi come antiche rovine, si stagliano in deserti di terracotta e diventano strumento di riflessione sul tempo e sull’uomo. E’ co-fondatore di Studio17 (2009) con Caterina Sbrana, spazio multidisciplinare dedicato alle arti visive e al design. Tra le mostre e i progetti ricordiamo:

A memoria di forma, 2025, a cura di Pietro Gaglianò, Gipsoteca di Arte Antica dell’Università di PisaBorderless, 2024, a cura di Marco Martelli, SOLO, Pietrasanta; Unvases, 2024, a cura di Marco Martelli, SOLO, Pietrasanta; Unfair, 2024, a cura di Marco Martelli, Milano; Preziose Miniature, 2024, a cura di Stefania Balestri, Archivio Storico di Palermo; Unfair, 2024, Superstudio Maxi, Milano; Santissime, 2024, un progetto di Renato Baldasserini, La Galerie du Génie de la Bastille, Paris (FR); Mentre eravamo distratti, 2024, CVM VENIO casa-studio-galleria; Democratica, 2024, a cura di MarcoMartelli, SOLO, Pietrasanta; Vis à Vis Fuoriluogo, 2023, Residenza Artistica Internazionale, a cura di Limiti Inchiusi, Matteo Innocenti e Tommaso Evangelista, Lucito, Molise; L’estate più fredda, 2023, a cura di Claudio Cosma, Sensus luoghi per l’arte contemporanea, Firenze; Mimesis, 2023, un progetto a cura di Carolina Zaccaro e Francesca Sand, Galerie Territoires Partagés, Marseille (FR); Un sentiero di segni, a cura di Alessandra Scappini e Spela Zidar, Montespertoli (Firenze); Malamegi Lab19, 2022, a cura di Massimo Toffolo e Margherita Jedrzejewska premio catalogo, Galleria Piazza di Pietra, Roma; Bienal Internacional de Ceramica de Aveiro, Aveiro, (PT); BACC, la forma del vino, 2021, menzione speciale della giuria, Scuderie Aldovrandini, Frascati, Roma; La natura delle cose, 2021, a cura di Mauro Lovi, Palazzo Malpigli, Lucca; Aller-Retour, 2020, 59 Rivoli, Paris (FR); Osmosi, 2017, a cura di Mauro Lovi, Massa e Cozzile, Pistoia; Mutabilia, 2016, a cura di Eloisa Tolu, Paratissima, Torino; Premio Baccio da Montelupo, 2015, Museo Internazionale della ceramica, primo premio, Montelupo, Firenze; Duo, 2012, a cura di Mauro Lovi e Olivia Toscani Rucellai, Otto Luogo dell’arte Firenze.

English text

 “Una brillante memoria” Conversation whit  Caterina Sbrana, Gabriele Mallegni and Piero Gaglianò.

#paroladartista #inervistaartista #caterinasbrana #gabrielemallegni #pietrogagliano

Parola d’Artista: Hi, I would like to start this conversation by asking Caterina and Gabriele how you discovered the gunshot marks dating back to World War II on some of Pisa’s Palazzi?

Gabriele Mallegni: We discovered them on a very hot summer evening, walking in a deserted, metaphysical Pisa. Me, Caterina and Mina, our canine. We had always noticed the signs left by the conflict, but it was that evening that we began to see them with another eye and perceive the potential of the message.

Caterina Sbrana: The injuries of war appeared to us as a mystery, a micro-geography within the larger geography of the city. It is not a detail that Mina was with us, dogs follow invisible, seemingly untraced paths.and we too as animals (which we therefore are) were unconsciously tracing a new path within the city.

Almost all the projects we work on together come about by walking, walking has always been linked to the thought that with the body moves through time and space. We like to walk and talk about what we encounter, what we miss, what we cannot see, and try to ‘sing new maps’.

Pd’A: The idea of walking, which I think also has a lot to do with the idea of getting lost, returns often in your work, I would like you to talk about it more extensively?

Caterina Sbrana: Walking is a way of thinking, in the ancient world walking was thought, elaboration, care for the sick.

I could say that A brilliant memory is a peripatetic work, which finds its origin and development in walking.

The path also plays an important role in my personal research, from the very beginning it is part of the work, it is a moment of immersion in the landscape of collecting materials and ideas, as in the work begun in 2008 in which every year I collect poppy capsules to draw maps of my routes in which human, animal and plant geography meet.

Maps, which I have always studied and observed, are one of the oldest forms of graphic restitution, they have been traced on bones, on clay, they have been sung with sounds and voice, they are a tale of limits and boundaries, of fears and desires.

Even the bomb injuries appeared to us as a map, a geography to be deciphered. These are maps for getting lost, or rather, for losing the centre, for moving along marginal, eccentric paths in a literal sense. One discovers many things during that particular type of walk that is the walk, precisely because one is not looking for anything in particular, most of the time it is without purpose, the lack of purpose is often an important, fertile thing.

In the time of the disappearance of reality, it is a way of reclaiming the landscape and our bodies, of a fresh vision unfiltered by anything else.

Walking in two, with Gabriele, or in three with Mina, is very different, the inner and solitary discourse becomes dialectical and a common step is effortlessly found, and walking at night, as in this case, is like walking on the shadows and the reverse of things.

Gabriele Mallegni: I have always liked walking since I was a child, I used to walk back from school, both in primary schools, middle school, high school and the Academy.

Walking for me is not about getting lost, it is about having a more intimate relationship with space and time, walking allows you to observe things and details that are impossible to perceive with the same intensity with other methods of movement, for me it is a way to assimilate my surroundings more deeply, measuring distance and time allows me to metabolise.

I often close my eyes and retrace the roads and landscapes travelled on foot, a memory exercise that is only possible if the route has been done by walking, with other means it is much more difficult and inaccurate, there are gaps, dead spots due to the lack of attention and the short time taken to make the journey, the speed that blurs memories.

There is no complete assimilation and consequently the mind does not register.

Together with Caterina, we have always taken long walks, we talk, we are silent.

We have often travelled long distances, sometimes without even realising it, it is our legs that warn us, but the energy we have expended is never wasted, it is only lent for something that will come to light at another time, in another form.

Pd’A: Once you have identified these traces, how did you proceed?

Gabriele Mallegni: We started to do some small tests, applying silicone rubber to some marble fragments we had in the studio to understand how the materials reacted once they came into contact, to make sure we didn’t cause any damage, we also did tests on small portions of the façade of the palazzo. It was important to understand the processing times of the silicone mixture and the catalysis times, which enabled us to realise that we needed an ‘accelerant’ in addition to the normal catalyst needed to harden the rubbers. Normal catalysis times were too long, and we needed to copy the lesions as quickly as possible.

So once we were in front of the damaged marble of the facade of the Palazzo alla giornata, we applied the rubber to the surfaces we were interested in, and after a few hours we removed the various rubber negatives.

Once back at the studio, we poured plaster into the various negatives, thus obtaining an exact copy of the lesion. A further plaster negative was then necessary to obtain a subsequent matrix for the clay moulding of the various lesions, which, while still fresh, were then integrated into the still moist body of the vessels, becoming uniform.

Caterina Sbrana: We immediately started planning when to make the casts.  After making the essays, we took the material with us, the water, the rubber, we sat down with Mina on the stairs of the building to eat an ice cream, then between one passer-by and another we started and a few hours later the façade was dotted with pink rubber, it was very beautiful, a temporary and ephemeral installation that would disappear shortly afterwards, people would pass by without realising it.

At the studio, we had already prepared the first vases, and in the morning, after having taken the casts from the rubber to the plaster, we began to cast the lesions in clay and then applied them to the surface of the vases by grouting them with clay and slip, after drying we fired the vases and glazed them with crystalline, except for the scratches that we wanted opaque to interrupt the glazed and perfect surface. In our work, this use of shiny and matte surfaces on the same piece often returns as a conceptual choice rather than an aesthetic one. We were working on several vases at the same time and one evening, looking at them resting at various heights on work stands, we realised that we wanted to install them just like that and we designed the height-adjustable iron stands similar to the technical ones on which we worked. We have also made and are making other objects with casts of injuries, plates, a tea set, but the main installation is the one with the vases because the vase is a body, an archetype that has always accompanied man.

Pietro from your point of view, what strikes you about this work?

Pietro Gaglianò: Caterina and Gabriele’s work concerns one of the most extensive and excruciating wounds of European culture: the difficulty of relating to emptiness, to disappearance, to the sinking of civilisations in the passage of time, which has generated a fetishism for ruins, an often romanticised sentiment that goes hand in hand with the invention of memories, myths, religions, and cultural supremacisms. Catherine and Gabriel, in many ways, measuring themselves against the fascinating and grotesque spaces of museum conservation, highlight all the contradictions of this attitude, almost exclusive to European and Mediterranean civilisations.

Caterina Sbrana (Pisa 1977) studied painting restoration at the European Institute of Operative Arts in Perugia and graduated from the Academy of Fine Arts in Carrara in Painting and Visual Arts. Her research, poised between the use of primordial materials, traditional techniques and a contemporary vision contaminated by technology, investigates, through geographical imagery, the liminal spaces where nature and culture, human and non-human meet. The collection of traces, residues, textures and the direct relationship with the landscape are at the centre of his work, which makes use of different media. The sign of poppy capsules becomes a natural pixel to compose large maps, objects and still lives in ceramics record the encounter between human time and the cyclical time of nature, while soils, juices and vegetable pigments obtained from wild and dyeing plants, which the artist cultivates and collects, become the material for painting landscapes inspired by digital visions. She is co-founder of Studio17 (2009) with Gabriele Mallegni, a multidisciplinary space dedicated to visual arts and design Exhibitions include: A memoria di forma, 2025, curated by Pietro Gaglianò, Gipsoteca di Arte Antica of the University of Pisa; Concours International de céramique de Carouge, 2024, Museè de Carouge, Carouge (CH); Premio Midec, Midec, Laveno Mombello, 2024; Santissime, Galerie du Gènie de la Bastille, Paris; Preziose Miniature, 2024, curated by Stefania Balestri, Archivio Storico di Palermo; Urpflanze des Mittelmeers, 2024, curated by Anna Guillot, On the Contemporary, Catania; Vis à Vis, 2023, international artistic residency, Molise; Il respiro della terra, curated by Gaia Bindi, Museo dei Georgofili, Florence; 2023, Fuoriporta, 2023, curated by Ilaria Mariotti in collaboration with Caterina Fondelli and Alessandra Ioalè; Eco-existences, forms of the natural and artificial, 2022, IED Florence in collaboration with Palazzo Strozzi, curated by Daria Filardo, Martino Margheri, MA Curiatorial Practice Ied; Ambush, 2022, curated by Shilha Cintelli, Rachel Morellet, Eva Sauer, Enrico Vezzi, Bosco di Corniola, Empoli; Systemae Naturae, 2022, curated by Anne Guillot, Palazzo Mazzone Alessi, Caltanissetta; Landmarks, a map for an inner geography, 2022, Studio, La Portineria progetti per l’arte contemporanea, Florence; Sentieri di segni, 2022, curated by Alessandra Scappini, Sincresis Arte, Empoli; XV Bienal Internacional Ceramica Artistica Aveiro, 2021; Aller Retour, 2020, 59 Rivoli, Rue de Rivoli, Paris;

Gabriele Mallegni was born in Pisa, 1977, where he lives and works. He trained at the Art School in Lucca, and continued his studies at the Academy of Fine Arts in Carrara, where he graduated in sculpture with Piergiorgio Balocchi. His research focuses on ceramics with which he models contemporary portraits, dystopian worlds, nightmares and contradictions of today’s society, with an eye on the impact of man on the environments he inhabits and on architecture as a symbolic dimension. The city as urban micro and macrocosm runs through his research, ceramic buildings host mosses like ancient ruins, stand out in terracotta deserts and become a tool for reflection on time and man. He is co-founder of Studio17 (2009) with Caterina Sbrana, a multidisciplinary space dedicated to visual arts and design. Exhibitions and projects include:

A memoria di forma, 2025, curated by Pietro Gaglianò, Gipsoteca di Arte Antica of the University of PisaBorderless, 2024, curated by Marco Martelli, SOLO, Pietrasanta; Unvases, 2024, curated by Marco Martelli, Precious Miniatures, 2024, curated by Stefania Balestri, Archivio Storico di Palermo; Unfair, 2024, Superstudio Maxi, Milan; Santissime, 2024, a project by Renato Baldasserini, La Galerie du Génie de la Bastille, Paris (FR); Mentre eravamo distratti, 2024, CVM VENIO casa-studio-gallery; Democratica, 2024, curated by MarcoMartelli, SOLO, Pietrasanta; Vis à Vis Fuoriluogo, 2023, International Artistic Residence, curated by Limiti Inchiusi, Matteo Innocenti and Tommaso Evangelista, Lucito, Molise; L’estate più fredda, 2023, curated by Claudio Cosma, Sensus luoghi per l’arte contemporanea, Florence; Mimesis, 2023, a project curated by Carolina Zaccaro and Francesca Sand, Galerie Territoires Partagés, Marseille (FR); Un sentiero di segni, curated by Alessandra Scappini and Spela Zidar, Montespertoli (Florence); Malamegi Lab19, 2022, curated by Massimo Toffolo and Margherita Jedrzejewska catalogue prize, Galleria Piazza di Pietra, Rome; Bienal Internacional de Ceramica de Aveiro, Aveiro, (PT); BACC, la forma del vino, 2021, special mention of the jury, Scuderie Aldovrandini, Frascati, Rome; La natura delle cose, 2021, curated by Mauro Lovi, Palazzo Malpigli, Lucca; Aller-Retour, 2020, 59 Rivoli, Paris (FR); Osmosi, 2017, curated by Mauro Lovi, Massa e Cozzile, Pistoia; Mutabilia, 2016, curated by Eloisa Tolu, Paratissima, Turin; Premio Baccio da Montelupo, 2015, Museo Internazionale della ceramica, first prize, Montelupo, Florence; Duo, 2012,