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Parola d’Artista: Per la maggior parte degli artisti, l’infanzia rappresenta il periodo d’oro in cui iniziano a manifestarsi i primi sintomi di una certa propensione ad appartenere al mondo dell’arte. È stato così anche per te? Racconta.
Beatrice Alici: Sì, sicuramente l’infanzia ha avuto un ruolo importante. In giovane età avevo già la passione per la manualità, che andavo pian piano affinando. Però la consapevolezza di voler fare l’artista è nata durante gli ultimi anni di liceo. La consapevolezza di voler fare la pittrice in Accademia.
Pd’A: Anche tu ha avuto, come molti altri, un primo amore artistico?
B.A.: Mi ricordo che il primo contatto con l’arte fu a Treviso, in gita con la scuola. A Ca’ dei Carraresi c’era una mostra sugli impressionisti e già capivo che mi interessava la pittura. Ma il primi amori artistici sono stati Michelangelo Buonarroti per la scultura (impazzisco per i “non finiti”), Leonardo Da Vinci per la pittura e Vermeer per la luce.
Pd’A: Quali studi hai fatto?
B.A.: Ho fatto il liceo artistico, fu una scelta molto combattuta, in parte anche perché ci sono molti pregiudizi attorno a questa scuola. Questi pregiudizi erano anche da parte della mia famiglia di provenienza (per la maggior parte architetti). Mio nonno paterno in particolare, insegnava architettura all’università di Pescara e diceva sempre che gli alunni che provenivano dal liceo artistico avevano manualità ma non la “testa”.
L’ennesima “delusione” fu quando scelsi l’Accademia di Belle Arti di Venezia e non lo IUAV.
Penso che le scelte da fare nella vita non debbano assecondare gli altri, ma la propria intelligenza di “pancia”, ascoltando la propria indole più profonda. Io ho sempre avuto un temperamento da sognatrice e l’ho solo assecondato.
Pd’A: Ci sono stati incontri importanti durante gli anni della formazione?
B.A.: Sicuramente il mio professore di Pittura in accademia, Carlo Di Raco. Una persona carismatica, che ha creato una vera e propria scuola di Pittura dove i giovani possono imparare molto anche solo condividendo gli spazi dell’atelier: differenti generazioni vengono a contatto e si contaminano. Ma l’insegnamento più grande è stato quello di crederci davvero nella carriera pittorica.
Pd’A: Le immagini che dipingi, come nascono?
B.A.: Nascono come idee visive, a volte la semplice ricerca di immagini funziona come input. Spesso utilizzo il mio corpo come soggetto e combino più foto che faccio e/o trovo. Uso a volte anche il disegno per la composizione, anche se mi piace molto buttarmi subito con la pittura, come da tradizione veneta.
Pd’A: Sei interessata al loro aspetto simbolico?
B.A.: Non direttamente nell’aspetto simbolico dei dipinti nel loro complesso ma solo di alcuni dettagli che arricchiscono il mio lavoro di significato.
Pd’A: Che idea hai della natura?
B.A.: È un grande stimolo per il mio lavoro. A volte vorrei tornare indietro nel tempo, quando eravamo più a stretto contatto con essa e ne avevamo più rispetto.
Pd’A: Ti interessa l’idea di mistero?
B.A.: Penso che ogni forma d’arte debba creare delle domande nello spettatore, ma non dare le risposte. Quindi sì, è fondamentale. Mistero e nel mio caso anche riferimenti al folklore, magia ed esoterismo.
Pd’A: Qual è la tua idea di femminile?
B.A.: Sogno un femminile libero dagli stereotipi e da ogni forma di cultura patriarcale.
Pd’A: Il colore che valore ha nel tuo lavoro ?
B.A.: Ha molto valore, nel mio lavoro una gran parte della ricerca è anche focalizzata sulla luce e quindi anche sul colore.
Pd’A: Che importanza hanno le categorie di tempo e spazio in quello che fai?
B.A.: Lo spazio e il tempo sono in grado di influenzare il proprio lavoro. Da quando mi sono trasferita a Milano e per questioni di costi ho uno studio condiviso piccolo e purtroppo ho dovuto ridimensionare i lavori. Il tempo anche è importante perché la pittura è lenta e avendo un secondo lavoro part-time cerco di fare del mio meglio.
Pd’A: Che importanza e che ruolo ha il disegno?
B.A.: Senza abilità nel disegno non c’è buona pittura (anche nell’astratto).
Pd’A: Come scegli i titoli dei tuoi lavori e che ruolo gli attribuisci?
B.A.: Beh, alcuni mi vengono proprio naturali a lavoro concluso, ad altri invece ci devo pensare più a lungo. I miei titoli sono importanti e aggiungono indizi o anche una chiave di lettura al lavoro.
Pd’A: Lavori a un quadro alla volta o ne realizzi più di uno contemporaneamente?
B.A.: Dipende da quante idee ho contemporaneamente, o se ne ho una. Se lavoro sul grande formato preferisco concentrarmi solo su quel lavoro specifico, di solito. Se invece lavoro a piccoli formati può capitare che lavoro contemporaneamente più di uno.
Pd’A: Quando prepari una mostra o allestisci un’opera, sei interessata alla messa in scena?
B.A.: Certo, è importante presentare bene il proprio lavoro.
Pd’A: Secondo te il sacro ha ancora un’importanza nell’arte di oggi?
B.A.: Secondo me sì.
Pd’A: Quale è la tua idea di bellezza?
B.A.: La semplicità.
Pd’A: Le opere d’arte esistono se non c’è nessuno che le guarda?
B.A.: No. Basti pensare ai ritrovamenti archeologici, di cui nessuno ne sa l’esistenza finché non vengono trovati.
Pd’A: Qual è la tua posizione rispetto al tuo lavoro?
B.A.: Non sono mai soddisfatta, perché vedo sempre cosa potrei migliorare. La cosa più dannosa che possono fare gli artisti è compiacersi, bisogna sempre rimanere autocritici e mirare in alto, magari tenendo come riferimenti i grandi della storia dell’arte e del contemporaneo.
Beatrice Alici nasce a San Donà di Piave (Venezia) nel 1992.
Nel 2011 si diploma al Liceo Artistico di Treviso. Nel 2019 si laurea all’Accademia di belle Arti di Venezia. Dopo dieci anni passati a Venezia, ora vive e lavora a Milano.
Dal 2016 fa parte del collettivo artistico Fondazione Malutta. Tra le mostre recenti si ricorda: Le cose che non sappiamo, collettiva curata da Rossella Traverso da Romero Paprocki Galerie, Parigi; Il primo seme, personale curata da Domenico De Chirico, presso Dino Morra Gallery, Napoli; Pittura Italiana oggi, collettiva curata da Damiano Gullì, presso il Palazzo dell’Arte, Triennale di Milano, Milano;
English text
Interview to Beatrice Alici
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Parola d’Artista: For most artists, childhood is the golden age when the first symptoms of a certain propensity to belong to the art world begin to appear. Was that the case for you too? Tell us.
Beatrice Alici: Yes, childhood certainly played an important role. At a young age, I already had a passion for manual skills, which I was gradually refining. However, the awareness of wanting to be an artist was born during my last years of high school. The realisation that I wanted to be a painter at the Academy.
Pd’A: Did you, like many others, have a first artistic love?
B.A.: I remember that my first contact with art was in Treviso, on a school trip. At Ca’ dei Carraresi, there was an exhibition on the Impressionists and I already realised that I was interested in painting. But the first artistic loves were Michelangelo Buonarroti for sculpture (I go crazy for the ‘unfinished’), Leonardo Da Vinci for painting and Vermeer for light.
Pd’A: What studies did you do?
B.A.: I went to art school, it was a very hard choice, partly because there are many prejudices around this school. These prejudices were also from my family of origin (mostly architects). My paternal grandfather in particular taught architecture at the university of Pescara and used to say that the students who came from the art school had manual skills but not the ‘head’.
The umpteenth ‘disappointment’ was when I chose the Accademia di Belle Arti in Venice and not the IUAV.
I think that the choices you make in life should not pander to others, but to your ‘gut’ intelligence, listening to your deepest nature. I have always had a dreamer’s temperament and I just went along with it.
Pd’A: Were there any important encounters during your formative years?
B.A.: Definitely my painting teacher at the academy, Carlo Di Raco. He was a charismatic person, who created a real school of painting where young people can learn a lot just by sharing the studio space: different generations come into contact and contaminate each other. But the greatest lesson was to really believe in a career in painting.
Pd’A: The images you paint, how do they come into being?
B.A.: They are born as visual ideas, sometimes the simple search for images works as input. I often use my body as a subject and combine several pictures I take and/or find.I also sometimes use drawing for composition, although I like to jump straight in with painting, as is the Veneto tradition.
P.A: Are you interested in their symbolic aspect?
B.A.: Not directly in the symbolic aspect of the paintings as a whole, but only in certain details that enrich my work with meaning.
Pd’A: What is your idea of nature?
B.A.: It is a great stimulus for my work. Sometimes I would like to go back in time, when we were more in close contact with it and had more respect for it.
Pd’A: Are you interested in the idea of mystery?
B.A.: I think every art form should create questions in the viewer, but not give the answers. So yes, it is fundamental. Mystery and in my case also references to folklore, magic and esotericism.
Pd’A: What is your idea of the feminine?
B.A.: I dream of a feminine free of stereotypes and all forms of patriarchal culture.
Pd’A: What value does colour have in your work?
B.A.: It is very valuable, in my work a large part of the research is also focused on light and therefore also on colour.
Pd’A: How important are the categories of time and space in what you do?
B.A.: Space and time are able to influence one’s work. Since I moved to Milan and for cost reasons I have a small shared studio and unfortunately I have had to downsize my work. Time is also important because painting is slow and having a second part-time job, I try to do my best.
P.A: How important and what role does drawing play?
B.A.: Without drawing skills, there is no good painting (even in the abstract).
Pd’A: How do you choose the titles of your works and what role do you attribute to them?
B.A.: Well, some come to me quite naturally when the work is finished, others I have to think about for a longer time. My titles are important and add clues or even a key to the work.
Space and time are able to influence one’s work. Since I moved to Milan and for cost reasons I have a small shared studio and unfortunately I have had to downsize my work. Time is also important because painting is slow and having a second part-time job, I try to do my best.
Pd’A: Do you work on one painting at a time or do you do more than one at the same time?
B.A.: It depends on how many ideas I have at once, or if I have one. If I work on large format, I prefer to concentrate on that specific work, usually. If, on the other hand, I work on small formats, it can happen that I work on more than one at the same time.
Pd’A: When you prepare an exhibition or set up a work, are you interested in staging?
B.A.: Of course, it is important to present your work well.
Pd’A: In your opinion, does the sacred still have an importance in art today?
B.A.: In my opinion, yes.
Pd’A: What is your idea of beauty?
B.A: Simplicity.
Pd’A: Do works of art exist if there is no one looking at them?
B.A.: No. Just think of archaeological finds, which nobody knows exist until they are found.
Pd’A: What is your position regarding your work?
B.A.: I am never satisfied, because I always see what I could improve. The most damaging thing that artists can do is to be complacent, you must always remain self-critical and aim high, perhaps keeping the greats of art history and contemporary art as references.
Beatrice Alici was born in San Donà di Piave (Venice) in 1992. In 2011 she graduated from the Liceo Artistico in Treviso. In 2019, she graduated from the Academy of Fine Arts in Venice. After ten years in Venice, she now lives and works in Milan. Since 2016 he has been part of the artistic collective Fondazione Malutta. Recent exhibitions include: Le cose che non sappiamo, group show curated by Rossella Traverso at Romero Paprocki Galerie, Paris; Il primo seme, solo show curated by Domenico De Chirico, at Dino Morra Gallery, Naples; Pittura Italiana oggi, group show curated by Damiano Gullì, at Palazzo dell’Arte, Triennale di Milano, Milan;

contemplation, 2024, olio su tela, 40x30cm

Generations of the Witches

Green enchantment, 2023, olio su tela, 240×180 come (Collezione Taurisano)

Il primo seme, 2023, olio su lino, 160×220 cm, Courtesy of Ettore Rossetta collection

Piena o nera, la luna è nostra, 2024, olio su tela, 30×40 cm

Sagitta, 2024, olio su tela, 100×70 cm

