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Parola d’Artista: Per la maggior parte degli artisti, l’infanzia rappresenta il periodo d’oro in cui iniziano a manifestarsi i primi sintomi di una certa propensione ad appartenere al mondo dell’arte. È stato così anche per te? Racconta.
Luca Piovaccari: Una discreta manualità legata al disegno e alla sperimentazione solitaria mi ha sempre accompagnato, mi affascinava molto la pittura che in certi periodi ho praticato, poi sono arrivati anche gli apprendimenti tecnici, ma non mi sono mai bastati. Al mondo dell’arte non ci pensavo se non attraverso i libri, c’era questa insoddisfazione di base nel voler fare che a volte mi accompagna ancora.
Pd’A:Quali studi hai fatto?
L.P: La mia formazione non è legata agli studi artistici ma alla grafica e alla progettazione. Un’ attività che ho esercitato per parecchio e che probabilmente mi condiziona ancora nell’approccio al lavoro.
Pd’A:Ci sono stati degli incontri importanti durante la tua formazione?
L.P: Il clima culturale che ho avuto la fortuna di frequentare nella piccola provincia in cui sono cresciuto è stato importante. A Cesena negli anni ottanta si è sviluppata un’interessante scena teatrale che ha visto nascere in questa città le compagnie La Valdoca e la Sociètas Raffaello Sanzio, sempre in quegli anni ho scoperto la fotografia di Guido Guidi che, in seguito ho iniziato a frequentare di persona. In quel periodo visitavo uno spazio espositivo vicino a dove vivevo, il titolare si chiamava Albo Sirri, li tenni una delle prime personali. Spesso mi chiedeva di accompagnarlo nei suoi viaggi a Todi per andare nello studio di Piero Dorazio che conosceva bene, in quelle occasioni conobbi anche Enrico Castellani e Joe Tilson. Nei primi anni novanta iniziai a frequentare la Galleria Neon di Gino Gianuizzi a Bologna, di cui mi piaceva molto la selezione artistica. Una volta andai a mostrargli un portfolio di lavori, grazie a quei consigli riuscii ad essere tra i selezionati del 1° Premio Trevi Flash Art Museum creato da Giancarlo Politi. Da li sono partite poi molte situazioni interessanti. Tanti i contatti e le frequentazioni di quel periodo con artisti, curatori e gallerie a cui devo molto.
Pd’A:Che ruolo hanno il disegno e la fotografia in quello che fai?
L.P: Utilizzo entrambi per denunciare la mia mancanza di certezze, nei disegni, ma spesso, anche nelle fotografie mi interessano i bordi è li dove si posa la mia attenzione. Sono zone marginali fuori dal punto focale dell’immagine, in cui a volte vorrei nascondere particolari interessanti. Cerco con questi mezzi uno spiazzamento di senso per sollecitare inedite zone di pensiero, mi piace che si sostengano a vicenda, a volte esponendoli nello stesso spazio per creare ambiguità tra loro.
Pd’A:Ti interessa la dimensione della memoria nel tuo lavoro?
L.P: Ci sono immagini che più di altre raccolgono visivamente questa cifra. Forse la fotografia più di altri media diventa memoria sospesa a sé stessa che ama la propria condizione suicida. Non lavoro in particolare sui ricordi ma in alcuni casi diventa evidente questa traccia, perché parte integrante del lavoro.
Pd’A:Come scegli i luoghi o forse sarebbe meglio parlare di non luoghi che ritrai nei tuoi lavori?
L.P: Per risponderti utilizzo le parole scritte da Gianni Celati nell’introduzione al suo libro Verso la foce “… i viaggi qui presentati narrano dunque l’attraversamento d’una specie di deserto di solitudine, che però è anche la vita normale di tutti i giorni…”. Fotografo per conoscere i luoghi che sono quelli del mio quotidiano senza cercare qualcosa di straordinario.
Pd’A:Ti interessa l’idea di messa in scena in quello che fai?
L.P: Con gli interventi cerco di mettermi in discussione per innescare cortocircuiti. Più che di messa in scena mi piace creare delle zone di resistenza. Se per abitudine sorvoliamo gli interrogativi sull’invisibile delle cose queste sono installazioni che possono non interessare.
Pd’A:Nel tuo lavoro lasci spazio al caso agli incidenti di percorso o procedi secondo un progetto chiaro che realizzi così come lo avevi immaginato?
L.P: C’è un’idea di base nel lavoro che però segue anche percorsi inusuali, quando arriva l’inciampo l’opera assume un suo valore particolare. Al lavoro stesso chiedo di sorprendermi e a volte di prendere direzioni diverse. Con l’errore mi piace instaurare quel requisito di mistero che può portare a costruzioni emotive inaspettate, come con la fotografia realizzata attraverso il foro stenopeico che poi diventa una visione inattesa.
Pd’A:L’aspetto poetico che le tue immagini lasciano vedere si sposa nel tuo lavoro con quello politico?
L.P: Lo scopo dell’arte non è solo quello di raffigurare la vita, ma quello di limitare la complessità di questa producendo qualcosa di simile che la possa semplificare, così scriveva Robert Adams. La denuncia legata all’antropizzazione del paesaggio è da anni una costante del mio percorso. Non so se la storia dei nostri giorni è altrove, ma in alcuni lavori c’è un reale muto fatto di attese silenti, i fatti del mondo sembrano distanti però mi piacerebbe che si avvertisse questo nostro vissuto fragile…doloroso.
Pd’A:Che tipo di dialogo cerchi con lo spettatore che si trova davanti al tuo lavoro?
L.P: Lo stesso spiazzamento che affascina anche me per primo quando non riesco a decifrarne nell’immediato il risultato. Cerco di valutare i lavori dopo un tempo di decantazione. Mi piacerebbe che lo facesse anche il fruitore. Non è facile far convivere mistero e poetica che è quello che più mi interessa.
Pd’A:Che cosa succede alle opere quando non c’è nessuno che le osserva, l’esistenza di un’opera d’arte può prescindere dalla presenza di un osservatore?
L.P: Se l’opera innesca un cortocircuito con il fruitore la visione si completa ma basta saperle lì. Sono particolari archivi del mondo, come nelle scatole dei negativi nel nostro pensarle le riattiviamo quando ci servono… non necessitano di alcuno.
Pd’A:Secondo te l’artista dove si pone nei confronti della sua opera?
L.P: Vorrei rispondere con queste parole “… c’è una sola paura: quella di lasciarsi cadere, di fare quel passo verso l’ignoto lontano da ogni certezza possibile…” ( H. Hesse ). Lontano dalle certezze, per creare domande più che risposte.
English text
Interview to Luca Piovaccari
#paroladartista #intervistaartista #artistinterview #lucapiovaccari
Parola d’Artista: For most artists, childhood is the golden age when the first symptoms of a certain propensity to belong to the art world begin to appear. Was that the case for you too? Tell us.
Luca Piovaccari: A discrete manual dexterity related to drawing and solitary experimentation has always accompanied me, I was very fascinated by painting, which I practised at certain times, then came the technical learning, but it was never enough for me. I didn’t think about the art world except through books, there was this basic dissatisfaction in wanting to do that sometimes still accompanies me.
P.A:What studies have you done?
L.P: My education is not related to art studies but to graphics and design. An activity that I practised for a long time and that probably still conditions me in my approach to work.
Pd’A:Were there any important encounters during your training?
L.P: The cultural climate I was fortunate enough to frequent in the small province where I grew up was important. In Cesena, an interesting theatre scene developed in the 1980s, which saw the birth of the La Valdoca and Sociètas Raffaello Sanzio companies. It was also in those years that I discovered the photography of Guido Guidi, whom I later began to frequent in person. At that time I visited an exhibition space near where I lived, the owner was called Albo Sirri, I held one of my first personal exhibitions there. Often I don’t particularly work on memories but in some cases this trace becomes evident because it is an integral part of the work.
Pd’A:What role do drawing and photography play in what you do?
L.P: I use both to denounce my lack of certainty, in drawings, but often, even in photographs I am interested in the edges, that is where my attention is drawn. They are marginal areas outside the focal point of the image, where I sometimes want to hide interesting details. I seek with these means a displacement of meaning to solicit new areas of thought, I like them to support each other, sometimes exposing them in the same space to create ambiguity between them.
P.A:Are you interested in the dimension of memory in your work?
L.P: There are images that more than others visually capture this. Perhaps photography more than other media becomes memory suspended to itself that loves its suicidal condition. I don’t work specifically on memories but in some cases this trace becomes evident because it is an integral part of the work.
Pd’A:How do you choose the places or perhaps it would be better to speak of non-places that you portray in your work?
L.P: To answer you, I will use the words written by Gianni Celati in the introduction to his book Verso la foce ‘… the journeys presented here therefore narrate the crossing of a kind of desert of solitude, which is also normal everyday life…’. I photograph in order to get to know the places of my everyday life without looking for something extraordinary.
P.A:Are you interested in the idea of staging in what you do?
L.P: With interventions I try to question myself to trigger short circuits. More than staging, I like to create zones of resistance. If by habit we gloss over questions about the invisible of things these are installations that may not be of interest.
Pd’A:In your work do you leave room for accidents of chance or do you proceed according to a clear plan that you realise as you imagined it?
L.P: There is a basic idea in the work but it also follows unusual paths, when the stumbling block arrives the work takes on its own particular value. I ask the work itself to surprise me and sometimes to take different directions. With the error I like to establish that requirement of mystery that can lead to unexpected emotional constructions, as with the photograph taken through the pinhole that then becomes an unexpected vision.
Pd’A:Does the poetic aspect that your images show in your work match the political one?
L.P: The purpose of art is not only to depict life, but to limit its complexity by producing something that can simplify it, so wrote Robert Adams. The denunciation of the anthropisation of the landscape has been a constant in my work for years. I don’t know if the history of our days is elsewhere, but in some works there is a mute reality made up of silent waiting, the facts of the world seem distant, but I would like this fragile…painful experience of ours to be felt.
Pd’A:What kind of dialogue do you seek with the spectator who is in front of your work?
L.P: The same bewilderment that fascinates me first when I cannot immediately decipher the result. I try to evaluate works after a decanting time. I would like the user to do the same. It is not easy to combine mystery and poetics, which is what interests me most.
Pd’A:What happens to works of art when there is no one there to observe them, can the existence of a work of art be independent of the presence of an observer?
L.P: If the work triggers a short-circuit with the viewer, the vision is completed, but it is enough to know they are there. They are particular archives of the world, like the boxes of negatives in our thinking we reactivate them when we need them… they don’t need any.
Pd’A:Where do you think the artist stands in relation to his work?
L.P: I would like to answer with these words ‘… there is only one fear: that of letting oneself fall, of taking that step into the unknown far from every possible certainty…’ (H. Hesse). Far from certainties, to create questions rather than answers.
Luca Piovaccari Cesena 1965.
1996 Galleria Medusa personale, presentazione di Marco Meneguzzo, Cesena. 1997 Aperto Italia Trevi Flash Art Museum | Realismo Italiano, Collezioni Nordstern, Colonia | Biennale del Mediterraneo, Alta marea, spazio Adriano Olivetti, Ivrea. 2000 Formae, a cura di Maurizio Cecchetti Istituto di Cultura Italiana, Berlino. 2001 Il nuovo paesaggio in Italia a cura di Maria Grazia Torri Spazio Electra, Parigi | Sui Generis PAC, Milano | 8 artisti, 8 critici, 8 stanze presentato da Sabina Ghinassi a cura di Dede Auregli e Peter Weiermair, Villa delle Rose, Bologna | 2002 Outdoor – Italian artists in Germany, a cura di Lorella Scacco, Kunst und Kulturverein, Aschersleben |2003 Alto impatto ambientale a cura di Marinella Paderni, Chiostri di S. Domenico, Reggio Emilia. 2005 The garden personale, presentazione di Luca Beatrice, Della Pina Pietrasanta | Premio Cairo, Palazzo della Permanente, Milano| XIV Quadriennale d’ Arte ANTEPRIMA, Palazzo della Promotrice Torino | 55° Premio Michetti, Francavilla al Mare | Più opere al Mar di Ravenna, Le nuove acquisizioni del Museo a cura di Claudio Spadoni | Open space, a cura di Alberto Zanchetta e Lara Facco, Centro Candiani, Mestre| 2008 Premio Termoli a cura di Valerio Dehò 2009 Plenitudini a cura di Alberto Zanchetta, Galleria d’Arte Moderna di San Marino. 2010 Still a live,a cura di Ugo Pastorino e Giuseppe Maraniello, Fondazione Arnaldo Pomodoro, Milano. 2011 Mentali fragili equilibri, galleria Romberg a cura di Gianluca Marziani| La costante cosmologica a cura di Gianluca Marziani, Fondazione Rocco Guglielmo, Catanzaro | 54° Esposizione d’arte di Venezia a Cura di Vittorio Sgarbi, Padiglione Regionale dell’Emilia Romagna Chiostri di San Pietro Reggio Emilia. 2012 E bianca- Selvatico, a cura di Massimiliano Fabbri, Lugo. 2014 Una testa che guarda- Selvatico, a cura di Massimiliano Fabbri, Museo Civico S. Rocco Fusignano. 2015 Close – UP – Il primo piano sulla pittura Italiana, a cura di Gianluca Marziani, Palazzo Collicola Spoleto | Disseminazioni, a cura di Gino Gianuizzi, Casabianca, Zola Predosa (Bo) | Fragilitas Mortalis Renato Serra,a cura di Marisa Zattini, bipersonale con Federico Guerri, Maison de l’Union Européenne Lussemburgo | In principio è la terra a cura di Matteo Galbiati e K. McManus, Forte di Gavi Libarna. 2017 Rivoluzioni, personale Palazzo Ducale di Massa a cura di Daniele Lucchesi presentazione di Alberto Zanchetta| La stagione del disincanto personale a cura di Giancarlo Papi, Museo Far, Rimini | Five years galleria Montoro 12, Roma | Mias Mid-career Italian artists a cura di Roberto Brunelli, galleria Giampiero Biasutti, Torino | 2018 Ascolta il tuo respiro personale a cura di Alberto Zanchetta al MAC di Lissone| Fragile levità, personale, Festival Art Stays, Ptuj Slovenia | Omaggio a Stojan Kerbler a cura di Dusan Fiser, galleria Mesta di Ptuj | Ixion, le nuove acquisizioni del Museo, a cura di Alberto Zanchetta MAC Lissone | Visibile Invisibile Desiderio e Passione Biennale del Disegno di Rimini, a cura di Massimo Pulini | Vie Periferiche a cura di Roberta Bertozzi, bipersonale con Verter Turroni, Cristallino Cesena | Ultimi paesaggi a cura di Franco Bertoni al centro Doc, Imola. 2019 Assonances, a cura di Giovanna Sarti Alliance Française, Bologna | Nulla che non sia ovunque, a cura di Andrea Giusti, prentazione di Milena Becci, Tomav Moresco | Variazioni sulla natura, personale a cura di Franco Bertoni, museo Civico Giuseppa Ugonia, Brisighella | Visionari e apocalittici, a cura di Claudio Spadoni, Magazzini del Sale Cervia | Atlante dei margini e delle superfici, a cura di Massimiliano Fabbri, casa Varoli, Cotignola | Limen una terra chiamata orizzonte a cura di Milena Becci, artisti visivi e poeti negli spazi del Conventino di Monteciccardo | Art As A Virus un progetto di Roberta Bertozzi,un racconto sui mesi di quarantena, Cristallino Cesena. 2021 Inventario Varoli della copia e dell’ombra a cura di Massimiliano Fabbri Ex ospedale di Cotignola | 141- Un secolo di disegno in Italia a cura di Maura Pozzati e Claudio Musso, Fondazione del Monte di Bologna, esposizione sulle evoluzioni del segno in cento anni di arte italiana. 2022 Uomo Natura collettiva a cura di Milena Becci nelle sedi dello Spazio Bianco del Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro e nello spazio di Michele Alberto Sereni. 2023 Note di sguardi evento a cura di Giovanna Sarti, Gino Gianuizzi e Sara Bernshausen un progetto fotografico che vede coinvolte in contemporanea le città di Cervia, Bologna e Berlino | Strappare con cura personale con presentazione di Sabina Ghinassi, galleria Pallavicini 22 Ravenna | Strappare all’eco l’ultima parola, a cura di Alberto Zanchetta a PVQ di Pievequinta, Forli.| Anatomia imperfetta, personale a cura di Roberta Ridolfi, Spazio Bianco Fondazione Pescheria Pesaro | Siamo monadi, siamo nomadi a cura di Antonello Tolve, direzione artistica di Andrea Giusti, Tomav di Moresco | Ai Bordi\Buondary indagini nomadiche Bagnile, presentazione di Giovanna Sarti, Stefania Rossl e Gino Gianuizzi, Cesena. 2024 Contemplativa a cura di Roberta Ridolfi, varie sedi centro storico di Gradara.


Fiume, 2023. Proiezione analogica ed elementi naturali, intervento in ambiente. Ph Michele Alberto Sereni, Spazio Bianco Pescheria di Pesaro

Anatomia imperfetta, 2023. Veduta parziale dell’allestimento, (A sinistra e a destra) Tutto è sospeso, fotografia su pellicola analogica cm. 60 x 80,( Al centro) Paesaggio, grande immagine con elemento naturalecm. 250 x 160. Ph Michele Alberto Sereni, Spazio Bianco Pescheria di Pesaro

Anatomia Imperfetta, 2023. Veduta dell’allestimento Ph Michele Alberto Sereni, Spazio Bianco Pescheria di Pesaro

Bosco, 2024. Pastello e olio su carta su legno cm. 9 x 12

Tutto è sospeso, 2023.Fotografia su pellicola analogica cm. 60 x 80




