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#paroladartista #intervistaartista #artistinterview #mikayelohanjanyan
Parola d’Artista: Ciao Mikayel, per la maggior parte degli artisti l’infanzia rappresenta l’età dell’oro quella in cui cominciano a manifestarsi i primi sintomi di una certa propensione ad appartenere al mondo dell’arte. E’ stato così anche per te? Racconta?
Mikayel Ohanjanyan: Credo fermamente che la maggior parte degli esseri umani abbia la capacità creativa. Indubbiamente nell’età dell’infanzia questa capacità è più presente per il semplice fatto che l’individuo è ancora libero.
Certamente dipende anche dalla sensibilità e dal carattere della persona, e sopratutto dalle condizioni circostanti che creano un terreno fertile o meno, garantendo che il singolo manifesti e sviluppi la propria creatività in uno o l’altro campo.
Se mancano queste condizioni, la creatività svanisce.
Come per gli altri, anche nel mio caso, la creatività, si è manifestata nell’età dell’infanzia. Sin da piccolo mi piaceva disegnare e modellare, grazie probabilmente alle motivazioni che ricevevo dai miei nonni artigiani e alla sensibilità dei miei genitori, in particolare da mia madre.
Infatti avendo notato questa mia particolare attenzione, i miei genitori mi avevano fatto iscrivere anche alla scuola d’arte, oltre a quella elementare.
In seguito, il desiderio di diventare artista, scultore, è diventato incisivo, un po dovuto alla mia crescente curiosità e un pò agli stimoli esterni, come ad esempio il paesaggio stesso dell’Armenia con la sua millenaria cultura e la tradizione di lavorazione delle pietre. Oppure, gli infiniti racconti sull’arte e sulla vita degli artisti dei miei maestri della scuola d’arte.
La vera consapevolezza e la scelta di fare artista invece è arrivata successivamente, dopo numerosi dubbi, anche se la dedizione all’arte è stata sempre totale, come adesso.
Quell’età d’oro, come la chiami tu, indiscutibilmente è la base che mi ha permesso e mi permette ancora oggi di camminare ed accogliere esperienze nuove, sia dal punto di vista di pensiero e sentimenti, che tecnico, e tutta questa commistione continua a consentirmi di trovare l’ispirazione per le mie opere.
P.d’A.: Dopo i primi studi come è proseguita la tua formazione?
M.O.: Al termine della scuola media e la scuola d’arte, mi sono iscritto al Liceo Superiore d’Arte dell’Armenia, e a seguito di questo all’Accademia di Belle Arti di Yerevan.
Nel 2000 mi sono trasferito a Firenze, iscrivendomi all’Accademia di Belle Arti di Firenze, dopo una prima visita in Italia nel 1998 per la partecipazione alla Biennale Internazionale di Scultura di Ravvena di piccolo formato in bronzo, organizzato dal Centro e la Biblioteca Dantesca di Ravenna, dove avevo vinto il terzo premio pur essendo il più giovane partecipante nella storia di quella Biennale.
Questo è il percorso della formazione accademica.
La vera formazione invece si è evoluta e continua ad evolversi man mano grazie agli incontri e confronti, all’osservazione non solo del mondo dell’arte e la sua millenaria storia stratificata, ma di tutto ciò che mi circonda, della realtà e della vita con tutte le sue sfumature politiche, sociali, economiche e soprattutto culturali.
P.d’A.:Durante questi anni hai incontrato delle persone che ti hanno aiutato a mettere a fuoco il tuo percorso?
M.O.: Ho avuto la grande fortuna di aver avuto dei bravissimi professori, e di aver incontrato delle persone straordinarie, che ognuno di loro in diverse fasi della mia vita e della mia formazione ha saputo insegnarmi moltissime cose.
Ricordo di Nelson Shirvanyan e Garegin Davtyan, i Professori di scultura in Armenia, che mi hanno insegnato a leggere la Scultura e la Forma.
Ricordo di Piero Beni, esperto dei canti gregoriani e il Professore della storia della musica e dello spettacolo all’Accademia di Belle Arti di Firenze, con quale ho avuto la fortuna di approfondire dei temi filosofici e concettuali, che mi hanno sempre interessato, e in certo senso hanno plasmato la mia visone della vita e dell’arte, mescolata tra la storia, la cultura e l’attualità.
I nomi da citare che hanno saputo rispondere bene alle mie curiosità, e che passo per passo hanno formato ciò che sono oggi in realtà sarebbero tanti.
Ovviamente accanto a loro non mancano i nomi dei grandi Maestri della storia dell’arte di diverse epoche e diverse culture, direi le Culture stesse. Alcuni di loro più importanti all’inizio, poi altri, che hanno avuto la priorità nella scala della mia sensibilità concettuale ed estetica.
Non posso non citare il nome di Adelina Von Furstenberg, curatrice di fama internazionale, con quale prima volta ho avuto la fortuna di lavorare per il Padiglione Nazionale dell’ Armneia nel 2015 alla Biennale di Venezia, dove l’Armenia ha vinto il Leone d’Oro come miglior partecipazione nazionale.
A seguito di questa straordinaria esperienza, con Adelina ho lavorato anche per la prima Triennale Internazionale d’Arte Contemporanea dell’Armenia nel 2017, e nel 2018 per il Premio Internazionale Enrico Marinelli, organizzato da Guild of the Dome e dall’Opera e il Museo di Santa Maria del Fiore di Firenze, dove la mia opera, dopo il concorso, è entrata a far parte della collezione permanente.
Ancora oggi con Adelina ci sentiamo spesso ed è sempre un piacere immenso conversare con lei sui temi dell’arte, dell’attualità e della cultura. Ogni volta è una nuova apertura di orizzonti del pensiero.
Infine, riprendendo un po’ la risposta della seconda domanda, in questo percorso complesso di formazione gradualmente penetrava la mia capacità di osservare la vita e soprattutto le persone.
Credo ciò che riesce a mettere a fuoco il mio percorso d’oggi, sia proprio la vita e le infinite manifestazioni del comportamento dell’essere umano.
P.d’A.: Ieri quando ci siamo incontrati ad un certo punto hai detto ho scoperto quanto fosse importante la cultura Armena per me una volta che sono arrivato in Italia. Volevo chiederti di parlare di questo aspetto?
M.O.: Ognuno di noi nel percorso della sua vita si avvicina alla propria cultura, approfondendola o meno a seconda della propria curiosità.
Credo però che la vera consapevolezza della propria cultura avviene soltanto dal distacco temporaneo e soprattutto dal confronto di essa con le altre culture, direi dalla capacità di trovare le connessioni remote ed attuali con le altre culture.
Cioè, per capire la propria cultura bisognerebbe poter continuamente staccarsi ed avvicinarsi ad essa, in modo che si riesca a percepirla come un tassello di una realtà unica più grande, come un organismo dinamico.
Penso anche, che contemporaneamente a questa consapevole conoscenza o riscoperta della propria cultura, si inizino a capire e percepire le altre culture, come parte integrante di quella dell’origine.
Un po’ come l’individuo, se uno non ha la consapevolezza di sé stesso, non potrà mai capire l’altro. Ma per avere una consapevolezza di sé stesso, è necessario capire gli altri.
Così ho iniziato man mano riscoprire la mia propria cultura e le sue connessioni con le altre culture, tra cui anche quella Italiana, dopo essermi allontanato da essa, pur tornandovi spesso.
Ecco perché la cultura Armena per me diventa importante, in quanto attraverso questo continuo passaggio riesco a trovare i modi per esprimere i miei pensieri in chiave universale.
P.d’A.: Brancusi in uno dei suoi aforismi dice:” non è difficile fare le cose, la cosa difficile è mettersi nella condizione di poterle fare”. alcuni artisti per calarsi in questa condizione propizia hanno messo appunto dei “rituali” c’è chi ha bisogno di un luogo preciso, chi lavora continuamente ed ha bisogno di sentirsi assediato da quello che fa… e tu?
M.O.: Il processo del mio “fare le cose” direi si evolvano principalmente su due sentieri separati, ma allo stesso tempo strettamente legati uno all’altro, indispensabili uno all’altro.
Il primo è il processo di osservazione e di raccogliere senza un vero motivo preciso, come se immagazzinassi tutto quello che mi capita, sentimenti, immagini, avvenimenti e comportamenti.
In questa fase, spinto dalla curiosità, assorbo tutto in ogni minimo dettaglio, non necessariamente legato all’arte, direi più legato alla vita e all’essere umano, e tutto questo col tempo si addensa.
La seconda invece è quella, in cui tutta questa condensazione di esperienze vissute e raccolte, provocano dei pensieri e delle riflessioni, focalizzandosi in un concetto, in un’opera.
In questa fase, anch’io ho bisogno di trovarmi nel mio Spazio, dove il processo di creazione diventa una forma di meditazione, un Luogo dove tutto è connesso. In questo Spazio è fondamentale percepire la vibrazione interiore, quindi ogni cosa superflua o estranea viene esclusa.
Qui la forma, la scultura, in virtù delle esperienze vissute, diventa la cristallizzazione di quella vibrazione, da cui si è creato tutto, e a sua volta la scultura stessa inizia a vibrare.
Queste due fasi si alternano continuamente senza sovrapporsi l’un l’altra e senza interrompersi, e spesso si evolvono contemporaneamente.
P.d’A.:Questo doppio canale o doppio legame si manifesta anche nei tuoi lavori attraverso i cavi d’acciaio che legano fra loro i blocchi di pietra?
M.O.: Questo legame credo non sia solo doppio, ma pluridimensionale, che allo stesso tempo è interconnesso, più si procede, e più si allarga il raggio delle connessioni in cui si scoprono delle nuove dimensioni fisiche o metafisiche.
Il tema dei “Legami” nasce dal fatto, che in alcuni momenti ho la percezione di vivere in perfetta sintonia con ogni minima vibrazione dello Spazio contenente il Tutto, cioè lo spazio stesso, il tempo, la natura, la materia e il suo ritmo, gli avvenimenti e l’essere umano, proprio tutto. Ciò significa che i legami hanno il potere di farci sentire con vibranti contemporaneamente con tutto quello che ci circonda.
Sono anche il punto in cui riscopriamo il valore dell’Unità e della coesione, il topos in cui si ricongiungono i due opposti, e nonostante questo, i legami con tutta la loro ricchezza simbolica rappresentano un limite, una soglia da superare.
Quindi i legami diventano indispensabili per un nuovo slancio e un nuovo cammino, un punto cruciale in cui si innesca la scintilla verso l’ignoto, che ci impone di superare il perimetro della nostra personalità, cioè di scoprire noi stessi.
Si, i miei lavori recenti sono manifestazioni di questo mio continuo viaggio e riflessione sul tema dei legami, dove cerco di raccontare metaforicamente questa complessa ed infinita realtà.
P.d’A.: Fra i vari legami che coesistono nel tuo lavoro ne esiste uno anche con la dimensione del sacro?
M.O.: Ad oggi non ho avuto delle occasioni per realizzare delle opere per i luoghi sacri su questo tema, anche se a breve dovrei iniziare la realizzazione delle opere liturgiche per una nuova chiesa dedicata a Don Giovanni Bosco a Bagheria, in Sicilia. Il progetto prevede la creazione dell’altare, dell’ambone e della fonte battesimale, tutti concepiti attorno al tema dei “Legami”.
In ogni caso, credo che la mia opera, anche nel caso di questo progetto della chiesa, sia più nella dimensione spirituale, che in quella sacra o religiosa.
Questo è dovuto probabilmente a vari fattori, come ad esempio la cultura armena, o in generale le culture arcaiche, o forse dal fatto che penso che la vera Arte sia semplicemente la Vita, e tutti i sentieri della vita, compreso quelli delle arti, siano delle opportunità uniche per comprendere ed arrivare al significato della Vita, contemplarla vivendo.
Quindi i “Legami” per me diventano delle Porte o delle Soglie, così come il simbolo, ogni volta mi danno l’opportunità di osservare le cose da un’angolazione completamente nuova, e di ricominciare tutto da nuovo.
English text
Interview to Mikayel Ohanjanyan
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Parola d’Artista: Hi Mikayel, for most artists childhood represents the golden age when the first symptoms of a certain propensity to belong to the art world begin to appear. Was that the case for you too? Do tell?
Mikayel Ohanjanyan: I firmly believe that most human beings have the capacity for creativity. Undoubtedly in childhood, this capacity is more present simply because the individual is still free.
Of course, it also depends on the sensitivity and character of the person, and above all on the surrounding conditions that create a fertile ground or not, ensuring that the individual manifests and develops his creativity in one or another field.
If these conditions are lacking, creativity vanishes.
As with others, creativity, in my case too, manifested itself in childhood. From an early age, I enjoyed drawing and modelling, probably thanks to the motivation I received from my grandparents who were craftsmen and the sensitivity of my parents, particularly my mother. In fact, having noticed this particular focus of mine, my parents had also enrolled me in art school, in addition to elementary school.
Later on, the desire to become an artist, a sculptor, became incisive, partly due to my growing curiosity and partly to external stimuli, such as the landscape of Armenia itself with its millenary culture and tradition of stone carving. Or, the endless stories about art and the lives of artists from my art school teachers.
The real awareness and the choice to be an artist, on the other hand, came later, after many doubts, although the dedication to art was always total, as it is now.
That golden age, as you call it, is unquestionably the basis that has allowed me and still allows me to walk and take in new experiences, both from the point of view of thought and feelings, and from the technical point of view, and all this mixture continues to allow me to find inspiration for my works.
P.d’A.: After your initial studies, how did your training continue?
M.O.: After finishing secondary school and art school, I enrolled in the Armenian High School of Art, and after that in the Yerevan Academy of Fine Arts.
In 2000, I moved to Florence, enrolling at the Academy of Fine Arts in Florence, after a first visit to Italy in 1998 to participate in the Ravvena International Biennial of Small Bronze Sculpture, organised by the Centro e la Biblioteca Dantesca in Ravenna, where I won third prize despite being the youngest participant in the history of that Biennial.
This is the path of academic training.
My real training, on the other hand, has evolved and continues to evolve as I go along thanks to encounters and comparisons, to the observation not only of the art world and its millenary stratified history, but of everything that surrounds me, of reality and life with all its political, social, economic and above all cultural nuances.
P.d’A.:During these years have you met people who have helped you to focus on your path?
M.O.: I have had the great fortune to have had some very good professors, and to have met some extraordinary people, each of whom at different stages of my life and education has been able to teach me many things.
I remember Nelson Shirvanyan and Garegin Davtyan, the Sculpture Professors in Armenia, who taught me how to read Sculpture and Form. I remember Piero Beni, an expert on Gregorian chants and the Professor of the History of Music and Performing Arts at the Academy of Fine Arts in Florence, with whom I had the good fortune to delve into philosophical and conceptual themes, which have always interested me, and in a certain sense shaped my vision of life and art, mixed with history, culture and current affairs.
The names to mention that have been able to respond well to my curiosity, and that step by step have shaped what I am today would be many.
Obviously alongside them are the names of the great masters of art history from different eras and different cultures, I would say the Cultures themselves. Some of them more important in the beginning, then others, who have taken priority on the scale of my conceptual and aesthetic sensitivity.
I cannot fail to mention the name of Adelina Von Furstenberg, an internationally renowned curator, with whom I first had the good fortune to work for the National Pavilion of Armneia in 2015 at the Venice Biennale, where Armenia won the Golden Lion as the best national participation.
Following this extraordinary experience, I also worked with Adelina for the first International Triennial of Contemporary Art of Armenia in 2017, and in 2018 for the Enrico Marinelli International Prize, organised by Guild of the Dome and the Opera and Museum of Santa Maria del Fiore in Florence, where my work, after the competition, became part of the permanent collection.
To this day we still talk often with Adelina and it is always an immense pleasure to converse with her about art, current affairs and culture. Each time is a new opening of horizons of thought.
Finally, picking up a little on the answer to the second question, my ability to observe life and, above all, people, gradually penetrated into this complex path of education.
I think what my journey today manages to focus on is precisely life and the infinite manifestations of human behaviour.
P.d’A.: Yesterday when we met at a certain point you said I discovered how important Armenian culture was for me once I arrived in Italy. I wanted to ask you to talk about this aspect?
M.O.: Each of us in the course of our lives gets closer to our own culture, deepening it or not depending on our curiosity.
However, I believe that true awareness of one’s own culture only comes from temporarily detaching oneself from it and above all from comparing it with other cultures, I would say from the ability to find remote and current connections with other cultures.
That is, to understand one’s own culture, one must be able to continuously detach oneself from it and get closer to it, so that one is able to perceive it as a piece of a larger single reality, as a dynamic organism.
I also think, that at the same time as this conscious knowledge or rediscovery of one’s own culture, one begins to understand and perceive other cultures as an integral part of the culture of origin.
A bit like the individual, if one does not have self-awareness, one can never understand the other. But to have an awareness of oneself, one must understand others.
That is how I gradually began to rediscover my own culture and its connections with other cultures, including the Italian culture, after having moved away from it, although I return to it often.
That is why the Armenian culture becomes important to me, as through this continuous transition I am able to find ways to express my thoughts in a universal key.
P.d.A.: Brancusi says in one of his aphorisms: “it is not difficult to do things, the difficult thing is to put oneself in the condition of being able to do them”. some artists, in order to put themselves in this propitious condition, have set up “rituals”. there are those who need a precise place, those who work continuously and need to feel besieged by what they do… and you?
M.O.: The process of my ‘doing things’ I would say evolves mainly along two separate paths, but at the same time closely linked to each other, indispensable to each other.
The first is the process of observing and collecting for no real reason, as if I were storing everything that happens to me, feelings, images, events and behaviour.
In this phase, driven by curiosity, I absorb everything in the smallest detail, not necessarily related to art, I would say more related to life and the human being, and all of this thickens over time.
The second, on the other hand, is the one in which all this condensation of lived and collected experiences provokes thoughts and reflections, focusing in a concept, in a work. At this stage, I also need to be in my Space, where the process of creation becomes a form of meditation, a Place where everything is connected. In this Space it is essential to perceive the inner vibration, so everything superfluous or extraneous is excluded.
Here the form, the sculpture, by virtue of lived experience, becomes the crystallisation of that vibration, from which everything was created, and in turn the sculpture itself begins to vibrate.
These two phases alternate continuously without overlapping each other and without interrupting, and often evolve simultaneously.
P.d’A.:Does this double channel or double bond also manifest itself in your work through the steel cables that bind the stone blocks together?
M.O.: This bond, I believe, is not only double, but multidimensional, which at the same time is interconnected, the further you go, the wider the radius of connections in which you discover new physical or metaphysical dimensions.
The theme of ‘Ties’ stems from the fact, that at certain times I have the perception that I live in perfect harmony with every slightest vibration of the Space containing the Whole, i.e. space itself, time, nature, matter and its rhythm, events and the human being, just everything. This means that connections have the power to make us feel vibrantly at the same time with everything around us.
They are also the point at which we rediscover the value of unity and cohesion, the topos in which the two opposites are reunited, and despite this, ties with all their symbolic richness represent a limit, a threshold to be crossed.
So bonds become indispensable for a new impetus and a new path, a crucial point at which the spark towards the unknown is ignited, which requires us to go beyond the perimeter of our personality, that is, to discover ourselves.
Yes, my recent works are manifestations of this continuous journey and reflection of mine on the theme of bonds, where I try to metaphorically narrate this complex and infinite reality.
P.d’A.: Among the various bonds that coexist in your work, is there also one with the dimension of the sacred?
M.O.: To date, I have not had any opportunities to create works for sacred places on this theme, although I should soon start creating liturgical works for a new church dedicated to Don Giovanni Bosco in Bagheria, Sicily. The project includes the creation of the altar, ambo, and baptismal font, all conceived around the theme of ‘Ties’. In any case, I think my work, even in the case of this church project, is more in the spiritual dimension, rather than the sacred or religious dimension.
This is probably due to various factors, such as the Armenian culture, or archaic cultures in general, or perhaps from the fact that I think true Art is simply Life, and all paths in life, including those of the arts, are unique opportunities to understand and arrive at the meaning of Life, to contemplate it by living it.
So the ‘Ties’ for me become Gates or Thresholds, as well as the symbol, each time giving me the opportunity to look at things from a completely new angle, and to start all over again.

H.130 x 362 x 55 cm, H.131 x 349 x 65 cm
Quarzite indiano, ferro, acciaio inox
Collezione dell’artista.
Foto di Nicola Gnesi.

Foto Nicola Gnesi

H.150 x 600 x 120 cm.
Ferro, marmo statuario, cavi d’acciaio inox.
Collezione Yorkshire Sculpture Park.
Foto di Jonty Wilde.

H.150 x 600 x 120 cm.
Ferro, marmo statuario, cavi d’acciaio inox.
Collezione Yorkshire Sculpture Park.
Foto di Jonty Wilde.

H.150 x 600 x 120 cm.
Ferro, marmo statuario, cavi d’acciaio inox.
Collezione Yorkshire Sculpture Park.
Foto di Jonty Wilde.

Installazione composta di quattro elementi, lungo 15 m, gli elementi: massimo H.120 cm, minimo H.40 cm. Basalto grigio, cavi d’acciaio.
Collezione privata.
Foto di Vahan Stepanyan

Installazione composta da tre elementi, lungo 8 m. H.20 x 330 x 25 cm, H.20 x 260 x 25 cm, H.12 x 125 x 15 cm.
Travi di castagno, cavi d’acciaio inox, cunei di acciaio ossidati.
Collezione dell’artista

H.75 x 65 x 65 cm, H.33 x 40 x 28cm, H.27 x 40 x 30 cm
Basalto, cavi d’acciaio inox.
Collezione Museo del Bambino – Complesso museale Santa Maria della Scala di Siena
Foto di Nicola Gnesi.

H.130 x 362 x 55 cm, H.131 x 349 x 65 cm
Quarzite indiano, ferro, acciaio inox
Collezione dell’artista.
Foto di Nicola Gnesi.
