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#paroladartista #disegno #drawing #lucascarabelli
Parola d’Artista: Che importanza e che valore ha il disegno nel tuo lavoro?
Luca Scarabelli: Basta il disegno e il disegno basta a se stesso. Basta con il disegno?
Il disegno è tante cose, a volte si crede manifestatore di cose miracolose, altre fa emergere rapporti dialettici tra ciò che sta sotto e ciò che sta sopra l’immaginario, è schizzo preparatorio per un dipinto o una scultura – o un progetto per un’architettura o altro – o autarchico momento autonomo, è liberatorio, terapeutico, smorza l’ansietà, è proiezione di inconsci personali, espressione dinamica gestuale, traccia fenomenica rappresentativa, è esaltatore di memorie, figurale drammaturgo che divide e separa astratto e figurativo, a volte fa sudare.
Per molti artisti è uno strumento espressivo primario, la storia dell’arte è ricca di esempi… sia nella forma spontanea di registrazione immediata di un’idea, abbozzi, o di scarabocchi fatti in varie occasioni (si noti come l’uso del cellulare ha praticamente interdetto e fatto scomparire il disegno inconscio, “involontario” e spensierato realizzato al telefono) sia nell’elaborazione raffinata e complessa, attenta, metodica e analitica di studi e bozzetti.
Si presta. Il disegno è prestante. A volte il disegno invece si fa decisamente anche i fatti suoi. Il disegno mi sorprende, è sorprendente, è un dispositivo rivelatore, è sperimentale, è azzardato, è ragionato, è esplorazioni di territori conosciuti e sconosciuti.
Esegui un disegno stando in studio, seduto, in piedi, appoggiato al cavalletto poco prima del passaggio alla pittura, all’aperto, con gli occhi attenti, con la testa altrove. Difficilmente si sente qualcuno che disegna coricato, nasce a volte dal caso, altre da errori e/o da salti nell’ignoto, o da studi gravosi. Un disegno può aprire nuove strade, aprire finestre, rimarcare il vissuto, essere usato come ricalco e ripresa, essere presentato ed esposto o rimanere secretato in un cassetto per essere successivamente riscoperto oppure dimenticato nell’atelier come scarto, come semplice prova, una registrazione estemporanea abbandonata.
Cosa è il disegno per la mia attività?
È un esercizio di stile, un corpo vissuto, un’unità non originale, che viene sempre dopo e mai prima. Dopo l’opera.
Non è per nulla importante il disegno per quello che faccio, non disegno quasi mai, non penso attraverso il disegno, a meno di non considerare i collage dei disegni readymade, ma sembra un po’ azzardato. Non compio studi appassionati, non uso il disegno come progetto, non uso il disegno per lasciar traccia di una riflessione, nel tentativo – mai esaurito – di comprendere la realtà attraverso la sua rappresentazione o presentazione. Investe i miei occhi, ma diversamente. È nel tempo che lo trovo.
Mi piacciono molto i disegni, elogio e apprezzo il disegno nelle sue molteplici forme espresse dalle mani e dagli sguardi degli artisti. Gli altri artisti. Sono un disegnatore pessimo e sempre in ritardo. Potrei pensare ad un “Gabinetto di disegni e stampe” – riprendendo la denominazione usata nel Rinascimento – dove presentare una raccolta dei miei disegni preferiti degli altri artisti. Ho una piccola collezione di disegni da far vedere.
Non disegni? Non disegno.
Per concludere e sottolineare il concetto; il disegno per il mio lavoro non ha nessuna importanza. Sono una pecora nera del disegno (1802).
Ecco il mio disegno è residuale, di secondo grado, non è una premessa, casomai una promessa, probabilmente nel mio lavoro è un’opera da non far vedere, opera sui generis… è un gesto mentale, una traccia periferica, una possibile verifica (incerta… cit.), forse uno scarto a posteriori e non lo posso comunque impedire. Paradossalmente mi piace molto realizzare queste piccole meditazioni post attorno ai lavori, tanto quanto al contrario mi annoia attivarmi nella pratica dedicata al classico disegno della copia dal vero. Ho archiviato decine di agende con centinaia e centinaia di piccoli disegni di miei lavori, traduzioni in miniatura, microdisegni, piccole impressioni veloci della loro forma, con le misure, con la loro collocazione ideale nello spazio, con le relazioni possibili tra i vari lavori, questo anche con piccoli accenti di colore, un colore sempre smorto, trascinato, diafano, il titolo e poco altro.
Disegni segreti? A volte sono anche molto appassionati. Sono disegni decisamente post. Tracciano una differenza e evidenziano una distanza. Un disegno senza scopo? In realtà lo hanno uno scopo, ma minimo, sotteso, essenzialmente pratico, da agenda. È un disegno fatto anche a memoria, un disegno che traduce e in parte tradisce, per ricordarsi in fieri di quello che si è appena fatto. Nel mio caso il disegno è sempre impaziente, sensibile, instabile, fluttuante, arriva in ritardo, e con questo mi rammenta che l’opera è in opera e ad un certo momento si è fermata. A volte, anche nella sua povertà e semplicità, sostituisce la documentazione fotografica, come appunto grafico descrive, è una nota, denota. L’opera si è arrestata nel punto giusto solo quando il piccolo disegno ne ha colto l’apparenza. Dimenticavo, sono quasi sempre disegni, memorie spaziali di un’azione, realizzati con la penna Bic ad inchiostro nero.
La data del 1802 è inserita con valore enigmatico. È la data in cui Schiller cerca di spiegare con decisa convinzione a Madame de Stael, che l’attività creativa non debba servire a niente. Parlava di una finalità senza fine come valore supremo.
English text
On drawing Luca Scarabelli
#paroladartista #disegno #drawing #lucascarabelli
Parola d’Artista: What importance and value does drawing have in your work?
Luca Scarabelli: Drawing is enough and drawing is enough. Is drawing enough?
Drawing is many things, sometimes it is believed to be the manifestator of miraculous things, others it brings out dialectical relationships between what is below and what is above the imaginary, it is a preparatory sketch for a painting or a sculpture – or a project for architecture or something else – or an autonomous moment, it is liberating, therapeutic, it dampens anxiety, it is a projection of personal unconsciousness, a dynamic gestural expression, a phenomenal representational trace, it is an enhancer of memories, a figural dramatist that divides and separates abstract and figurative, it sometimes makes one sweat.
For many artists, it is a primary expressive tool, and the history of art is full of examples… both in the spontaneous form of the immediate recording of an idea, sketches, or scribbles made on various occasions (note how the use of mobile phones has practically interdicted and made the unconscious, ‘involuntary’ and carefree drawing made on the telephone disappear) and in the refined and complex, careful, methodical and analytical elaboration of studies and sketches.
It lends itself. Drawing lends itself. Sometimes the drawing definitely does its own thing. Drawing surprises me, it is surprising, it is a revealing device, it is experimental, it is risky, it is reasoned, it is explorations of known and unknown territories.
Execute a drawing while in the studio, sitting, standing, leaning against the easel just before the transition to painting, outdoors, with your eyes alert, your head elsewhere. One hardly ever hears someone drawing while lying down; it is sometimes born of chance, sometimes from mistakes and/or leaps into the unknown, or from burdensome studies. A drawing can open new paths, open windows, mark the lived experience, be used as a tracing and resumption, be presented and exhibited or remain secreted in a drawer to be later rediscovered or forgotten in the atelier as a scrap, a simple proof, an extemporaneous recording abandoned.
What is drawing for my business?
It is an exercise in style, a lived body, a non-original unit, which always comes after and never before. After the work.
Drawing is not at all important to what I do, I almost never draw, I do not think through drawing, unless I consider collages to be readymade drawings, but that seems a bit far-fetched. I do not make passionate studies, I do not use drawing as a project, I do not use drawing to leave a trace of reflection, in an attempt – never exhausted – to understand reality through its representation or presentation. It invests my eyes, but differently. It is in time that I find it.
I really like drawings, I praise and appreciate drawing in its many forms expressed by the hands and looks of artists. Other artists. I am a bad draughtsman and always late. I could think of a ‘Cabinet of Drawings and Prints’ – borrowing the name used in the Renaissance – where I could present a collection of my favourite drawings of other artists. I have a small collection of drawings to show.
You don’t draw? I don’t draw.
To conclude and emphasise the point; drawing for my work is of no importance. I am a black sheep of drawing (1802).
So my drawing is residual, second-degree, it is not a premise, if anything it is a promise, probably in my work it is a work not to be shown, a sui generis work… it is a mental gesture, a peripheral trace, a possible verification (uncertain… cit.), perhaps an a posteriori rejection and I cannot prevent it in any case.
Paradoxically, I really enjoy making these small post meditations around the works, as much as I get bored with the practice of drawing the classic copy from life. I have archived dozens of diaries with hundreds and hundreds of small drawings of my works, miniature translations, micro-drawings, quick little impressions of their form, with their measurements, with their ideal location in space, with the possible relationships between the various works, this also with small accents of colour, a colour that is always muted, drab, diaphanous, the title and little else.
Secret drawings? Sometimes they are also very passionate. They are definitely post drawings. They trace a difference and highlight a distance. A drawing without a purpose? Actually they do have a purpose, but a minimal one, subtended, essentially practical, by diary. It is also a drawing made from memory, a drawing that translates and partly betrays, to remind oneself in fieri of what one has just done. In my case, the drawing is always impatient, sensitive, unstable, fluctuating, it arrives late, and with this it reminds me that the work is in progress and at a certain moment it has stopped. Sometimes, even in its poverty and simplicity, it supersedes photographic documentation, as a graphic describes, is a note, denotes. The work only stopped at the right point when the small drawing caught its appearance. I forgot, they are almost always drawings, spatial memories of an action, made with the Bic pen in black ink.
The date 1802 is inserted with enigmatic value. It is the date on which Schiller tried to explain with firm conviction to Madame de Stael that creative activity should serve no purpose. He spoke of endless purpose as the supreme value

non disegno

agenda bio

agenda chim

agenda with

agende

bic


ecco un bel pesciolino rosso! 2016
