Sul disegno Simone Pellegrini

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#paroladartista #disegno #drawing #simonepellegrini

Disegno e manomissione.

È una avanzata e non un adagio.

La mano in rivolta si è fatta tra sterminio e semina al punto che di ieri in ieri si è continuata la conta sul fronte del compiuto.

È anche mano da soma che si lavora nello scorno per il prossimo maggese che medita l’offesa e poi si allunga passando il limite fino a che non è più cosa, fino a che davvero questo non si può vedere ma ancora intuire.

Ma dove nel determinato, emerso a forza, spunta un bordo, una presa, un labbro tangibile della violenza impressa, allora ci si attarda a cesellarlo, con dovizia e malcelata cura, per accommiatarsi dal grado e dal modo raggiunto.

Poi succede la solita catastrofe in cui ritrovarsi impreparati.

E allora! Allora siamo di nuovo con un pugno imperfetto, chiuso,acceso, stretto nel frinire delle migliori intenzioni.

Vale la pena di ricordare gli inizi che furono la prova di un becco o del profilo di un cane da punta, e poi un branco, una muta, un’involarsi e uno spontaneo migrare che getta ombre su questo spirito da battitore che si andava facendo.

Cominciato certamente per scherno, per esasperazioni, per similitudini, per fissazioni, per piccoli trattenimenti quando non ruberíe e certo anche per le più docili conferme.

Cominciato appena appena e per sempre!

Fin qui è quanto, con una certa naturale disinvoltura, semplicemente capita.

Poi il disegno si rivelerà prova dura senza concessioni, senza mescolanze, strada concussa da inizio a fine sempre senza sopraggiunto miracolo. Si confermerà attesa tutta agita che si fa marcando dal punto al punto, una inospitale peripezia autoportante sempre in fuga dal risultato nonché la forma esausta, trascinata di una perseveranza. Verso dove?

Si tratta, mi sono detto allora, di una destrezza estorsiva da bassifondi, che avanzando agita un’arma da mischia e sfigura senza sosta.

Niente di cui deliziarsi!

Più generalmente si raschia il fondo assecondando un differimento dell’essenziale che non è scarto e neppure deposito ma sottrazione di qualcosa al niente.

Non mancano nel complesso, come detto, certi domiti ritornelli, affermazioni che si spacciano per dimostrazioni, in cui e con cui si articola al dettaglio una sostanza smisurata altrimenti integra che per sempre insiste al contorno dell’ennesimo simulacro come un’aria irrespirata.

Eppure ecco fatta e finita, per un istante, una prova adamantina, che prima non era stata trovata.

Un vero e proprio imbroglio!

I pittori, quelli, se la godono, penso, perché la pittura è un corpo procace che sa farsi loquace anche a sproposito ma chi vive tra gli stenti rodendo l’osso del segno sente come in un crescendo la severità della sua pretesa.

Tracciato affamato, che fiuta e stana le forze nelle forme condotte allo stremo; per qualcuno il disegno è così oppure tanto per iniziare, uno spartito gettato su una pozza.

Diseducato, proiettato nella distanza delle infinite distrazioni si tenterà di dispensarlo da quel destino di similitudini , da quella strategia di metafora su un proscenio di mondo fraterno.

Ecco allora una primavera, un florilegio di astrazioni che coagulano, quasi blasonando, scampando il corpo di apparizione in apparizione.

Comunque…

Dove c’è un rovescio di mondo, nell’incavo, come nel sonno dei fenomeni, si faccia del soggetto un segno e lo si rapporti all’inespresso.

Lo avrete disperato quanto basta!

Il segno è tutta fatica esibita in povertà.

English text

On drawing Simone Pellegrini

#paroladartista #disegno #drawing #simonepellegrini

Drawing and tampering.

It is an advance and not an adage.

The hand in revolt is made between extermination and sowing to the point that from yesterday to yesterday the count on the front of the accomplished has continued.

It is also a hand of burden that works in the discouragement for the next fallow that meditates the offence and then stretches out passing the limit until it is no longer a thing, until indeed this cannot be seen but still sensed.

But where in the determined, forcibly emerged, an edge, a grip, a tangible lip of the imprinted violence emerges, then one lingers to chisel it away, with lavish and ill-concealed care, to bid farewell to the degree and manner achieved.

Then the usual catastrophe happens in which one finds oneself unprepared.

And then! Then we are again with an imperfect, closed fist, clenched in the churning of the best intentions.

Then the design will prove to be a hard trial without concessions, without mixing, a road concussed from beginning to end always without a miracle. It will confirm itself as an agitated wait that is made by marking itself from point to point, an inhospitable self-supporting peripeteia always fleeing from the result as well as the exhausted, dragged form of a perseverance. Towards where?

It is, I said to myself then, a slumming extortionate dexterity, waving a melee weapon and disfiguring relentlessly.

Nothing to delight in!

More generally, one scrapes the bottom by indulging in a postponement of the essential that is neither waste nor deposit but subtraction of something from nothing.

On the whole, as mentioned, there is no lack of certain tame refrains, affirmations that pass themselves off as demonstrations, in which and with which an otherwise intact immense substance is articulated in detail that forever insists on the contours of the umpteenth simulacrum like an irrespirated air.

And yet here, for an instant, is adamantine proof, which had not been found before.

A real hoax!

The painters, those, enjoy it, I think, because painting is a prolific body that knows how to make itself talkative even when it is out of turn, but those who live amidst the hardships gnawing at the bone of the sign feel the severity of their claim as in a crescendo.

Hungry tracing, sniffing and exhausting the forces in forms driven to exhaustion; for someone the drawing is like this, or to begin with, a score thrown on a puddle.

Diseducated, projected into the distance of infinite distractions, one will try to dispense him from that destiny of similes, from that strategy of metaphor on a proscenium of fraternal world.

Here then is a spring, a florilegium of abstractions that coagulate, almost emblazoning, escaping the body from apparition to apparition.

However.

Where there is a reversal of the world, in the hollow, as in the sleep of phenomena, make the subject a sign and relate it to the unexpressed.

You will have it as desperate as it is!