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Parole intorno allo studio d’artista
Il tema dell’abitare, con le sue implicazioni estetiche e concettuali, mi è particolarmente caro in quanto si ricollega alla poetica dei luoghi che ha un ruolo nodale nelle mie opere. La mia ricerca si concentra infatti sui risvolti sentimentali dell’abitare in termini di relazione tra l’uomo e la sua casa e si focalizza sul rapporto che l’individuo instaura con le architetture e il paesaggio senza tralasciare la metafora del muro e del varco come diaframma tra interno ed esterno.
Io abito il mio studio. Abitare, per me, significa dare forma alla reciprocità tra spazio e individuo. Lo studio non è soltanto un luogo di lavoro ma anche un campo di ricerca, è un archivio di memorie e pensieri e un laboratorio di sperimentazione. Il mio metodo di lavoro, tuttavia, mi costringe a lasciare spesso il mio studio. Per la natura della mia ricerca, sempre votata all’indagine dei luoghi in divenire e alle forme ibride, è necessario cambiare frequentemente scenario. Lascio, dunque, per qualche settimana il mio studio che si trova in un palazzo antico nel centro storico di Agrigento e lavoro in altri contesti ambientali. Spesso sono case in stato di abbandono, architetture disabitate o veri e propri ruderi a ospitare la fase germinale dei miei lavori che scaturiscono da una riflessione sul tema della rovina e dall’esplorazione di questi luoghi, in cui mi dedico a raccogliere tracce, frammenti, carte da parti e materiali eterogenei capaci di dare forma e sostanza alla dialettica tra fragilità della materia e fragilità dell’esistenza. Nel passaggio tra spazio abitato e spazio disabitato questi luoghi diventano un’estensione temporanea del mio studio.
Durante la seconda fase di questo processo lavorativo sento l’urgenza di tornare nello studio, che diviene così non soltanto un contenitore di memorie ma anche lo spazio in cui colleziono materiali residui e dove sperimento processi di lavorazione. I diversi frammenti raccolti al di fuori del mio studio, una volta decontestualizzati rispetto al loro luogo di origine, occupano uno spazio estraneo rispetto al loro ambiente originario ed è proprio questo scarto che mi permette di sviluppare un parallelismo concettuale tra il materiale e il paesaggio. In questa fase lo studio, luogo per eccellenza e spazio dell’abitare dell’artista, mi offre occasioni sempre inedite di messa a fuoco dell’opera come forma senza confini. La dialettica interno/esterno sempre presente nei miei dipinti e nei miei disegni guida la mia ricerca nomadica dentro e fuori il mio studio in un processo sempre aperto alla contaminazione e permeabile rispetto a quello che mi circonda. In quanto metafora dell’abitare lo studio è per me luogo d’azione e riflessione insieme, è una risposta al disorientamento da cui si innesca il mio processo di ricerca sempre in divenire e oltre il confine del visibile.
Agrigento, 31 agosto 2023
English text
In the studio of Marilina Marchica
#paroladartista #artiststudio #marilinamarchica
Words around the artist’s studio
The theme of dwelling, with its aesthetic and conceptual implications, is particularly dear to me as it relates to the poetics of place that plays a nodal role in my work. In fact, my research focuses on the sentimental aspects of living in terms of the relationship between man and his home and focuses on the relationship that the individual establishes with architecture and the landscape without neglecting the metaphor of the wall and the gap as a diaphragm between inside and outside.
I inhabit my studio. Living, for me, means giving form to the reciprocity between space and individual. The studio is not only a place of work but also a field of research, an archive of memories and thoughts and a laboratory for experimentation. My working method, however, forces me to leave my studio often. Due to the nature of my research, always devoted to the investigation of places in the making and hybrid forms, it is necessary to change scenery frequently. I therefore leave my studio, which is located in an old building in the historic centre of Agrigento, for a few weeks and work in other environmental contexts. Often it is abandoned houses, uninhabited architectures or real ruins that host the germinal phase of my works, which arise from a reflection on the theme of ruin and from the exploration of these places, in which I dedicate myself to collecting traces, fragments, papers from parts and heterogeneous materials capable of giving form and substance to the dialectic between the fragility of matter and the fragility of existence. In the transition between inhabited and uninhabited space, these places become a temporary extension of my studio. During the second phase of this working process I feel the urgency to return to the studio, which thus becomes not only a container of memories but also the space where I collect residual materials and where I experiment with working processes. The various fragments collected outside my studio, once decontextualised with respect to their place of origin, occupy a space that is extraneous to their original environment and it is precisely this gap that allows me to develop a conceptual parallelism between the material and the landscape. In this phase, the studio, a place par excellence and the artist’s living space, offers me ever new opportunities to focus on the work as a form without boundaries. The dialectic inside/outside always present in my paintings and drawings guides my nomadic research inside and outside my studio in a process always open to contamination and permeable to what surrounds me. As a metaphor of living, the studio is for me a place of action and reflection at the same time, it is a response to the disorientation from which my research process is triggered, always becoming and beyond the border of the visible.
Agrigento, 31 August 2023
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