Sul disegno Francesco Lauretta on drawing (▼Scroll for English version)

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Parola d’Artista: Che importanza e che ruolo ha il disegno nel tuo lavoro?

Francesco Lauretta: Non riesco a risponderti a proposito del “disegno”. Per me è cosa talmente personale, il mio rapporto con esso, che mi sembrerebbe dire parole inappropriate tanto da meritarmi, poi, una penitenza esemplare da parte del “disegno” che, come comprenderai, per me non è una pratica ma ente, essere tangibile cui quotidianamente, da quanto ricordi, faccio i conti. Ho avuto un grandissimo maestro (credo) – e so che non esistono più di quel tipo – che vedendomi disegnare, quindicenne, volle seguirmi e periodicamente verificava le evoluzioni degli esercizi, complessi. Solo alla fine, prima della rottura definitiva dei nostri rapporti, perché esponemmo – eravamo tre ragazzini – cose prossime all’Arte povera che lui detestava fortemente, tre anni dopo, mi disse che ero riuscito a fare due disegni “perfetti”. Spiegare cosa intendesse, e perché, qui è davvero difficile ma ti assicuro che in quegli anni produssi centinaia o se non più di mille disegni ripassati al setaccio nel segno, nella definizione del disegno, che lui articolava in vari modi. A vent’anni disegnavo da dio e Vedova se ne accorse subito – racconto spesso del nostro primo incontro, e di aver realizzato a quattro mani uno show con il Maestro dove producemmo una quarantina di disegni, assieme. Vedova peraltro amava così tanto i miei disegni che, letteralmente, me li fregava, lo scoprii entrando una volta nel suo buco, o tana della sua aula, e sorpresi una cartella con il mio nome: Lauretta: disegni. Terminata l’Accademia ho smesso di disegnare. Ho ripreso con la Scuola di Santa Rosa. Inutile dire che sono un disegnatore, non un pittore. Mi servo della pittura ma non come un pittore ma perché con la pittura ho di che argomentare con una semplice idea che è quella di indagare il sintomo del Reale. Dovrei vivere realizzando solo disegni. Il problema è che i miei galleristi del disegno non sanno che farsene e non comprendono come si possa essere “disegnatori” con buona pace mia che vivendo solo con i quadri -non insegnamento e quant’altro di simpatico come esser ricco o mondano, sono costretto a fare cose che altrimenti farei a meno di realizzare. In Italia è quasi insostenibile poi pensare alla figura dell’artista come disegnatore. Amen.

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Francesco Lauretta on drawing

Parola d’Artista: What importance and role does drawing play in your work?
Francesco Lauretta: I cannot answer you about “drawing”. For me it is such a personal thing, my relationship with it, that it would seem to me to say words that are so inappropriate that I would deserve an exemplary penance from “drawing” which, as you will understand, for me is not a practice but an entity, a tangible being that I reckon with on a daily basis, as far as I can remember. I had a great teacher (I think) – and I know there are no more of that kind – who, seeing me draw, at the age of fifteen, wanted to follow me and periodically check the evolution of the exercises, which were complex. Only at the end, before the definitive break in our relationship, because we exhibited – we were three kids – things close to Arte Povera that he strongly detested, three years later, did he tell me that I had managed to make two ‘perfect’ drawings. Explaining what he meant, and why, here is really difficult, but I can assure you that in those years I produced hundreds or if not more than a thousand drawings that he sifted through in the sign, in the definition of the drawing, which he articulated in various ways. When I was 20 years old, I was drawing like a god and Vedova realised it immediately – I often tell about our first meeting, and about having a four-handed show with the Maestro where we produced about forty drawings together. He loved my drawings so much that he literally stole them from me, I found out when I once went into his hole, or den of his classroom, and surprised a folder with my name on it: Lauretta: drawings. When I finished the Academy I stopped drawing. I resumed with the Scuola di Santa Rosa. Needless to say, I am a draughtsman, not a painter. I use painting, but not as a painter but because with painting I have an argument with a simple idea, which is to investigate the symptom of the Real. I should make a living by only producing drawings. The problem is that my gallery owners do not know what to do with drawing and do not understand how it is possible to be a “draughtsman”, much to my peace of mind that living only with paintings – not teaching and anything else nice like being rich or worldly – I am forced to do things that I would otherwise do without. In Italy it is almost untenable then to think of the figure of the artist as a draughtsman. Amen.