#paroladartista #nellostudiodi #artiststudio #lorenzodalba
Dopo alcuni anni di attività posso ammettere di aver capito una cosa su tutte: lo studio per me non è solo un laboratorio deputato alla ricerca e alla produzione, ma la controparte di una relazione duratura con me stesso.
Il mio studio è Omuamua, un grande spazio di co-working che condivido con altri dieci artisti e identità creative, con i quali portiamo avanti da tempo anche un progetto espositivo (Omuamua Gates) che ha l’obiettivo di intensificare le collaborazioni con altri artisti emergenti e stimolare la circolazione di idee e possibilità nuove.
Si tratta di uno spazio di lavoro e di ricerca che mi piace definire “a margine”, ovvero che si pone alle estremità di una circostanza mondana oltre che quotidiana, quella della città di Milano, e in questo luogo atemporale lascia passare attraverso ciò che pensiamo possa essere materiale di indagine per tenere costantemente attiva la nostra ricerca, non solo la produzione.
Con il tempo la mia postazione all’ interno dello studio si è costruita e trasformata in maniera proporzionale a come io stavo cambiando per via delle circostanze della vita. I libri, gli argomenti di studio, i confronti con artisti e altri professionisti, mi hanno permesso di immergermi in nuove esperienze e, contemporaneamente, di sedimentare in questo luogo qualsiasi oggetto, qualsiasi traccia – scarto o prova di una sperimentazione – come feticci di un piccolo tassello di conoscenza che aggiunge valore alla mia vita.
Il mio angolo di studio è in grado di farsi postazione per la scultura, per il disegno o per la scrittura a seconda del linguaggio espressivo che ritengo più puntuale per raccontare ciò che prima di tutto ho osservato e conosciuto in maniera individuale. Talvolta questi linguaggi convergono insieme verso l’elaborazione di uno dei miei “paesaggi” e si soppesano per evocare una storia nella maniera più chiara. Anche di questa contaminazione intersezionale è testimone fisico il mio studio.
Nella vita ho un grande difetto, che tuttavia all’interno del mio studio è in grado di trasformarsi in una risorsa: quello di accumulare oggetti quasi al limite della compulsività. Sono il primo a non trovare un significato istantaneo per la presenza di alcune cose, eppure ho accettato l’idea che se ho scelto di farle restare all’interno del mio “caotico archivio dei materiali” è perchè prima o poi saranno il segnale per scrutare una corrispondenza che prima non avevo modo di comprendere.
Potrò possederla solo in futuro, quando il combinarsi degli eventi renderà inevitabile che quella traccia rientri nel grande racconto che continuo a portare avanti.
English version
Artist Studio Lorenzo d’Alba
#paroladartista #nellostudiodi #artiststudio #lorenzodalba
After a few years in the business I can admit to having realised one thing above all: the studio for me me is not just a laboratory for research and production, but the counterpart of a lasting relationship with myself.
My studio is Omuamua, a large co-working space that I share with ten other artists and creative identities, with whom we also have a long-standing exhibition project (Omuamua Gates), which aims to intensify collaborations with other emerging artists and stimulate the circulation of ideas.
and stimulate the circulation of new ideas and possibilities.
It is a space for work and research that I like to describe as ‘on the fringe’, i.e. at the ends of a mundane circumstance. Stands at the edge of a mundane as well as everyday circumstance, that of the city of Milan, and in this timeless place lets through what we think can be investigative material to keep our research constantly active, not only the production.
Over time, my position within the studio was built and transformed in a manner proportional to how I was changing due to life circumstances. The books, the study topics, the comparisons with artists and other professionals, allowed me to immerse myself in new experiences and, at the same time, to sediment in this place any object, any trace – scrap or evidence of an experimentation – as fetishes of a small piece of knowledge that adds value to my life. My studio corner is capable of becoming a workstation for sculpture, drawing or writing, depending on the expressive language I consider most appropriate to tell what that I have first observed and known in an individual manner.
Sometimes these languages converge together towards the elaboration of one of my ‘landscapes’ and weigh each other to evoke a story in the clearest way. Also of this intersectional contamination is physically witnessed in my studio.
In life I have a great defect, which, however, within my studio is able to
turn into an asset: that of accumulating objects almost to the limit of compulsiveness. I am the first not to find instant meaning for the presence of certain things, yet I have accepted the idea that if I choose to keep them within my ‘chaotic archive of materials’ it is because sooner or later they will be the signal to scrutinise a correspondence that I had no way of understanding before.
I will only be able to possess it in the future, when the combination of events will make it inevitable that trace to be part of the grand narrative that I continue to pursue.
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