Conversazione con Marco Neri in occasione del suo intervento site specific per il progetto Aurelia→SUD (English version available)

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Gabriele Landi: Ciao Marco, a che lavoro hai pensato per Aurelia→SUD ? 

Marco Neri: A una tela realizzata con molta calma, durante il primo lockdown del 2020. Le dimensioni della tua insegna e il suo carattere, m’hanno convinto potesse essere quella giusta. Era in studio ad “aspettare” da tre anni ormai e ho pensato fosse arrivato il suo momento.

GL: Puoi raccontare la genesi di questo tuo lavoro?

MN: Avevo appena trasferito casa, studio e magazzino sul finire del 2019 in Salento e mi ci sono voluti alcuni mesi prima di tornare a sentirmi “presso di me”, a casa mia insomma. E una volta sistemato tutto, con la pandemia che per primi in Europa abbiamo dovuto affrontare a livello nazionale, è scattato quel periodo – fino ad allora impensabile – in cui non ci si poteva più muovere da casa. Per mesi e mesi… Così non ho saputo fare di meglio che rimettermi a dipingere come se non ci fosse un domani, prima tutte le tele bianche che già avevo in studio e poi anche tutte le pareti disponibili, grandi e allora bianchissime del terrazzo sul retro.  Nonostante la drammaticità palpabile di quei giorni – in cui si stava diffondendo parallelamente una pesantissima “infodemia” – tutto quello che potevamo fare, visto che di vaccini non se ne scorgeva neanche l’ombra, era starcene chiusi in casa e “aspettare”. Così ho voluto provare comunque a divertirmi esprimendolo letteralmente. Va detto però che il chiudersi in studio in totale solitudine per dipingere, non è certo una soluzione impensabile o poco praticata, da chi ama dipingere almeno. In un certo senso, ogni volta che ci si mette a lavorare a testa bassa su un nuovo progetto, ancor più se complesso, si entra di fatto in una sorta di apnea, di lockdown appunto. E nelle giuste dosi, se necessario, non mi è mai dispiaciuto calarmici. Così “Aspettiamo” oggi per me è diventato l’emblema di quel periodo, ma anche di tutti i lockdown autoimposti che spesso il dipingere richiede.

GL: Ti è mai successo in precedenza di lavorare in una situazione come quella di Aurelia→SUD , dove il lavoro viene esposto alla mercè di inconsapevoli passanti che lo vedono dalla loro vettura per pochi istanti? Credi che l’arte, presentata in contesti del genere, riesca a mantenere la sua forza di segno e ad essere letta nella sua complessità?

MN: Mi era già capitato di realizzare insegne per alcuni locali o esercizi di amici. Prima a Torriana (dove ho abitato per molti anni), poi a Rimini e anche a Ibiza, ora che mi ci fai pensare.  Erano sempre lavori miei comunque, cioè fondamentalmente di pittura. Che a volte venivano collocati direttamente all’ingresso, altre invece tradotti su materiali o supporti diversi mentre l’originale restava esposto solo all’interno. Ora, venendo al tuo progetto, devo ammettere che la proposta di realizzare l’ipotetica insegna di uno spazio aperto solo in teoria, ha fatto subito scattare in me un certo interesse… In generale, credo che certi aspetti, così sottilmente mentali e per questo disarmanti, gratuiti e inconsueti, siano fatti di una sostanza che solo l’arte riesce a toccare e ad esprimere pienamente. Quindi, credo di sì. In fondo tutto accade sempre e solo negli occhi di chi guarda, se in qualche modo se ne accorge. E il tuo progetto mi sembra una piccola, innocua e preziosa sfida in questo senso.

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Conversation with Marco Neri on the occasion of his site-specific intervention for the Aurelia→SUD project

#paroladartsta #interviewartist #aureliasud #marconeri

Gabriele Landi: Hi Marco, what work did you think of for Aurelia→SUD ?

Marco Neri: A canvas made very calmly, during the first lockdown of 2020. The size of your sign and its character convinced me it could be the right one. It had been in the studio “waiting” for three years now and I thought its time had come.

GL: Can you tell the genesis of this work of yours?

MN: I had just moved house, studio and warehouse at the end of 2019 to Salento and it took me a few months before I felt “at home” again. And once everything was settled, with the pandemic that we were the first in Europe to have to deal with on a national level, that hitherto unthinkable period in which one could no longer move from home began. For months and months… So I knew no better than to start painting again like there was no tomorrow, first all the blank canvases I already had in the studio and then also all the available, large and then very white walls of the back terrace.  In spite of the palpable drama of those days – in which a very heavy ‘infodemic’ was spreading in parallel – all we could do, since there was no sign of vaccines, was to stay indoors and ‘wait’. So I wanted to try to amuse myself anyway by expressing it literally. It must be said, however, that locking oneself in a studio in total solitude to paint is certainly not an unthinkable or impractical solution for those who love to paint at least. In a certain sense, every time you start working headlong on a new project, even more so if it is complex, you actually enter into a sort of apnoea, of lockdown precisely. And in the right doses, if necessary, I’ve never minded getting into it. So “Let’s Wait” today has become for me the emblem of that period, but also of all the self-imposed lockdowns that painting often requires.

GL: Has it ever happened to you before to work in a situation like Aurelia→SUD, where the work is exposed to the mercy of unaware passers-by who see it from their car for a few moments? Do you think that art, presented in such contexts, manages to retain its strength of sign and to be read in its complexity?

MN: It had already happened to me to make signs for some clubs or businesses of friends. First in Torriana (where I lived for many years), then in Rimini and also in Ibiza, now that you mention it.  They were always my works though, which were basically paintings. Which were sometimes placed directly at the entrance, others translated onto different materials or supports while the original was only displayed inside. Now, coming to your project, I must admit that the proposal to create the hypothetical sign for an open space only in theory, immediately triggered a certain interest in me… In general, I believe that certain aspects, so subtly mental and therefore disarming, free and unusual, are made of a substance that only art can fully touch and express. So, I think so. After all, everything always and only happens in the eye of the beholder, if he somehow notices it. And your project seems to me a small, harmless and precious challenge in this sense.

Marco Neri (Forlì, 1968). 

Diplomato all’Istituto statale d’Arte di Forlì e all’Accademia di Belle Arti di Bologna nel 1992, inizia ad esporre nella seconda metà degli anni ’80. Fin dagli esordi l’atteggiamento dell’artista è marcatamente improntato al recupero della pittura. 

Nel 1987 supera le selezioni mentre ancora frequenta l’Istituto di”Arte e debutta tra i giovani artisti italiani di “Indagine ’87” (*) a Palazzo Re Enzo, Bologna; l’anno seguente è tra i vincitori del “Premio F. P. Michetti” (*) di Francavilla a mare (1988). Partecipa successivamente a numerose esposizioni in Italia e all’estero, tra le quali “Intercity Uno” (*) alla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia (1990); “Premio Campigna” (*), Santa Sofia di Romagna (1990); “Cambio di guardia” (*) allo Studio d’Arte Cannaviello, Milano (1995); “Martiri e Santi” (*) alla Galleria L’Attico di Roma (1996) e “Pittura” (*) al Castello di Rivara di Torino (1997). Seguono “Figuration” (*) al Rupertinum Museum di Salisburgo e al Museion di Bolzano (1999/2000), “Futurama” (*) al Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato (2000) e al “Premio Michetti – Differenti prospettive in Pittura” (*) al Museo F. P. Michetti di Francavilla a mare (2000). 

Nel 2001 tiene una personale (con Andrea Salvino) allo Spazio Aperto (*) della Galleria d’Arte Moderna di Bologna e nello stesso anno, su invito di Harald Szeemann, partecipa alla 49° Edizione della Biennale di Venezia “Platea dell’Umanità” (*). 

Dal 2001 unisce all’attività artistica quella di Docente di Pittura prima all’Accademia di Belle Arti di Ravenna, poi di Cromatologia e di Tecniche e Tecnologie della Pittura all’Accademia di Belle Arti di Foggia e ancora di Pittura al Biennio Specialistico dell’Accademia di Belle Arti di Lecce, dove insegna attualmente.

Tra le principali mostre personali: “Rinverdire il classico” (*) e “Sostenere lo sguardo” (*) alla Galleria Fabjbasaglia di Rimini (nel 1996 e 1998); “Skyline” (*) e “Travel” alla Galleria Haus-Schneider di Karlsruhe (1998 e 2000); “Windows 99” alla Galleria dell’Immagine dei Musei Comunali di Rimini e alla Galleria Hübner (*) di Francoforte (1999); “Come into my room” alla Galleria Hilger/Artlab di Vienna (2000); “Io spazio” alla Galleria Alberto Peola di Torino (2002); “Malerei” (*) al DiözesanMuseum di Monaco di Baviera (2002); “Mirabilandia + Biblioteca persiana” (*) al Museo dell'”Arredo di Russi (2003); “Nessun Dogma” (*) alla Galleria Emilio Mazzoli di Modena (2004); “Mars Black” alla Lucas Schoormans Gallery di New York (2006); “Omissis” (*) al Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato (2006); “Underworld” alla Galleria Alfonso Artiaco di Napoli (2010); “Giardini” alla Galleria Pack di Milano (2011); “Passante incrociato” (*) al Centro Arti Visive della Fondazione Pescheria di Pesaro (2012); “Marcobaleno” alla Galleria Alfonso Artiaco di Napoli (2014); “I giardini di marco” (*) al MuseoLaboratorio di Città Sant’Angelo (2015); “#studiolacittà” (con Luca Pancrazzi) allo Studio la Città di Verona (2016); “Materia grigia”  (con Leonardo Pivi) da Imperfettolab/art (*) a Longiano (2019) e “Di scooter de pictura”, alla AplusB Gallery di Brescia (2021). Nel 2021 vince la prima edizione del Premio Nazionale per la Pittura “Osvaldo Licini” (*) e tiene una personale nelle sale dell’omonimo Museo di Ascoli Piceno (2021/2022). Dal 2019 vive e lavora a Lecce.

(*) catalogo

Marco Neri Foto di Marco Gualazzini