Intervista a Marco Acquafredda

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#paroladartista #intervistaartista #marcoacquafredda

Gabriele Landi: Ciao Marco, da dove nasce per te l’arte?

Marco Acquafredda: Ciao Gabriele, l’arte è , a mio avviso, un profondo bisogno di comunicare, un’ urgenza che non sempre si accorda con la volontà dell’ artista.

Gabriele Landi: Che valore hanno nel tuo lavoro le categorie di spazio e tempo?

Marco Acquafredda: Nel mio lavoro il tempo e lo spazio coincidono con il tempo e lo spazio della mia vita, è un processo continuo di osservazione ed esperienza che anche se non materialmente alimenta il mio modo di rapportarmi al mondo. Poi è necessario concretizzare e il “fare” travalica lo spazio e il tempo.

Gabriele Landi: Puoi parlarmi dei lavori Polvere alla polvere?

Marco Acquafredda: “Polvere alla polvere” è un lavoro sull’impermanenza ed è stato insolitamente lungo rispetto al mio modo di procedere. Ho usato la piombaggine, una polvere di grafite pallida, impalpabile e manualmente ingestibile, che ho lasciato “depositare” con acqua e l’ausilio di matrici e setacci in un tempo molto rapido. Solo dopo, spilli di acciaio più o meno fitti sono stati disposti seguendo la natura di ognuna delle composizioni (si tratta di un trittico) in una terza dimensione solo a tratti percepibile. Il lavoro ha subito lunghe interruzioni e riprese, per poi essere terminato definitivamente dopo un succedersi degli eventi, anni, non di lavoro, ma di lenta “stratificazione” di accadimenti sul lavoro stesso.

Gabriele Landi: L’idea del trittico ha un suo significato simbolico, la hai usata anche in altri lavori?

Marco Acquafredda: Mi è capitato di declinare in lavoro in “trittici”, ma non spesso. La relazione tra più lavori permette un dialogo tra le loro differenze o similitudini, un continuum che amplifica il valore di ogni singola opera e ne approfondisce il concetto, lo stesso arricchimento che prevede il senso di relazione umano. Con questa modalità riesco a leggere lo spazio che intercorre tra un lavoro e l’altro, quindi a leggere in modo più chiaro il contenuto della narrazione stessa. In fin dei conti un’ artista è anche il primo spettatore di qualcosa che sembra venire da un altro mondo.

Gabriele Landi: Il tuo lavoro ti sorprende spesso?

Marco Acquafredda: La sorpresa è il motivo principale che mi spinge alla ricerca e mi stupisco ogni volta; posso non essere soddisfatto o rimanere piacevolmente colpito, ma al ripetersi di ogni oggetto, ogni disegno o dipinto sento di appartenere con il mio operato a qualcosa che mi unisce a chi come me si cimenta in questa, talvolta folle e ostinata, pratica.

Gabriele Landi: In questo tuo procedere ti sono di una qualche utilità le mappe per conservare la memoria dei luoghi immaginifici che frequenti?

Marco Acquafredda: Le mappe servono principalmente per orientarsi, le mie sono segni tracciati dal mio passaggio. Dalle foto non si nota, ma ogni pennellata cerca di ripercorrere una parola che si trova sulla superficie della carta, lettere che descrivono elementi geografici. Posso verificare dopo la loro osservazione il percorso che ho fatto, i luoghi che ho visitato e quelli dove non sono mai andato, ma mi conforta che segnalino la mia presenza. Per spiegarti meglio il concetto mi viene in mente un altro mio lavoro abbastanza recente, una serie di piccoli dipinti in relazione tra loro dal titolo: “Dove ero, dove sono, dove sarò…  di Gauguiniana memoria…Certo che non descrivono luoghi reali, ma paesaggi dei miei più profondi sentimenti e dei miei pensieri. 

Gabriele Landi: Ti interessa l’aspetto spirituale?

Marco Acquafredda: L’ aspetto spirituale è un altro degli elementi fondamentali della mia ricerca: il mio lavoro è un territorio d’indagine esistenziale, un muto atto di fede, una forma di persistente preghiera, un fragile tentativo di dare spiegazioni alle logiche indecifrabili delle nostre esistenze.

Gabriele Landi: Secondo te il sacro ha ancora una sua importanza nell’arte di oggi e nel mondo in cui viviamo?

Marco Acquafredda: La parola “sacro” ha un’accezione molto ampia, ma non credo che i nostri tempi siano immuni dal bisogno di restituire, da parte dell’uomo, le azioni e il proprio operato ad “una sfera di ordine superiore”. Mi viene in mente che la parola “sacrificio”, alla quale credo molto per il processo e la ricerca del fare artistico, significhi di per sé ” rendere sacro”, un’ offerta imprescindibile per ogni nostro manufatto, oggi come da sempre.

Gabriele Landi: Ti volevo chiedere di parlare dei lavori fatti con le conchiglie delle lumache. Come nasce questo lavoro e come si sviluppa?

Marco Acquafredda: I lavori realizzati con gusci vuoti di chiocciola sono nati successivamente rispetto ad una serie di “ricostruzioni” di cocci e frammenti di origine naturale e artificiale. Ho una predilezione per il disegno e la pittura, ma la terza dimensione mi affascina, tanto da cercarla “fisicamente” con assemblaggi ed interventi scultorei…. spesso nascono ibridi tra contesti dissimili: pitture disegnate, dipinti scultorei, sculture segniche, quasi sempre con fascinazioni di carattere naturalistico. Ogni materiale che scelgo per i miei lavori è frutto di un processo: mi capita di raccogliere per anni certi oggetti o da intuizioni ne raccolgo altri per lavori “imminenti”. I gusci sono frutto di un incontro con questi fragili e allo stesso tempo robusti involucri di vite ormai passate. Ne ho messe insieme alcune, raccolte una manciata per poi, in un gioco di relazioni ho chiesto a persone a me vicine di portarmele a loro volta. Tempo, incontri e relazioni hanno permesso di costruire un grande ammasso globiforme, in divenire, che con il mio tentativo di riequilibrarne la composizione e la stabilità ho via via capovolto. I gusci sono tutti diversi, per grandezza e consistenza e talvolta si rompono, ma questo non mi impedisce di continuare ad aggiungerli in un lavoro che lascio e lascerò aperto. Un altro lavoro con gusci ha visto l’utilizzo di segni grafici differenti: piccole chiocciole di terra che accordo l’una dopo l’altra tra capo e coda;  “nodo dopo nodo”, che come perle di un “rosario pagano” ripercorre un tragitto tortuoso o lineare, per poi completarsi e riallacciarsi alla partenza. 

Quest’ultima opera è circoscritta da una scatola in legno, una sorta di reliquiario, ed è velata da una pellicola distorcente che moltiplica il numero dei “nodi” e come un miraggio complica l’immagine e la nostra percezione dell’oggetto contenuto, perché creare un interferenza? In fondo la vita non è cosa facile da decifrare, il senso di ambiguità e di non completamente svelato credo sia un elemento in grado di incuriosire lo spettatore.

Gabriele Landi: Puoi dirmi qualcosa di più sulla dimensione relazionale di questi lavori. L’idea di chiedere anche ad altre persone di partecipare alla raccolta dei materiali con cui lavori da dove viene?

Marco Acquafredda: Con questa domanda hai colto l’essenza di questo lavoro: la richiesta di partecipazione che ho cercato è la volontà di amplificare il processo creativo, coinvolgere chi ho intorno anche durante la realizzazione, non solo come spettatore, ma in forma attiva e partecipativa. È la collettività che ha permesso di fare e far crescere l’opera, l’artista è stato strumento e questa volta meno “solo”. Mi viene in mente un ragionamento che fece un mio caro amico e che riassumeva come l’arte non appartenga all’autore, bensì a tutti, ecco, probabilmente in questo mio presente ho voluto mettere in pratica questo pensiero che condivido in pieno.

Gabriele Landi: Hai fatto altri lavori con questa modalità?

Marco Acquafredda: Sono anche un insegnante e in questi ultimi anni ho fatto esperienze di carattere collettivo collaborando con enti e associazioni sul territorio “Casolese” nella Val d’Elsa. L’ anno passato abbiamo dipinto un Palio con 60 ragazzi, mentre con il progetto “Dazebao” è stata realizzata una scrittura immaginaria di forme plastificate lunga oltre 104 metri e di ragazzi ne erano circa 180. Queste esperienze mi hanno portato a delle considerazioni più ampie rispetto al rapporto che ho con il mio lavoro. Ultimamente ho fatto disporre ad un ragazzo dei sassi di mare in un contenitore da uno dei miei allievi, al mio posto. É stato lui il mio strumento, come se una parte del mondo, esterno, intervenisse su una mia opera, in maniera decisiva e necessaria. Non so se conosci “L’ Orizzonte degli eventi”? È un concetto collegato ai buchi neri, definito come la superficie limite oltre la quale nessun evento può osservate un osservatore esterno. Ecco che il mio lavoro è il risultato di quello che sta accadendo al di fuori del lavoro e in qualche modo fuori dalla stessa volontà di controllo dell’autore.

Gabriele Landi: Alla luce di queste considerazioni in che posizione ti poni rispetto al tuo lavoro?

Marco Acquafredda: Anche io mi sento strumento, sento con questa mia predisposizione di “celebrare” la vita, di raccontare quello che riesco a cogliere tutto quello che non riesco a decifrare, ma non ne posso fare a meno, volontariamente o involontariamente che sia. 

Mi piace pensare che il mio essere strumento,  con tutti i dubbi e le consapevolezze del caso mi facciano appartenere a qualcosa di più grande e questo mi rincuora.

MARCO ACQUAFREDDA

Nasce a Siena nel 1977. La sua formazione artistica inizia all’Istituto d’Arte di Siena, per poi

proseguire all’ Accademia di Firenze nella sezione di Pittura ma il suo lavoro è stato decisamente

influenzato dai suoi studi indipendenti. Dal 2006 si è dedicato alla didattica di materie artistiche in

vari ordini di scuola. I suoi lavori si sviluppano da un dialogo con la natura e dal rapporto con la

realtà con lavori “ciclici “o “seriali” indagando sui nessi visibili e invisibili che intercorrono tra uomo,

spirito e materia mantenendo costante la ricerca di codici narrativi multidisciplinari.

Partecipa nel 2000 al 25°Cantiere Internazionale d’Arte, a cura di Maria Russo “Il volo sull’oceano”

Montepulciano (SI),dal 2002 partecipa ad una serie di mostre su “libri d’artista a cura di Andrea

Granchi“Opus liber”, Museo Virgiliano, Pietole di Virgilio,(Mn), 2003“Opus liber”, Galleria Nazionale

d’Arte Moderna, Roma e Accademia delle Arti del Disegno, Firenze, 2007 “Oggetto LIBERo” Il libro

d’artista in Italia tra produzione e conservazione, Accademia di Belle arti di Firenze, 2010

“Traiettorie LIBERate”, Opere in forma di libro d’artista, Sala Ex Leopoldine, Firenze, 2022

“100×100”Libri d’Artista, Associazione culturale Sincresis, Empoli, Museo Marini Marini, Firenze,

Pietrasanta. Collabora con Il Comune di Siena e Il Museo per bambini del Santa Maria della Scala nel 2010, a cura di Michela Eremita “Manifestarsi”, Marco Acquafredda, Filippo Galgani, Spazi pubblicitari, Siena.

Nello stesso anno collabora con l’ Artista Federico Fusi con la mostra personale “Quadro, disegni e

argento”, Inner room Fusi&Fusi, Via delle Terme, Siena, poi partecipando alle mostre:

“Deliverance,” A group show: Marco Acquafredda, Pietro Capogrosso, Bruna Esposit o, Cie Iio,

Federico Fusi, Marco Fedele di Catrano, Romeo Giuli, Kazuya Komagata, Alberto e Kimberly Rivera,

Fabrizio e Angela Tiezzi. Inner room Fusi&Fusi, Siena.

Partecipa alle Rassegne di Ceramica Contemporanea a cura di Carlo Pizzichini, nel 2012 “Ceramica

Fiorita”, Ex convento Santa Chiara, Siena /Museo della Ceramica e Montelupo Fiorentino (FI), 2016

“Terra condivisa: collaborazioni e contributi tra gli artisti nella ceramica contemporanea”, Parco della

Abbadia Nuova,Siena, 2018 “TRAvasi ovvero VASI comunicanti”, Parco dell’ Abbadia Nuova, Siena.

Collabora con l’Associazione culturale Yurta per la promozione e lo scambio tra artisti cinesi e italiani

dal 2018 con “L’amore è trasparente”, 2019 “Elisa con…”, “Il concetto sospeso”, a cura di Carles

Marco e Alba Ibànez, Yurta, collettive di artisti contemporanei, Associazione Culturale Toscana-

Beijing, Serre di Rapolano, Siena, 2019.

Tra le altre si ricorda 2013, “A-Tratti” Marco Acquafredda-Stefano Parrini, Scritto di Martina

Marolda, Sala delle Macine, Monteroni d’Arbia (SI), 2014, “Hecce Heccetera”Marco Antonio

Tanganelli, Marco Acquafredda, Paolo Barbagli, Gianni Lillo, Carlo Pizzichini, Casanova Arredo

Contemporaneo, Siena, 2014 Open Art Viale Toselli a cura di Alessandro Bellucci“L’Occhio

innocente”, Installazioni di Marco Acquafredda, Pietro Capogrosso, Pietro Manzo, Jacopo Pischedda,

CO.TA.S. Logistica Taxi Merci (Ex macelli Comunali),Siena, 2020,“IRRITUALI contesti del

Contemporaneo”, a cura di Alessandro Bellucci, Pluriversum- Coworking, Via Roma 77, Siena

Tra le Mostre personali:

2006/2008-“Temporaneamente”, Accademia dei Fisiocritici, Siena, 2010 “Mirabilia”, Accademia dei

Fisiocritici, Piazzetta Silvio Gigli 2, Siena, Presentazione di Marco Pierini, Luigi Di Corato, Mauro Civai,

per l’occasione presentazione del volume “Marco Acquafredda-Una conversazione” Edito da Gli Ori,

Pistoia (2009), Scritti di Leonardo Scelfo, Mauro Civai, 2012 “In/ter/capedini”, a cura di Niccolò

Kirshenbaum, Libreria “La zona”; “Tre Cristi enoteca Ristorante”; Corniceria “La Bottega” Siena,

2013,“Osmosis” a cura di Alix Janta, Scritto di Martina Marolda, Loc. Chiesa Monti, Villa a Sesta,

Castelnuovo Berardenga, 484 Nord Km 12.VIII.2017 “Le regole del Caos” a cura di Carles Marco,

Scriptorium dell’Abbazia di S. Galgano, Chiusdino (SI), 2023 “Il Crepaccio Instagram solo show”.

2015 Realizza il cortometraggio sperimentale “A” con Andrea Montagnani, musiche originali di

Massimo Ruberti e Fabrizio Rota, 2016-“Visionaria”, Mostra e concorso Vision Art con il

cortometraggio “A” ,Museo di Arte Contemporanea De Grada, San Gimignano. 2017 – “Le regole del

Caos” a cura di Carles Marco, Scriptorium dell’Abbazia di S. Galgano, Chiusdino (SI). Progetti di

curatela: 2010“Paolo Barbagli – Il fare degli altri” Libreria Becarelli, Siena, “Marc’Antonio Tanganelli –

Emotional nihilism and conflicting” ”, Inner room Fusi&Fusi, Siena, “Carlo Alberto Severa – Una Idea”,

Inner room Fusi&Fusi, Siena, Collaborazioni: 2005, CHEN ZEN,Prayer Wheel – “Money Makes the

Mare Go” (Chinese Slang), Galleria Continua, San Gimignano, Italia, 9 ottobre 2004-2 luglio 2005,

Partecipazione all’allestimento dell’opera di Chen Zen.

Marco Acquafredda (studio)

Casciano di Murlo, Via della Bandita 1, 53016 (SI)

http://www.acquafredda.eu

English text

Interview with Marco Acquafredda

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Gabriele Landi: Hi Marco, where does art come from for you?

Marco Acquafredda: Hi Gabriele, art is, in my opinion, a deep need to communicate, an urgency that does not always match the artist’s will.

Gabriele Landi: What value do the categories of space and time have in your work?

Marco Acquafredda: In my work, time and space coincide with the time and space of my life, it is a continuous process of observation and experience that even if not materially feeds my way of relating to the world. Then it is necessary to materialise and the ‘doing’ transcends space and time.

Gabriele Landi: Can you tell me about your work Dust to Dust?

Marco Acquafredda: “Dust to dust” is a work about impermanence and was unusually long compared to my way of proceeding. I used lead, a pale, impalpable and manually unmanageable graphite powder, which I let “settle” with water and the aid of dies and sieves in a very quick time. Only afterwards, more or less dense steel pins were arranged following the nature of each of the compositions (it is a triptych) in a third dimension that was only perceptible at times. The work underwent long interruptions and resumptions, only to be finally finished after a succession of events, years, not of work, but of slow ‘layering’ of events on the work itself.

Gabriele Landi: The idea of the triptych has its own symbolic meaning, have you also used it in other works?

Marco Acquafredda: I have happened to decline in work into ‘triptychs’, but not often. The relationship between several works allows a dialogue between their differences or similarities, a continuum that amplifies the value of each individual work and deepens the concept, the same enrichment that provides for the sense of human relationship. In this way, I can read the space between one work and the next, and thus read the content of the narrative itself more clearly. After all, an artist is also the first viewer of something that seems to come from another world.

Gabriele Landi: Does your work often surprise you?

Marco Acquafredda: Surprise is the main reason that drives me to research, and I am surprised every time; I may not be satisfied or I may be pleasantly impressed, but as I repeat each object, each drawing or painting, I feel that I belong with my work to something that unites me with those who, like me, engage in this, sometimes crazy and obstinate, practice.

Gabriele Landi: Are maps of any use to you in this process of yours to preserve the memory of the imaginative places you frequent?

Marco Acquafredda: Maps are mainly for orientation, mine are signs traced by my passage. You can’t tell from the photos, but each brushstroke tries to trace a word on the surface of the map, letters that describe geographical elements. I can verify after looking at them the route I have taken, the places I have visited and those I have never gone to, but it comforts me that they signal my presence. To better explain the concept, I am reminded of another fairly recent work of mine, a series of small paintings in relation to each other entitled: “Where I was, where I am, where I will be… of Gauguinian memory… Of course they do not describe real places, but landscapes of my deepest feelings and thoughts.

Gabriele Landi: Are you interested in the spiritual aspect?

Marco Acquafredda: The spiritual aspect is another of the fundamental elements of my research: my work is a territory of existential investigation, a silent act of faith, a form of persistent prayer, a fragile attempt to give explanations to the indecipherable logic of our existences.

Gabriele Landi: In your opinion, does the sacred still have an importance in today’s art and in the world we live in?

Marco Acquafredda: The word “sacred” has a very broad meaning, but I do not believe that our times are immune from the need to return man’s actions and actions to “a sphere of a higher order”. It occurs to me that the word ‘sacrifice’, which I believe in very much for the process and research of art making, means in itself ‘making sacred’, an unavoidable offering for all our artefacts, today as always.

Gabriele Landi: I wanted to ask you about the work made with snail shells. How does this work come about and how does it develop?

Marco Acquafredda: The works made with empty snail shells came about later than a series of ‘reconstructions’ of shards and fragments of natural and artificial origin. I have a predilection for drawing and painting, but the third dimension fascinates me, so much so that I search for it “physically” with assemblages and sculptural interventions…. often hybrids between dissimilar contexts are born: drawn paintings, sculptural paintings, sign sculptures, almost always with naturalistic fascinations. Every material I choose for my works is the result of a process: I happen to collect certain objects for years or from intuition I collect others for ‘upcoming’ works. The shells are the result of an encounter with these fragile and at the same time robust shells of past lives. I put some together, collected a handful and then, in a game of relationships, asked people close to me to bring them to me in turn. Time, encounters and relationships have made it possible to build a large globiform cluster, in the process of becoming, which I have gradually turned upside down with my attempt to rebalance its composition and stability. The shells are all different in size and texture and sometimes they break, but this does not stop me from continuing to add them in a work that I leave open. Another work with shells has seen the use of different graphic signs: small earthen snails that agree one after the other between head and tail; “knot after knot”, which like pearls of a “pagan rosary” retrace a tortuous or linear path, only to complete and reconnect at the start.

This last work is circumscribed by a wooden box, a sort of reliquary, and is veiled by a distorting film that multiplies the number of “knots” and like a mirage complicates the image and our perception of the contained object, why create an interference? After all, life is not an easy thing to decipher, the sense of ambiguity and of not being completely unveiled I believe is an element that can intrigue the viewer.

Gabriele Landi: Can you tell me more about the relational dimension of these works. Where does the idea of asking other people to participate in the collection of the materials you work with come from?

Marco Acquafredda: With this question you have grasped the essence of this work: the request for participation that I sought is the desire to amplify the creative process, to involve those around me also during the realisation, not only as spectators, but in an active and participatory form. It is the community that has allowed the work to be made and to grow, the artist has been an instrument and this time less ‘alone’. I am reminded of a line of reasoning that a dear friend of mine made, which summed up how art does not belong to the author, but to everyone; here, I probably wanted to put this thought into practice in my present work, which I fully share.

Gabriele Landi: Have you done other works in this mode?

Marco Acquafredda: I am also a teacher and in recent years I have had collective experiences collaborating with organisations and associations in the “Casolese” area in the Val d’Elsa. Last year, we painted a Palio with 60 children, while with the ‘Dazebao’ project, an imaginary script of plasticised forms over 104 metres long was created and there were about 180 children. These experiences have led me to broader considerations regarding the relationship I have with my work. Recently, I had one of my students arrange some sea stones in a container for me. He was my instrument, as if a part of the world, external, intervened in my work, in a decisive and necessary way. I don’t know if you know ‘The Horizon of Events’? It is a concept related to black holes, defined as the limiting surface beyond which no event can be observed by an external observer. Here my work is the result of what is happening outside the work and somehow outside the author’s own control.

Gabriele Landi: In light of these considerations, where do you stand with regard to your work?

Marco Acquafredda: I too feel like an instrument, I feel with this predisposition of mine to ‘celebrate’ life, to tell what I can grasp all that I cannot decipher, but I cannot do without, whether voluntarily or involuntarily. I like to think that my being an instrument, with all the doubts and self-consciousness of the case, makes me belong to something greater, and this heartens me.

texte en Français

Entretien avec Marco Acquafredda

#wordartist #interviewartist #marcoacquafredda

Gabriele Landi : Bonjour Marco, d’où vient l’art pour toi ?

Marco Acquafredda : Bonjour Gabriele, l’art est, selon moi, un besoin profond de communiquer, une urgence qui ne correspond pas toujours à la volonté de l’artiste.

Gabriele Landi : Quelle est la valeur des catégories d’espace et de temps dans votre travail ?

Marco Acquafredda : Dans mon travail, le temps et l’espace coïncident avec le temps et l’espace de ma vie, c’est un processus continu d’observation et d’expérience qui, même s’il n’est pas matériel, nourrit ma façon d’appréhender le monde. Il est alors nécessaire de matérialiser et le “faire” transcende l’espace et le temps.

Gabriele Landi : Pouvez-vous me parler de votre œuvre Dust to Dust ?

Marco Acquafredda : “Dust to dust” est une œuvre sur l’impermanence et a été exceptionnellement longue par rapport à ma façon de procéder. J’ai utilisé du plomb, une poudre de graphite pâle, impalpable et difficile à gérer manuellement, que j’ai laissé “se déposer” avec de l’eau et à l’aide de matrices et de tamis en un temps très court. Ce n’est qu’ensuite que des pointes d’acier plus ou moins denses ont été disposées selon la nature de chacune des compositions (il s’agit d’un triptyque) dans une troisième dimension qui n’était perceptible que par moments. L’œuvre a subi de longues interruptions et reprises, pour être finalement achevée après une succession d’événements, des années, non pas de travail, mais de lente “superposition” d’événements sur l’œuvre elle-même.

Gabriele Landi : L’idée du triptyque a sa propre signification symbolique, l’avez-vous également utilisée dans d’autres œuvres ?

Marco Acquafredda : Il m’est arrivé de décliner des œuvres en “triptyques”, mais pas souvent. La relation entre plusieurs œuvres permet un dialogue entre leurs différences ou leurs similitudes, un continuum qui amplifie la valeur de chaque œuvre individuelle et approfondit le concept, le même enrichissement qui fournit le sens de la relation humaine. De cette façon, je peux lire l’espace entre une œuvre et la suivante, et donc lire plus clairement le contenu de la narration elle-même. Après tout, un artiste est aussi le premier spectateur de quelque chose qui semble venir d’un autre monde.

Gabriele Landi : Votre travail vous surprend-il souvent ?

Marco Acquafredda : La surprise est la principale raison qui me pousse à faire des recherches, et je suis surpris à chaque fois ; je peux ne pas être satisfait ou être agréablement impressionné, mais en répétant chaque objet, chaque dessin ou peinture, je sens que j’appartiens avec mon travail à quelque chose qui m’unit à ceux qui, comme moi, s’engagent dans cette pratique, parfois folle et obstinée.

Gabriele Landi : Les cartes vous sont-elles utiles dans ce processus de préservation de la mémoire des lieux imaginaires que vous fréquentez ?

Marco Acquafredda : Les cartes servent principalement à s’orienter, les miennes sont des signes tracés par mon passage. Les photos ne le montrent pas, mais chaque coup de pinceau tente de tracer un mot sur la surface de la carte, des lettres qui décrivent des éléments géographiques. Je peux vérifier en les regardant la route que j’ai suivie, les lieux que j’ai visités et ceux où je ne suis jamais allé, mais cela me réconforte qu’ils signalent ma présence. Pour mieux expliquer ce concept, je me souviens d’une autre de mes œuvres assez récentes, une série de petites peintures en relation les unes avec les autres intitulée : “Où j’étais, où je suis, où je serai… de la mémoire gauguinienne… Bien sûr, elles ne décrivent pas des lieux réels, mais des paysages de mes sentiments et de mes pensées les plus profonds”.

Gabriele Landi : Vous intéressez-vous à l’aspect spirituel ?

Marco Acquafredda : L’aspect spirituel est un autre des éléments fondamentaux de ma recherche : mon travail est un territoire d’investigation existentielle, un acte de foi silencieux, une forme de prière persistante, une tentative fragile de donner des explications à la logique indéchiffrable de nos existences.

Gabriele Landi : À votre avis, le sacré a-t-il encore une importance dans l’art d’aujourd’hui et dans le monde dans lequel nous vivons ?

Marco Acquafredda : Le mot “sacré” a un sens très large, mais je ne crois pas que notre époque soit à l’abri de la nécessité de ramener les actes et les actions de l’homme dans “une sphère d’un ordre supérieur”. Il me semble que le mot “sacrifice”, auquel je crois beaucoup pour le processus et la recherche de la création artistique, signifie en lui-même “sacralisation”, une offrande inévitable pour tous nos artefacts, aujourd’hui comme toujours.

Gabriele Landi : Je voulais vous interroger sur l’œuvre réalisée avec des coquilles d’escargot. Comment ce travail est-il né et comment se développe-t-il ?

Marco Acquafredda : Les œuvres réalisées avec des coquilles d’escargot vides sont nées après une série de “reconstructions” de tessons et de fragments d’origine naturelle et artificielle. J’ai une prédilection pour le dessin et la peinture, mais la troisième dimension me fascine, à tel point que je la recherche “physiquement” avec des assemblages et des interventions sculpturales…. naissent souvent des hybrides entre des contextes dissemblables : peintures dessinées, peintures sculpturales, sculptures de signes, presque toujours avec des fascinations naturalistes. Chaque matériau que je choisis pour mes œuvres est le résultat d’un processus : il se trouve que je collectionne certains objets depuis des années ou que, par intuition, j’en collecte d’autres pour des œuvres “à venir”. Les coquillages sont le résultat d’une rencontre avec ces coquillages fragiles et en même temps robustes de vies antérieures. J’en ai rassemblé quelques-uns, j’en ai collecté une poignée et puis, dans un jeu de relations, j’ai demandé à mes proches de me les apporter à leur tour. Le temps, les rencontres et les relations ont permis de construire un grand amas globiforme, en devenir, que j’ai peu à peu retourné en tentant de rééquilibrer sa composition et sa stabilité. Les coquillages sont tous différents, en taille et en texture, et parfois ils se cassent, ce qui ne m’empêche pas de continuer à les ajouter dans une œuvre que je laisse ouverte. Un autre travail avec des coquillages a vu l’utilisation de différents signes graphiques : de petits escargots de terre qui s’accordent l’un après l’autre entre la tête et la queue ; ” nœud après nœud “, qui comme les perles d’un ” chapelet païen ” retracent un chemin tortueux ou linéaire, pour se terminer et se reconnecter au départ.

Cette dernière œuvre est circonscrite par une boîte en bois, sorte de reliquaire, et voilée par un film déformant qui multiplie le nombre de “nœuds” et comme un mirage complique l’image et notre perception de l’objet contenu, pourquoi créer une interférence ? Après tout, la vie n’est pas une chose facile à déchiffrer, le sentiment d’ambiguïté et de ne pas être complètement dévoilé est, je crois, un élément qui peut intriguer le spectateur.

Gabriele Landi : Pouvez-vous m’en dire plus sur la dimension relationnelle de ces œuvres ? D’où vient l’idée de demander à d’autres personnes de participer à la collecte des matériaux avec lesquels vous travaillez ?

Marco Acquafredda : Avec cette question, vous avez saisi l’essence de ce travail : la demande de participation que j’ai sollicitée est le désir d’amplifier le processus créatif, d’impliquer ceux qui m’entourent également pendant la réalisation, non seulement en tant que spectateurs, mais sous une forme active et participative. C’est la communauté qui a permis à l’œuvre d’être réalisée et de se développer, l’artiste a été un instrument et, cette fois, moins “seul”. Cela me rappelle un raisonnement d’un ami très cher, qui résumait le fait que l’art n’appartient pas à l’auteur, mais à tout le monde ; ici, j’ai probablement voulu mettre en pratique cette pensée dans mon travail actuel, que je partage pleinement.

Gabriele Landi : Avez-vous réalisé d’autres œuvres sur ce mode ?

Marco Acquafredda : Je suis également enseignant et, ces dernières années, j’ai vécu des expériences collectives en collaborant avec des organisations et des associations dans la région de “Casolese”, dans le Val d’Elsa. L’année dernière, nous avons peint un Palio avec 60 enfants, tandis qu’avec le projet “Dazebao”, un scénario imaginaire de formes plastifiées de plus de 104 mètres de long a été créé avec environ 180 enfants. Ces expériences m’ont amené à des considérations plus larges sur la relation que j’entretiens avec mon travail. Récemment, j’ai demandé à l’un de mes étudiants de disposer des pierres de mer dans un récipient. Il était mon instrument, comme si une partie du monde, extérieure, intervenait dans mon travail, de manière décisive et nécessaire. Je ne sais pas si vous connaissez “l’horizon des événements” ? C’est un concept lié aux trous noirs, défini comme la surface limite au-delà de laquelle aucun événement ne peut être observé par un observateur extérieur. Ici, mon travail est le résultat de ce qui se passe à l’extérieur de l’œuvre et qui échappe en quelque sorte au contrôle de l’auteur.

Gabriele Landi : A la lumière de ces considérations, où vous situez-vous par rapport à votre travail ?

Marco Acquafredda : Moi aussi, je me sens comme un instrument, je me sens avec cette prédisposition qui est la mienne de “célébrer” la vie, de dire ce que je peux saisir, tout ce que je ne peux pas déchiffrer, mais dont je ne peux pas me passer, que ce soit volontairement ou involontairement. J’aime à penser que le fait d’être un instrument, avec tous les doutes et la conscience de soi que cela implique, me fait appartenir à quelque chose de plus grand, et cela me fait chaud au cœur.

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Interview mit Marco Acquafredda

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Gabriele Landi: Hallo Marco, woher kommt die Kunst für dich?

Marco Acquafredda: Hallo Gabriele, Kunst ist meiner Meinung nach ein tiefes Bedürfnis zu kommunizieren, eine Dringlichkeit, die nicht immer dem Willen des Künstlers entspricht.

Gabriele Landi: Welchen Stellenwert haben die Kategorien von Raum und Zeit in Ihrer Arbeit?

Marco Acquafredda: In meiner Arbeit stimmen Zeit und Raum mit der Zeit und dem Raum meines Lebens überein, es handelt sich um einen kontinuierlichen Prozess der Beobachtung und Erfahrung, der, wenn auch nicht materiell, meine Art der Beziehung zur Welt nährt. Dann ist es notwendig, sich zu materialisieren, und das “Tun” transzendiert Raum und Zeit.

Gabriele Landi: Können Sie mir etwas über Ihre Arbeit Dust to Dust erzählen?

Marco Acquafredda: “Dust to dust” ist eine Arbeit über Vergänglichkeit und war ungewöhnlich lang im Vergleich zu meiner Vorgehensweise. Ich habe Blei verwendet, ein blasses, ungreifbares und manuell nicht zu handhabendes Graphitpulver, das ich mit Wasser und der Hilfe von Matrizen und Sieben in sehr kurzer Zeit “absetzen” ließ. Erst danach wurden mehr oder weniger dichte Stahlstifte entsprechend der Beschaffenheit der einzelnen Kompositionen (es handelt sich um ein Triptychon) in einer dritten, nur zeitweise wahrnehmbaren Dimension angeordnet. Das Werk hat lange Unterbrechungen und Wiederaufnahmen erlebt, um schließlich nach einer Abfolge von Ereignissen, Jahren, nicht der Arbeit, sondern der langsamen “Schichtung” von Ereignissen auf dem Werk selbst, beendet zu werden.

Gabriele Landi: Die Idee des Triptychons hat ihre eigene symbolische Bedeutung, haben Sie sie auch in anderen Werken verwendet?

Marco Acquafredda: Es kommt vor, dass ich Arbeiten in “Triptychen” zerlege, aber nicht oft. Die Beziehung zwischen mehreren Werken ermöglicht einen Dialog zwischen ihren Unterschieden oder Ähnlichkeiten, ein Kontinuum, das den Wert jedes einzelnen Werks verstärkt und das Konzept vertieft, dieselbe Bereicherung, die für den Sinn der menschlichen Beziehung sorgt. Auf diese Weise kann ich den Raum zwischen einem Werk und dem nächsten lesen und so den Inhalt der Erzählung selbst deutlicher erkennen. Schließlich ist ein Künstler auch der erste Betrachter von etwas, das aus einer anderen Welt zu kommen scheint.

Gabriele Landi: Überrascht Sie Ihre Arbeit oft?

Marco Acquafredda: Die Überraschung ist der Hauptgrund, der mich zum Forschen antreibt, und ich bin jedes Mal überrascht; ich bin vielleicht nicht zufrieden oder angenehm beeindruckt, aber wenn ich jedes Objekt, jede Zeichnung oder jedes Gemälde wiederhole, fühle ich, dass ich mit meiner Arbeit zu etwas gehöre, das mich mit denen verbindet, die wie ich diese manchmal verrückte und eigensinnige Praxis betreiben.

Gabriele Landi: Sind Karten für Sie in diesem Prozess von Nutzen, um die Erinnerung an die imaginären Orte, die Sie besuchen, zu bewahren?

Marco Acquafredda: Karten dienen hauptsächlich der Orientierung, meine sind Zeichen, die ich im Vorbeigehen gezeichnet habe. Man sieht es den Fotos nicht an, aber jeder Pinselstrich versucht, ein Wort auf die Oberfläche der Karte zu zeichnen, Buchstaben, die geografische Elemente beschreiben. Wenn ich sie betrachte, kann ich den Weg, den ich zurückgelegt habe, die Orte, die ich besucht habe, und die Orte, die ich nie besucht habe, überprüfen, aber es tröstet mich, dass sie meine Anwesenheit signalisieren. Um das Konzept besser zu erklären, erinnere ich mich an ein anderes, relativ neues Werk von mir, eine Serie von kleinen, zueinander in Beziehung stehenden Gemälden mit dem Titel: “Wo ich war, wo ich bin, wo ich sein werde… der gauguinischen Erinnerung… Natürlich beschreiben sie keine realen Orte, sondern Landschaften meiner tiefsten Gefühle und Gedanken.

Gabriele Landi: Interessieren Sie sich für den spirituellen Aspekt?

Marco Acquafredda: Der spirituelle Aspekt ist ein weiteres grundlegendes Element meiner Forschung: Meine Arbeit ist ein Gebiet der existenziellen Untersuchung, ein stiller Akt des Glaubens, eine Form des beharrlichen Gebets, ein zerbrechlicher Versuch, Erklärungen für die unentzifferbare Logik unserer Existenzen zu geben.

Gabriele Landi: Hat Ihrer Meinung nach das Heilige in der heutigen Kunst und in der Welt, in der wir leben, noch eine Bedeutung?

Marco Acquafredda: Das Wort “heilig” hat eine sehr breite Bedeutung, aber ich glaube nicht, dass unsere Zeit vor der Notwendigkeit gefeit ist, die Handlungen und Aktionen des Menschen in eine “Sphäre höherer Ordnung” zurückzuführen. Mir fällt ein, dass das Wort “Opfer”, das ich für den Prozess und die Forschung des künstlerischen Schaffens sehr schätze, an sich “heilig machen” bedeutet, eine unvermeidliche Opfergabe für alle unsere Artefakte, heute wie immer.

Gabriele Landi: Ich wollte Sie zu Ihrer Arbeit mit Schneckenhäusern befragen. Wie ist diese Arbeit entstanden und wie hat sie sich entwickelt?

Marco Acquafredda: Die Arbeiten mit leeren Schneckenhäusern sind später entstanden als eine Reihe von “Rekonstruktionen” von Scherben und Fragmenten natürlichen und künstlichen Ursprungs. Ich habe eine Vorliebe für die Zeichnung und die Malerei, aber die dritte Dimension fasziniert mich so sehr, dass ich sie “physisch” mit Assemblagen und skulpturalen Interventionen suche…. oft entstehen Hybride zwischen unterschiedlichen Kontexten: gezeichnete Bilder, skulpturale Bilder, Zeichenskulpturen, fast immer mit naturalistischen Faszinationen. Jedes Material, das ich für meine Arbeiten auswähle, ist das Ergebnis eines Prozesses: Bestimmte Objekte sammle ich zufällig seit Jahren, andere sammle ich aus Intuition für ‘kommende’ Arbeiten. Die Muscheln sind das Ergebnis einer Begegnung mit diesen zerbrechlichen und zugleich robusten Schalen aus vergangenen Leben. Ich stellte einige zusammen, sammelte eine Handvoll und bat dann in einem Beziehungsspiel Menschen, die mir nahe stehen, sie mir nacheinander zu bringen. Die Zeit, die Begegnungen und die Beziehungen haben es mir ermöglicht, einen großen, kugelförmigen Haufen zu bilden, der im Werden begriffen ist und den ich nach und nach auf den Kopf gestellt habe, um seine Zusammensetzung und Stabilität wieder ins Gleichgewicht zu bringen. Die Muscheln sind alle unterschiedlich, in Größe und Textur, und manchmal zerbrechen sie, aber das hält mich nicht davon ab, sie weiterhin in ein Werk einzufügen, das ich offen lasse. Bei einer anderen Arbeit mit Muscheln habe ich verschiedene grafische Zeichen verwendet: kleine irdene Schnecken, die sich zwischen Kopf und Schwanz aneinanderreihen; “Knoten nach Knoten”, die wie Perlen eines “heidnischen Rosenkranzes” einen gewundenen oder linearen Weg zurücklegen, nur um sich zu vervollständigen und wieder am Anfang zu verbinden.

Dieses letzte Werk ist von einer Holzkiste umgeben, einer Art Reliquienschrein, und wird von einer verzerrenden Folie verdeckt, die die Anzahl der “Knoten” vervielfacht und wie eine Fata Morgana das Bild und unsere Wahrnehmung des darin enthaltenen Objekts verkompliziert, warum eine Störung erzeugen? Schließlich ist das Leben nicht leicht zu entschlüsseln, und ich glaube, dass das Gefühl der Mehrdeutigkeit und des nicht vollständig Enthüllten ein Element ist, das den Betrachter faszinieren kann.

Gabriele Landi: Können Sie mir mehr über die Beziehungsdimension dieser Arbeiten erzählen? Woher kommt die Idee, andere Menschen zu bitten, sich an der Sammlung der Materialien zu beteiligen, mit denen Sie arbeiten?

Marco Acquafredda: Mit dieser Frage haben Sie das Wesentliche dieser Arbeit erfasst: Die Bitte um Beteiligung, die ich anstrebte, ist der Wunsch, den kreativen Prozess zu verstärken und die Menschen um mich herum auch während der Realisierung einzubeziehen, nicht nur als Zuschauer, sondern in einer aktiven und partizipativen Form. Es ist die Gemeinschaft, die es dem Werk ermöglicht hat, zu entstehen und zu wachsen, der Künstler war ein Instrument und dieses Mal weniger “allein”. Ich erinnere mich an eine Überlegung, die ein guter Freund von mir anstellte, der zusammenfasste, dass die Kunst nicht dem Autor gehört, sondern allen; hier wollte ich diesen Gedanken in meinem aktuellen Werk, das ich voll und ganz teile, wahrscheinlich in die Praxis umsetzen.

Gabriele Landi: Haben Sie schon andere Arbeiten in diesem Modus gemacht?

Marco Acquafredda: Ich bin auch Lehrer und habe in den letzten Jahren kollektive Erfahrungen in der Zusammenarbeit mit Organisationen und Vereinen im Casolese-Gebiet im Elsatal gemacht. Letztes Jahr haben wir mit 60 Kindern einen Palio gemalt, während beim Projekt “Dazebao” eine imaginäre Schrift aus plastifizierten Formen von über 104 Metern Länge entstand, an der etwa 180 Kinder teilnahmen. Diese Erfahrungen haben mich zu umfassenderen Überlegungen über die Beziehung geführt, die ich zu meiner Arbeit habe. Kürzlich ließ ich einen meiner Studenten einige Meeressteine in einem Behälter für mich arrangieren. Er war mein Instrument, als ob ein Teil der Welt, ein Außenstehender, in meine Arbeit eingriff, und zwar auf entscheidende und notwendige Weise. Ich weiß nicht, ob Sie ‘Der Ereignishorizont’ kennen? Es handelt sich um ein Konzept, das sich auf schwarze Löcher bezieht und als die Grenzfläche definiert ist, jenseits derer kein Ereignis von einem externen Beobachter beobachtet werden kann. Hier ist meine Arbeit das Ergebnis dessen, was außerhalb des Werks und irgendwie außerhalb der eigenen Kontrolle des Autors geschieht.

Gabriele Landi: Wo stehen Sie angesichts dieser Überlegungen in Bezug auf Ihre Arbeit?

Marco Acquafredda: Auch ich fühle mich als Instrument, ich fühle mich mit meiner Veranlagung, das Leben zu “zelebrieren”, zu erzählen, was ich erfassen kann, all das, was ich nicht entziffern kann, aber auf das ich nicht verzichten kann, ob freiwillig oder unfreiwillig. Ich denke gerne, dass ich als Instrument, mit all den Zweifeln und dem Selbstbewusstsein, zu etwas Größerem gehöre, und das ermutigt mich.

Marco Acquafredda
Laniakea(o nododopo nodo)-2023, gusci di chiocciole di terra,colla vinilica,polvere di legno,legno,
pellicola distorcente e vetri, 42.8 x74.2 x 9.8cm