#paroladartista #intervistacuratore #gabrielesalvaterra
Gabriele Landi: Ciao Gabriele, quando e come si è manifestato per la prima volta il tuo interesse per l’arte?
Gabriele Salvaterra: Si è trattato di un movimento e di minimi spostamenti a cui ho dato significato solo a posteriori. Ho sempre avuto una certa attività sognatrice e un interesse per tutto ciò che non ha un’utilità pratica. Se però devo pensare a un momento particolare forse è stato quando, alle elementari, sono andato in gita scolastica alla Casa d’Arte Futurista Depero. È stata una festa di colori, forme ed energia che mi ha entusiasmato e affascinato nel profondo.
Gabriele Landi: Questo entusiasmo si è tradotto in qualcosa di concreto? Che desideri ti ha acceso?
Gabriele Salvaterra: Immediatamente no, a parte un fascino generale per il mondo dell’estetica e del pensiero ma sempre frequentato più come appassionato ed entusiasta che come aspirante esperto o professionista. Poi gradualmente, dopo aver dedicato molto tempo alla musica, mi sono reso conto che spostavo sempre più risorse alla scrittura, alla visione e – lentamente – all’organizzazione di mostre: il mio desiderio si era mosso nel campo delle arti visive, senza che ci fosse comunque mai nulla di definitivo o esclusivo. In questo hanno sicuramente avuto la loro parte la mia formazione (Gestione e conservazione dei Beni culturali) e il mio attuale impiego al Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, come assistente alla gestione delle collezioni.
Gabriele Landi: L’arrivo al Mart è una conseguenza dei tuoi studi? Al museo hai avuto modo di lavorare anche in ambito didattico?
Gabriele Salvaterra: Sì, in qualche modo sì, non è stata una passeggiata ma il Mart rappresentava l’ente territoriale più vicino ai miei interessi. Si è trattato anche banalmente della ricerca di un impiego che, nel mio caso, si è conclusa in maniera davvero fortunata. Mi rendo conto di essere un “privilegiato” rispetto a tanti colleghi dell’università e per questo sono grato a tante cose accadutemi e a tante persone incontrate lungo il percorso. Seconda parte della domanda: sì! E ti dirò di più: ho cominciato proprio dalla didattica, in un settore davvero di eccellenza, anche all’interno del Museo stesso, e in un periodo che ricordo ancora come magico, attorno al 2010-2011, quando si lavorava a cavallo di mostre importanti come Modigliani scultore e La rivoluzione dello sguardo. Capolavori impressionisti e post-impressionisti dal Musée d’Orsay. Devo dire che quel primo imprinting è stato prezioso e da allora mi sono sempre considerato più un mediatore d’arte, anche quando facevo il curatore o recensivo una mostra per una rivista.
Gabriele Landi: Il tuo interesse per la musica continua tutt’oggi, in che modo?
Gabriele Salvaterra: Continua in maniera più sotterranea, non come attività di ricerca o di creazione. Sono rimasto un po’ legato agli ascolti adolescenziali e universitari, continuo a suonare in gruppi cover del territorio con persone che stimo e con cui mi diverto. Conservo una sufficiente preparazione teorica e pratica che, ogni tanto, mi dà spunti interessanti anche nel raffronto con le arti visive.
Gabriele Landi: Mi racconti di più su questa idea del mediatore, come si concilia con quella del curatore?
Gabriele Salvaterra: Non voglio abbassare il livello della conversazione affermando che le parole e le attività attorno all’arte siano una forma di spiegazione o esplicazione (entrambe impossibili!) ma certamente vedo l’attività di professionisti delle espressioni visive, critici, curatori e giornalisti, come una mediazione tra opera, progetto e pubblico. Non si tratta semplicemente di sciogliere dei contenuti ostici nell’illuminazione del significato chiaro e definito, quanto di avviare un discorso parallelo all’opera o al concetto, in grado di avere anche una propria autonomia letteraria-formale. Un discorso, questo, che deve essere capace di tradurre nel plurimo senso di tradire, restituire e trasformare, “tessendo intorno” ai significati mai conclusi delle cose.
Gabriele Landi: Questa idea di creare una trama, di “tessere intorno”, che suppongo si attui su più livelli visivo, letterario e relazionale… corrisponde a una volontà di aprire possibili peregrinazioni intorno ai significati mai conclusi di ciò che di volta in volta incontri? Come avviene il tuo lavoro? Oltre che letterariamente intervieni anche sull’allestimento con la stessa ottica? Che rapporto cerchi di stabilire con gli artisti e i loro lavori?
Gabriele Salvaterra: Credo che l’uomo non possa evitare di dare continuamente senso alle cose: un senso proprio, mutevole e complesso, quindi la risposta è sì: le possibili peregrinazioni (che bella espressione!) vanno incoraggiate in un lavoro al contempo di approfondimento (parlare dell’oggetto artistico) e apertura (per parlare d’altro).
L’aspetto scrittorio è poi centrale, lì si nasconde il senso di ogni iniziativa, ma anche l’allestimento è fondamentale. Per me è un momento di scambio e confronto plurale, prove e tentativi, apporti e marce indietro, è qualcosa che si crea nel momento e che mette in un gioco non banale la nostra intera percezione corporea.
Il rapporto con artisti e lavori? Direi complicità!
Gabriele Landi: Come li scegli?
Gabriele Salvaterra: La scelta avviene naturalmente per una comune condivisione di visioni e sensibilità. Il lavoro mi deve coinvolgere intellettualmente e fisicamente, in più ci deve anche essere una familiarità, una sorta di empatia con la persona. Difficile collaborare e condividere con qualcuno con cui non c’è assolutamente nulla in comune.
Gabriele Landi: Guardando a tutto quello che ho visto curato da te mi sembra che le tue preferenze vadano alla pittura. Ti volevo chiedere che cosa ti affascina di questa, secondo alcuni suoi delatori, “roba” che non ha più senso, secondo invece i suoi numerosissimi amanti più viva che mai, modalità espressiva?
Gabriele Salvaterra: Come recita un quadro di Gene Beery, recentemente visto nella mostra Stop Painting a Fondazione Prada Venezia, “finché ci saranno pareti ci saranno anche dipinti!” La pittura può essere tutto e niente, ci sono molto affezionato, la seguo da sempre e credo che non abbia nulla da invidiare ad altri medium più tecnologici o temporalmente vicini a noi. Ha dietro di sé una grande storia – in quanto arte per antonomasia e, realmente, prima teoria e pratica dell’immagine – che la rende contemporaneamente zona di comfort e ambito complessissimo, sfida indicibile e oggetto tra i più prevedibili. Poi non mi piacciono gli entusiasmi modaioli di chi, a intervalli periodici, riscopre quest’acqua calda… ci si può fare di tutto, anche dei sonori disastri…
Gabriele Landi: Il tuo approccio al lavoro degli artisti è più basato sulla suggestione e i suggerimenti che ti può fornire o è più scientifico/analitico?
Gabriele Salvaterra: Non ho regole precise o meglio non ho regole consapevoli, anche se mi piace pensare che alla lunga, nonostante le differenti poetiche e sfumature che mi trovo ad affrontare e gestire, e, nonostante i molti e diversi artisti con cui mi trovo a collaborare, si possa leggere una linearità e una qualità in qualche modo costanti. Ho scritto di arte astratta, figurativa, narrativa, citazionista, concettuale, ecc. ogni volta l’impatto estetico deve avere un retroterra di senso importante e stimolante. Forma e contenuto devono incontrarsi in una superficie pregnante.
Gabriele Landi: Che posto occupa l’opera degli artisti con cui ti trovi a lavorare, rispetto al tuo operare?
Gabriele Salvaterra: L’opera è il centro, il nucleo da cui tutto si irradia, ma ciò non toglie che non ci debbano essere cornici, movimenti paralleli, accentramenti o moti contrari e centrifughi. Anzi tutte queste eversioni sono fondamentali. Ma l’opera, l’oggetto, la cosa materiale e/o virtuale resta comunque l’inizio e la fine di tutto.
Gabriele Landi: Ogni tanto torna l’idea del critico/curatore creativo. È questa una dimensione lavorativa che ti interessa?
Gabriele Salvaterra: Non voglio che questa affermazione dia adito a derive eccessive ma sicuramente sia nella scrittura, che nella concezione di un allestimento o di una mostra c’è un fortissimo grado di creatività. Un autore è un creativo, un architetto o un designer di interni è un creativo, anche un regista lo è. Si tratta solo di riuscire a equilibrare una propria personale volontà espressiva con le esigenze del “mettersi al servizio di qualcos’altro”. Ma in fondo in tanti dei mestieri citati qui sopra si pone questo compromesso. Un’eccessiva autoreferenzialità offusca il vero ruolo che è comunque finalizzato a un obiettivo che va oltre il proprio ombelico.
In questo senso, l’aspetto creativo di questo mestiere, per me innegabile, è ulteriormente confermato dall’abitudine recente di affidare ad artisti visivi il ruolo curatoriale. L’aspetto produttivo viene traslato addirittura a un livello più ampio e globale in questa maniera. Le soddisfazioni o, viceversa, i fiaschi possono essere di conseguenza molto importanti!
Gabriele Salvaterra, nato a Tione di Trento nel 1984, è un curatore indipendente e operatore museale. Lavora al Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, nell’ufficio Gestione collezioni e coordinamento mostre. È nella giuria dello storico Premio Artivisive San Fedele di Milano e negli anni ha curato decine di mostre di artisti giovani, mid-career e affermati, seguendo anche la pubblicazione dei relativi cataloghi sia per produzioni istituzionali che galleristiche.
Affianca a queste attività la collaborazione come giornalista corrispondente presso diverse riviste specialistiche di settore, sia cartacee che online (Espoarte, Exibart, Artribune, Titolo). Ha pubblicato con Skira un catalogo monografico sul lavoro di Armida Gandini. Nel 2023 è uscito per Polistampa il suo saggio Sulla superficie.
English text
Interview with Gabriele Salvaterra
#paroladartista #interviewcurator #gabrielesalvaterra
Gabriele Landi: Hi Gabriele, when and how did your interest in art first manifest itself?
Gabriele Salvaterra: It was a movement and minimal movements to which I only gave meaning afterwards. I have always had a certain dreamy activity and an interest in everything that has no practical use. However, if I have to think of a particular moment, perhaps it was when, in primary school, I went on a school trip to the Casa d’Arte Futurista Depero. It was a festival of colours, shapes and energy that thrilled and fascinated me to the core.
Gabriele Landi: Did this enthusiasm translate into something concrete? What desires did it ignite in you?
Gabriele Salvaterra: Not immediately, apart from a general fascination for the world of aesthetics and thought, but always attended more as an enthusiast and enthusiast than as an aspiring expert or professional. Then gradually, after devoting a lot of time to music, I realised that I was shifting more and more of my resources to writing, vision and – slowly – to the organisation of exhibitions: my desire had moved into the field of visual arts, without there ever being anything definitive or exclusive. My training (Cultural Heritage Management and Conservation) and my current job at Mart, the Museum of Modern and Contemporary Art in Trento and Rovereto, as collections management assistant, certainly played a part in this.
Gabriele Landi: Is your arrival at Mart a consequence of your studies? Did you also have the opportunity to work in the educational field at the museum?
Gabriele Salvaterra: Yes, in some ways yes, it was not a walk in the park, but the Mart was the institution closest to my interests. It was also trivially the search for a job, which, in my case, ended very fortunately. I realise that I am ‘privileged’ compared to many colleagues at university and for that I am grateful for so many things that happened to me and so many people I met along the way. Second part of the question: yes! And I’ll tell you more: I started right from didactics, in a truly excellent sector, even within the museum itself, and in a period that I still remember as magical, around 2010-2011, when we were working on major exhibitions such as Modigliani the Sculptor and The Revolution of the Gaze. Impressionist and Post-Impressionist Masterpieces from the Musée d’Orsay. I must say that that first imprinting was precious and since then I have always considered myself more of an art mediator, even when I was curating or reviewing an exhibition for a magazine.
Gabriele Landi: Your interest in music continues today, in what way?
Gabriele Salvaterra: It continues in a more underground way, not as a research or creation activity. I have remained somewhat tied to adolescent and university listening, I continue to play in local cover bands with people I respect and have fun with. I retain a sufficient theoretical and practical background that, every now and then, also gives me interesting insights into the comparison with the visual arts.
Gabriele Landi: Tell me more about this idea of the mediator, how does it fit in with that of the curator?
Gabriele Salvaterra: I don’t want to lower the level of the conversation by saying that words and activities around art are a form of explanation or explication (both are impossible!) but I certainly see the activity of professionals of visual expressions, critics, curators and journalists, as a mediation between work, project and audience. It is not simply a matter of dissolving difficult content in the illumination of clear and definite meaning, but rather of initiating a discourse parallel to the work or concept, which is also capable of having its own literary-formal autonomy. A discourse, this, that must be capable of translating in the multiple sense of betraying, returning and transforming, “weaving around” the never concluded meanings of things.
Gabriele Landi: This idea of creating a plot, of “weaving around”, which I suppose is implemented on several visual, literary and relational levels… does it correspond to a desire to open up possible peregrinations around the never-concluded meanings of what you encounter from time to time? How does your work take place? Do you intervene not only in the literary but also in the exhibition design with the same perspective? What relationship do you try to establish with the artists and their works?
Gabriele Salvaterra: I believe that man cannot avoid continually making sense of things: a sense of his own, which is changeable and complex, so the answer is yes: possible wanderings (what a beautiful expression!) must be encouraged in a work that is both in-depth (to talk about the artistic object) and open (to talk about something else).
The writing aspect is then central, therein lies the meaning of every initiative, but the set-up is also fundamental. For me it is a moment of plural exchange and confrontation, trial and error, contributions and backward marches, it is something that is created in the moment and that puts our entire bodily perception into a non-trivial game.
The relationship with artists and works? I would say complicity!
Gabriele Landi: How do you choose them?
Gabriele Salvaterra: The choice comes naturally out of a shared vision and sensitivity. The work must involve me intellectually and physically, plus there must also be a familiarity, a kind of empathy with the person. It is difficult to collaborate and share with someone with whom there is absolutely nothing in common.
Gabriele Landi: Looking at everything I have seen curated by you, it seems to me that your preferences go to painting. I wanted to ask you what fascinates you about this, according to some of its delineators, “stuff” that no longer makes sense, according to its many lovers, more alive than ever, mode of expression?
Gabriele Salvaterra: As a painting by Gene Beery, recently seen in the Stop Painting exhibition at Fondazione Prada Venice, says, “as long as there are walls, there will also be paintings!” Painting can be everything and nothing, I am very fond of it, I have always followed it and I believe it has nothing to envy to other mediums that are more technological or temporally close to us. It has a great history behind it – as art par excellence and, really, first theory and practice of the image – which makes it both a comfort zone and a very complex field, an unspeakable challenge and one of the most predictable objects. And I don’t like the fashionable enthusiasm of those who, at periodic intervals, rediscover this hot water… everything can be done with it, even resounding disasters…
Gabriele Landi: Is your approach to artists’ work more based on suggestion and suggestions or is it more scientific/analytical?
Gabriele Salvaterra: I have no precise rules, or rather I have no conscious rules, although I like to think that in the long run, despite the different poetics and nuances that I find myself dealing with and managing, and despite the many different artists with whom I find myself collaborating, one can read a somewhat constant linearity and quality. I have written about abstract, figurative, narrative, citationist, conceptual art, etc. Each time, the aesthetic impact must have an important and stimulating background of meaning. Form and content must meet in a meaningful surface.
Gabriele Landi: What place does the work of the artists you work with have in your work?
Gabriele Salvaterra: The work is the centre, the core from which everything radiates, but this does not mean that there should not be frames, parallel movements, centralisations or contrary and centrifugal motions. On the contrary, all these subversions are fundamental. But the work, the object, the material and/or virtual thing remains the beginning and the end of everything.
Gabriele Landi: Every now and then the idea of the critic/creative curator comes back. Is this a working dimension that interests you?
Gabriele Salvaterra: I don’t want this statement to give rise to excessive drifts, but there is certainly a very strong degree of creativity both in the writing and in the conception of an exhibition or exhibition. An author is creative, an architect or an interior designer is creative, even a director is creative. It is just a matter of managing to balance one’s own personal expressive will with the demands of ‘putting oneself at the service of something else’. But after all, in so many of the professions mentioned above, there is this compromise. Excessive self-referentiality obscures the true role, which is in any case aimed at a goal beyond one’s own navel.
In this sense, the creative aspect of this profession, for me undeniable, is further confirmed by the recent habit of entrusting visual artists with the curatorial role. The production aspect is even shifted to a broader and more global level in this manner. Satisfactions or, conversely, flops can be very important as a result!
Gabriele Salvaterra, born in Tione di Trento in 1984, is an independent curator and museum operator. He works at Mart, the Museum of Modern and Contemporary Art of Trento and Rovereto, in the Collections Management and Exhibition Coordination Office. He is on the jury of the historic Premio Artivisive San Fedele in Milan and over the years has curated dozens of exhibitions of young, mid-career and established artists, also overseeing the publication of the relevant catalogues for both institutional and gallery productions.
Alongside these activities, he collaborates as a correspondent journalist with various specialist magazines, both print and online (Espoarte, Exibart, Artribune, Titolo). He published a monographic catalogue on Armida Gandini’s work with Skira. In 2023, his essay Sulla superficie was published by Polistampa.
Texte en Français
Entretien avec Gabriele Salvaterra
#paroladartista #interviewcurator #gabrielesalvaterra
Gabriele Landi : Bonjour Gabriele, quand et comment votre intérêt pour l’art s’est-il manifesté pour la première fois ?
Gabriele Salvaterra : C’était un mouvement et des mouvements minimaux auxquels je n’ai donné un sens qu’après coup. J’ai toujours eu une certaine activité rêveuse et un intérêt pour tout ce qui n’a pas d’utilité pratique. Cependant, si je dois penser à un moment particulier, c’est peut-être lorsque, à l’école primaire, je suis allé en voyage scolaire à la Casa d’Arte Futurista Depero. C’était un festival de couleurs, de formes et d’énergie qui m’a enthousiasmé et fasciné au plus haut point.
Gabriele Landi : Cet enthousiasme s’est-il traduit par quelque chose de concret ? Quels sont les désirs qu’il a fait naître en vous ?
Gabriele Salvaterra : Pas immédiatement, à part une fascination générale pour le monde de l’esthétique et de la pensée, mais j’y ai toujours assisté plus en tant que passionné et enthousiaste qu’en tant qu’aspirant expert ou professionnel. Puis, progressivement, après avoir consacré beaucoup de temps à la musique, je me suis rendu compte que je déplaçais de plus en plus mes ressources vers l’écriture, la vision et – lentement – l’organisation d’expositions : mon désir s’était déplacé vers le domaine des arts visuels, sans qu’il n’y ait jamais rien de définitif ou d’exclusif. Ma formation (gestion et conservation du patrimoine culturel) et mon emploi actuel au Mart, le musée d’art moderne et contemporain de Trente et Rovereto, en tant qu’assistante de gestion des collections, ont certainement joué un rôle à cet égard.
Gabriele Landi : Votre arrivée au Mart est-elle une conséquence de vos études ? Avez-vous également eu l’occasion de travailler dans le domaine de l’éducation au musée ?
Gabriele Salvaterra : Oui, d’une certaine manière oui, cela n’a pas été une promenade de santé, mais le Mart était l’institution la plus proche de mes intérêts. Il s’agissait également d’une question triviale de recherche d’emploi qui, dans mon cas, s’est terminée très heureusement. Je me rends compte que je suis “privilégiée” par rapport à de nombreux collègues de l’université et je suis reconnaissante pour tout ce qui m’est arrivé et pour toutes les personnes que j’ai rencontrées sur mon chemin. Deuxième partie de la question : oui ! Et je vais vous en dire plus : j’ai commencé dès la didactique, dans un secteur vraiment excellent, même au sein du musée, et dans une période que je garde encore en mémoire comme magique, vers 2010-2011, lorsque nous travaillions sur des expositions majeures telles que Modigliani le sculpteur et La révolution du regard. Chefs-d’œuvre impressionnistes et postimpressionnistes du musée d’Orsay. Je dois dire que cette première empreinte a été précieuse et que, depuis lors, je me suis toujours considérée davantage comme une médiatrice de l’art, même lorsque j’étais commissaire d’exposition ou que je faisais la critique d’une exposition pour un magazine.
Gabriele Landi : Votre intérêt pour la musique se poursuit aujourd’hui, de quelle manière ?
Gabriele Salvaterra : Il se poursuit de manière plus souterraine, pas en tant qu’activité de recherche ou de création. Je suis resté quelque peu lié à l’écoute adolescente et universitaire, je continue à jouer dans des groupes de reprises locaux avec des gens que je respecte et avec qui je m’amuse. Je conserve un bagage théorique et pratique suffisant qui, de temps en temps, me donne des aperçus intéressants sur la comparaison avec les arts visuels.
Gabriele Landi : Parlez-moi de cette idée de médiateur, comment s’articule-t-elle avec celle de conservateur ?
Gabriele Salvaterra : Je ne veux pas abaisser le niveau de la conversation en disant que les mots et les activités autour de l’art sont une forme d’explication (les deux sont impossibles !), mais je vois certainement l’activité des professionnels des expressions visuelles, des critiques, des conservateurs et des journalistes, comme une médiation entre l’œuvre, le projet et le public. Il ne s’agit pas simplement de dissoudre un contenu difficile dans l’illumination d’un sens clair et défini, mais plutôt d’initier un discours parallèle à l’œuvre ou au concept, qui est également capable d’avoir sa propre autonomie littéraire et formelle. Un discours qui doit être capable de traduire dans le sens multiple de trahir, de retourner et de transformer, de “tisser autour” des significations jamais conclues des choses.
Gabriele Landi : Cette idée de créer une intrigue, de “tisser autour”, qui, je suppose, est mise en œuvre à plusieurs niveaux visuels, littéraires et relationnels… correspond-elle à un désir d’ouvrir des pérégrinations possibles autour des significations jamais conclues de ce que l’on rencontre de temps en temps ? Comment se déroule votre travail ? Intervenez-vous non seulement dans le domaine littéraire mais aussi dans la conception de l’exposition avec la même perspective ? Quelle relation essayez-vous d’établir avec les artistes et leurs œuvres ?
Gabriele Salvaterra : Je crois que l’homme ne peut pas éviter de donner continuellement un sens aux choses : un sens qui lui est propre, qui est changeant et complexe, donc la réponse est oui : les errances possibles (quelle belle expression !) doivent être encouragées dans un travail à la fois approfondi (pour parler de l’objet artistique) et ouvert (pour parler d’autre chose).
L’aspect écriture est donc central, c’est là que se trouve le sens de toute initiative, mais la mise en place est également fondamentale. C’est pour moi un moment d’échanges et de confrontations plurielles, de tâtonnements, d’apports et de retours en arrière, c’est quelque chose qui se crée dans l’instant et qui met toute notre perception corporelle dans un jeu non trivial.
La relation avec les artistes et les œuvres ? Je dirais la complicité !
Gabriele Landi : Comment les choisissez-vous ?
Gabriele Salvaterra : Le choix se fait naturellement à partir d’une vision et d’une sensibilité partagées. L’œuvre doit m’impliquer intellectuellement et physiquement, et il doit aussi y avoir une familiarité, une sorte d’empathie avec la personne. Il est difficile de collaborer et de partager avec quelqu’un avec qui on n’a absolument rien en commun.
Gabriele Landi : En regardant tout ce que j’ai vu de vos expositions, il me semble que vos préférences vont à la peinture. Je voulais vous demander ce qui vous fascine dans ce mode d’expression qui, selon certains de ses délecteurs, est un “truc” qui n’a plus de sens et, selon ses nombreux amateurs, est plus vivant que jamais.
Gabriele Salvaterra : Comme le dit une peinture de Gene Beery, récemment exposée dans le cadre de l’exposition Stop Painting à la Fondazione Prada Venice, “tant qu’il y aura des murs, il y aura aussi des peintures”. La peinture peut être tout et rien, je l’aime beaucoup, je l’ai toujours suivie et je crois qu’elle n’a rien à envier à d’autres médiums plus technologiques ou temporellement plus proches de nous. Elle a une grande histoire derrière elle – en tant qu’art par excellence et, en réalité, première théorie et pratique de l’image – qui en fait à la fois une zone de confort et un domaine très complexe, un défi indescriptible et l’un des objets les plus prévisibles. Et je n’aime pas l’enthousiasme à la mode de ceux qui, à intervalles réguliers, redécouvrent cette eau chaude… on peut tout faire avec, même des désastres retentissants…
Gabriele Landi : Votre approche du travail des artistes est-elle plus basée sur la suggestion et les propositions ou est-elle plus scientifique/analytique ?
Gabriele Salvaterra : Je n’ai pas de règles précises, ou plutôt je n’ai pas de règles conscientes, même si j’aime penser qu’à long terme, malgré les différentes poétiques et nuances que je me retrouve à traiter et à gérer, et malgré les nombreux artistes différents avec lesquels je collabore, on peut lire une linéarité et une qualité quelque peu constantes. J’ai écrit sur l’art abstrait, figuratif, narratif, citationnel, conceptuel, etc. À chaque fois, l’impact esthétique doit avoir un fond de signification important et stimulant. La forme et le contenu doivent se rencontrer dans une surface significative.
Gabriele Landi : Quelle est la place du travail des artistes avec lesquels vous travaillez dans votre travail ?
Gabriele Salvaterra : L’œuvre est le centre, le noyau à partir duquel tout rayonne, mais cela ne signifie pas qu’il ne doit pas y avoir de cadres, de mouvements parallèles, de centralisations ou de mouvements contraires et centrifuges. Au contraire, toutes ces subversions sont fondamentales. Mais l’œuvre, l’objet, la chose matérielle et/ou virtuelle reste le début et la fin de tout.
Gabriele Landi : De temps en temps revient l’idée du critique/curateur créatif. Est-ce une dimension de travail qui vous intéresse ?
Gabriele Salvaterra : Je ne voudrais pas que cette affirmation donne lieu à des dérives excessives, mais il y a certainement un degré très fort de créativité tant dans l’écriture que dans la conception d’une exposition ou d’un salon. Un auteur est créatif, un architecte ou un décorateur est créatif, même un metteur en scène est créatif. Il s’agit simplement de parvenir à équilibrer sa propre volonté d’expression avec les exigences de “se mettre au service de quelque chose d’autre”. Mais après tout, dans tant de professions mentionnées ci-dessus, il y a ce compromis. L’autoréférence excessive obscurcit le rôle véritable, qui est de toute façon orienté vers un but situé au-delà de son propre nombril.
En ce sens, l’aspect créatif de cette profession, pour moi indéniable, est encore confirmé par l’habitude récente de confier le rôle de commissaire d’exposition à des artistes visuels. L’aspect production est même ainsi déplacé à un niveau plus large et plus global. Les satisfactions ou, à l’inverse, les échecs peuvent être très importants en conséquence !
Gabriele Salvaterra, né à Tione di Trento en 1984, est un conservateur indépendant et un opérateur de musée. Il travaille au Mart, le musée d’art moderne et contemporain de Trente et Rovereto, au sein du bureau de gestion des collections et de coordination des expositions. Il fait partie du jury de l’historique Premio Artivisive San Fedele de Milan et, au fil des ans, il a organisé des dizaines d’expositions de jeunes artistes, d’artistes en milieu de carrière et d’artistes confirmés, supervisant également la publication des catalogues correspondants pour les productions institutionnelles et celles des galeries.
Parallèlement à ces activités, il collabore en tant que journaliste correspondant avec divers magazines spécialisés, tant sur papier qu’en ligne (Espoarte, Exibart, Artribune, Titolo). Il a publié un catalogue monographique sur l’œuvre d’Armida Gandini chez Skira. En 2023, son essai Sulla superficie a été publié par Polistampa.
Deutschsprachiger text
Interview mit Gabriele Salvaterra
#paroladartista #interviewkurator #gabrielesalvaterra
Gabriele Landi: Hallo Gabriele, wann und wie hat sich dein Interesse an der Kunst erstmals manifestiert?
Gabriele Salvaterra: Es war eine Bewegung und minimale Bewegungen, denen ich erst im Nachhinein einen Sinn gegeben habe. Ich hatte schon immer eine gewisse verträumte Aktivität und ein Interesse an allem, was keinen praktischen Nutzen hat. Aber wenn ich an einen bestimmten Moment denken muss, dann war es vielleicht, als ich in der Grundschule einen Schulausflug zur Casa d’Arte Futurista Depero machte. Es war ein Fest der Farben, Formen und Energie, das mich zutiefst begeisterte und faszinierte.
Gabriele Landi: Hat sich diese Begeisterung in etwas Konkretem niedergeschlagen? Welche Sehnsüchte hat sie in Ihnen geweckt?
Gabriele Salvaterra: Nicht sofort, abgesehen von einer allgemeinen Faszination für die Welt der Ästhetik und des Denkens, aber ich habe immer mehr als Enthusiast und Liebhaber teilgenommen als als angehender Experte oder Profi. Dann habe ich nach und nach, nachdem ich der Musik viel Zeit gewidmet hatte, gemerkt, dass ich immer mehr meiner Ressourcen auf das Schreiben, das Sehen und – langsam – auf die Organisation von Ausstellungen verlagert habe: mein Wunsch hatte sich in den Bereich der bildenden Kunst verlagert, ohne dass es jemals etwas Endgültiges oder Ausschließliches gegeben hätte. Meine Ausbildung (Verwaltung und Erhaltung des kulturellen Erbes) und meine derzeitige Tätigkeit im Mart, dem Museum für moderne und zeitgenössische Kunst in Trient und Rovereto, als Assistentin für die Verwaltung der Sammlungen, haben dabei sicherlich eine Rolle gespielt.
Gabriele Landi: Ist Ihre Ankunft im Mart eine Folge Ihres Studiums? Hatten Sie auch die Möglichkeit, im Museum im pädagogischen Bereich zu arbeiten?
Gabriele Salvaterra: Ja, in gewisser Weise schon, es war kein Zuckerschlecken, aber das Mart war die Institution, die meinen Interessen am nächsten kam. Es war auch ganz banal die Suche nach einem Job, die in meinem Fall sehr glücklich endete. Mir ist klar, dass ich im Vergleich zu vielen Kollegen an der Universität ‘privilegiert’ bin, und dafür bin ich dankbar für so viele Dinge, die mir passiert sind, und so viele Menschen, die ich auf meinem Weg getroffen habe. Zweiter Teil der Frage: Ja! Und ich erzähle Ihnen mehr: Ich habe direkt in der Didaktik angefangen, in einem wirklich exzellenten Bereich, sogar innerhalb des Museums selbst, und in einer Zeit, die ich immer noch als magisch in Erinnerung habe, etwa 2010-2011, als wir an großen Ausstellungen wie Modigliani the Sculptor und The Revolution of the Gaze arbeiteten. Impressionistische und postimpressionistische Meisterwerke aus dem Musée d’Orsay. Ich muss sagen, dass diese erste Prägung sehr wertvoll war, und seitdem habe ich mich immer mehr als Kunstvermittler gesehen, auch wenn ich eine Ausstellung kuratiert oder für eine Zeitschrift rezensiert habe.
Gabriele Landi: Ihr Interesse an der Musik besteht heute noch, in welcher Form?
Gabriele Salvaterra: Es besteht in einer eher unterirdischen Form fort, nicht als Forschungs- oder Kreationstätigkeit. Ich bin dem Hören in der Jugend und an der Universität verbunden geblieben und spiele weiterhin in lokalen Coverbands mit Leuten, die ich respektiere und mit denen ich Spaß habe. Ich habe mir einen ausreichenden theoretischen und praktischen Hintergrund bewahrt, der mir hin und wieder auch interessante Einblicke in den Vergleich mit der bildenden Kunst gibt.
Gabriele Landi: Erzählen Sie mir mehr über diese Idee des Vermittlers, wie passt sie zu der des Kurators?
Gabriele Salvaterra: Ich möchte das Niveau des Gesprächs nicht herabsetzen, indem ich sage, dass Worte und Aktivitäten rund um die Kunst eine Form der Erklärung oder Explikation sind (beides ist unmöglich!), aber ich sehe die Tätigkeit von Fachleuten des visuellen Ausdrucks, von Kritikern, Kuratoren und Journalisten, durchaus als eine Vermittlung zwischen Werk, Projekt und Publikum. Es geht nicht einfach darum, schwierige Inhalte in der Erhellung eines klaren und eindeutigen Sinns aufzulösen, sondern vielmehr darum, parallel zum Werk oder Konzept einen Diskurs zu initiieren, der auch in der Lage ist, eine eigene literarisch-formale Autonomie zu haben. Ein Diskurs also, der in der Lage sein muss, im mehrfachen Sinne des Verrats, der Wiederkehr und der Verwandlung zu übersetzen, die nie abgeschlossenen Bedeutungen der Dinge zu “umweben”.
Gabriele Landi: Diese Idee der Schaffung eines Plots, des “Umwebens”, die, wie ich annehme, auf mehreren visuellen, literarischen und relationalen Ebenen umgesetzt wird… entspricht sie dem Wunsch, mögliche Wanderungen um die nie abgeschlossenen Bedeutungen dessen, was einem von Zeit zu Zeit begegnet, zu eröffnen? Wie findet Ihre Arbeit statt? Greifen Sie nicht nur in die literarische, sondern auch in die Ausstellungsgestaltung mit der gleichen Perspektive ein? Welche Beziehung versuchen Sie zu den Künstlern und ihren Werken herzustellen?
Gabriele Salvaterra: Ich glaube, dass der Mensch nicht umhin kann, den Dingen ständig einen Sinn zu geben: einen eigenen Sinn, der wandelbar und komplex ist, daher lautet die Antwort ja: Mögliche Irrwege (was für ein schöner Ausdruck!) müssen in einer Arbeit gefördert werden, die sowohl vertieft (um über den künstlerischen Gegenstand zu sprechen) als auch offen (um über etwas anderes zu sprechen) ist.
Der Aspekt des Schreibens ist also zentral, darin liegt der Sinn jeder Initiative, aber auch der Aufbau ist grundlegend. Für mich ist es ein Moment des pluralen Austauschs und der Konfrontation, von Versuch und Irrtum, von Beiträgen und Rückschritten, es ist etwas, das im Moment entsteht und unsere gesamte Körperwahrnehmung in ein nicht triviales Spiel bringt.
Das Verhältnis zu Künstlern und Werken? Ich würde sagen: Komplizenschaft!
Gabriele Landi: Wie wählen Sie sie aus?
Gabriele Salvaterra: Die Auswahl ergibt sich ganz natürlich aus einer gemeinsamen Vision und Sensibilität. Das Werk muss mich intellektuell und physisch einbeziehen, und es muss auch eine Vertrautheit, eine Art Einfühlungsvermögen mit der Person vorhanden sein. Es ist schwierig, mit jemandem zusammenzuarbeiten und zu teilen, mit dem man absolut nichts gemeinsam hat.
Gabriele Landi: Wenn ich mir alles anschaue, was ich von Ihnen kuratiert gesehen habe, scheint es mir, dass Ihre Vorliebe der Malerei gilt. Ich wollte Sie fragen, was Sie an dieser Ausdrucksform fasziniert, die nach Ansicht einiger ihrer Liebhaber “Zeug” ist, das keinen Sinn mehr macht, und nach Ansicht vieler Liebhaber lebendiger denn je ist.
Gabriele Salvaterra: Wie ein Gemälde von Gene Beery, das kürzlich in der Ausstellung Stop Painting in der Fondazione Prada Venedig zu sehen war, sagt: “Solange es Wände gibt, wird es auch Gemälde geben!” Die Malerei kann alles und nichts sein, ich mag sie sehr, ich habe sie immer verfolgt und ich glaube, dass sie anderen Medien, die uns technologisch oder zeitlich näher sind, nichts entgegenzusetzen hat. Es hat eine große Geschichte hinter sich – als Kunst schlechthin und eigentlich als erste Theorie und Praxis des Bildes – was es sowohl zu einer Komfortzone als auch zu einem sehr komplexen Feld macht, zu einer unsagbaren Herausforderung und zu einem der berechenbarsten Objekte. Und ich mag den modischen Enthusiasmus derjenigen nicht, die in regelmäßigen Abständen dieses heiße Wasser wiederentdecken… man kann alles damit machen, sogar schallende Katastrophen…
Gabriele Landi: Beruht Ihre Herangehensweise an die Arbeit von Künstlern eher auf Anregungen und Vorschlägen oder ist sie eher wissenschaftlich/analytisch?
Gabriele Salvaterra: Ich habe keine präzisen Regeln, oder besser gesagt, ich habe keine bewussten Regeln, obwohl ich denke, dass man auf lange Sicht, trotz der verschiedenen Poetiken und Nuancen, mit denen ich zu tun habe, und trotz der vielen verschiedenen Künstler, mit denen ich zusammenarbeite, eine gewisse konstante Linearität und Qualität erkennen kann. Ich habe über abstrakte, figurative, narrative, zitathafte, konzeptuelle Kunst usw. geschrieben. Jedes Mal muss die ästhetische Wirkung einen wichtigen und anregenden Bedeutungshintergrund haben. Form und Inhalt müssen sich in einer sinnvollen Oberfläche treffen.
Gabriele Landi: Welchen Stellenwert haben die Arbeiten der Künstler, mit denen Sie zusammenarbeiten, in Ihrem Werk?
Gabriele Salvaterra: Das Werk ist das Zentrum, der Kern, von dem alles ausgeht, aber das bedeutet nicht, dass es keine Rahmen, Parallelbewegungen, Zentralisierungen oder gegenläufige und zentrifugale Bewegungen geben sollte. Im Gegenteil, alle diese Subversionen sind grundlegend. Aber das Werk, das Objekt, das materielle und/oder virtuelle Ding bleibt der Anfang und das Ende von allem.
Gabriele Landi: Hin und wieder taucht die Idee des Kritikers/Kreativkurators auf. Ist das eine Arbeitsdimension, die Sie interessiert?
Gabriele Salvaterra: Ich möchte mit dieser Aussage nicht zu sehr abdriften, aber es gibt sicherlich ein sehr hohes Maß an Kreativität sowohl beim Schreiben als auch bei der Konzeption einer Ausstellung oder eines Projekts. Ein Autor ist kreativ, ein Architekt oder ein Innenarchitekt ist kreativ, sogar ein Regisseur ist kreativ. Es geht nur darum, den eigenen persönlichen Ausdruckswillen mit den Anforderungen, sich in den Dienst einer Sache zu stellen, in Einklang zu bringen. Aber schließlich gibt es in so vielen der oben genannten Berufe diesen Kompromiss. Eine übermäßige Selbstbezogenheit verdeckt die eigentliche Rolle, die in jedem Fall auf ein Ziel jenseits des eigenen Nabels ausgerichtet ist.
In diesem Sinne wird der kreative Aspekt dieses Berufs, der für mich unbestreitbar ist, durch die jüngste Gewohnheit, bildende Künstler mit der Rolle des Kurators zu betrauen, noch bestätigt. Der Produktionsaspekt wird auf diese Weise sogar auf eine breitere und globalere Ebene verlagert. Zufriedenstellende Ergebnisse oder auch Misserfolge können infolgedessen sehr wichtig sein!
Gabriele Salvaterra, 1984 in Tione di Trento geboren, ist ein unabhängiger Kurator und Museumsbetreiber. Er arbeitet im Mart, dem Museum für moderne und zeitgenössische Kunst von Trient und Rovereto, in der Abteilung für Sammlungsmanagement und Ausstellungskoordination. Er ist Jurymitglied des historischen Premio Artivisive San Fedele in Mailand und hat im Laufe der Jahre Dutzende von Ausstellungen junger, mittlerer und etablierter Künstler kuratiert, wobei er auch die Veröffentlichung der entsprechenden Kataloge sowohl für institutionelle als auch für Galerieproduktionen beaufsichtigt hat.
Neben diesen Tätigkeiten arbeitet er als Korrespondent für verschiedene Fachzeitschriften (Espoarte, Exibart, Artribune, Titolo), sowohl im Print- als auch im Online-Bereich. Bei Skira veröffentlichte er einen monografischen Katalog über das Werk von Armida Gandini. Im Jahr 2023 wurde sein Essay Sulla superficie von Polistampa veröffentlicht.

cemento su struttura metallica, dimensioni ambientali
residenza Sense aprile 2023 Sonno di garofani
a cura di Gabriele Salvaterra
direzione artistica Roberto Sottile
foto Isabella Marino

Pergine Valsugana (TN), Galleria Contempo
8 ottobre – 8 novembre 2022
a cura di Gabriele Salvaterra

installazione nell’Oratorio Santa Maria Assunta, Spinea (VE)
14 aprile – 7 maggio 2023
a cura di Santina Recupero
testi di Gabriele Salvaterra
foto Tommaso Saccarola

Miodesopsie, installazione nell’Oratorio Villa Simion, Spinea (VE)
14 aprile – 7 maggio 2023
a cura di Santina Recupero
testi di Gabriele Salvaterra
foto Tommaso Saccarola

le voci della pittura sono le voci del silenzio
Trento, Paolo Maria Deanesi Gallery
3 dicembre 2022 – 25 febbraio 2023
a cura di Gabriele Salvaterra

Egna (BZ), Kunstforum Unterland
11 – 25 febbraio 2023
a cura di Gabriele Salvaterra
foto Kathrin Obletter

