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Gabriele Landi: Secondo te il sacro ha ancora importanza nell’arte di oggi e nel mondo in cui viviamo?
Irene Biolchini: “puro e impuro non sono […] due generi separati, ma due varietà del medesimo genere, che comprende le cose sacre. Ci sono due specie di sacro, il fasto e il nefasto; e non soltanto tra le due forme opposte non c’è soluzione di continuità, ma uno stesso oggetto può passare dall’una all’altra senza mutare natura. Col puro si fa l’impuro e viceversa: l’ambiguità del sacro consiste nella possibilità di questa trasmutazione (Durkheim, pp. 446-48).”
E se provassimo sostituire la parola “sacro” con arte?
Forse se provassimo a fare questo salto ci accorgeremmo che l’arte è rimasto il terreno compromissorio, il luogo dove poter operare trasmutazioni e praticare l’esperienza. Se la nostra modernità
si è costituita sulla perdita diretta dell’esperienza (come sostiene anche Agamben in Infanzia e storia) allora l’incontro con l’opera, il suo valore di Testimonianza sono forse l’ultima forma di resistenza.
Questo è il valore che il sacro e l’arte hanno nella mia pratica, ma prima ancora nella mia vita, due mondi inseparabili.


