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Gabriele Landi: Ciao Matteo, anche per te l’infanzia ha avuto un ruolo centrale nella formazione
del tuo immaginario d’artista? Racconta?
Matteo Messori: Non so bene se la mia infanzia abbia avuto un ruolo centrale nella mia ricerca, sono certo però che sia stata influenzata da essa. Posso dire di aver avuto un’infanzia particolare, non ero infelice, anzi ho avuto la fortuna di avere due genitori che non mi hanno mai fatto mancare nulla, hanno appoggiato fin da subito la mia inclinazione per l’arte. Ho avuto più problemi sul fronte della salute, perché a 7 anni mi fu diagnosticato un difetto cromosomico. Per farla breve il mio cervello non rilascia la sostanza meglio nota come Leptina, una sostanza ricettiva che permette al nostro corpo di sentire la sazietà. A me questa sensazione manca fin dalla nascita, tralasciando tutte le problematiche e le sfortune che ho dovuto sopportare, posso dirti che il mio corpo fino alla maggiore età era come un palloncino che si gonfiava e sgonfiava ripetutamente perché ogni estate venivo ricoverato in ospedale sotto dieta ferrea, questa scelta purtroppo è stata presa perché non sapevo controllarmi. Facevo fatica ad addormentarmi per i morsi della fame e così mangiavo tutto ciò che mi capitava sotto mano. Finito il periodo di ricoverò tornavo a casa per i mesi scolastici, tornando ad ingrassare con mostruosa facilità, questa routine fini a 15 anni. In seguito grazie all’arte terapia e un intenso lavoro psicoterapeutico oggi riesco ad avere un pieno controllo su di me, sento ancora la fame, faccio ancora fatica a dormire però ti dirò ci sono talmente abituato che non potrei farne a meno. Non mi sento mai pieno, non riesco a colmare il vuoto, anche psicologicamente non so cosa sia la pienezza, la ricerco continuamente. Questa mia problematica non è centrale nella mia ricerca ma è stata la fonte di quello che sono. Nel mio lavoro sono fagocitante, produco molto, i segni e le forme che dipingo riecheggiano gli organi che ho dentro, come se cercassi di visualizzare qualcosa.
G. L.: La tua propensione all’arte l’hai scoperta attraverso l’arte terapia o era già presente prima di iniziare questo percorso?
M.M.: La mia propensione per l’arte è sempre stata presente fin da bambino, con la maggiore età si è formalizzata e ha preso piede in maniera sempre più concreta. Essa è stata ispirata da più fattori, l’arte terapia ha certamente aiutato a incanalare le mie suggestioni. Non sono mai stato il primo della classe, ascoltavo solo le materie affini alla mia indole e avevo dei modi di fare tutti miei a scuola. L’apice della mia attenzione la raggiungevo quando accompagnavo i miei nonni (entrambi falegnami) nei loro rispettivi luoghi di lavoro. Mi colpiva il loro fare quotidiano e la loro manualità, così imparai fin da piccolo a trattare i materiali e a distinguere un tipo di legno dall’altro. Nella mia ricerca non è molto presente l’elemento del legno, ciò che ho raccolto di quel periodo non è stato il materiale ma l’attitudine e l’energia che i miei nonni trasmettevano nel proprio lavoro. Non penso di aver ancora colto pienamente la loro capacità, ma è pur sempre un traguardo che vorrei raggiungere. Inoltre se mi chiedi un esatto periodo o momento che è stato la causa
scatenante che mi ha fatto dire “Ok faccio l’artista” non te lo so dire. La mia è stata più un’esigenza sempre avuta, non ho fatto altro che cogliere ciò che succedeva intorno a me in maniera empatica, traducendo spontaneamente senza secondi fini ciò che sentivo.
G. L.: Hai seguito degli studi in ambito artistico (Liceo Artistico, Accademia) o hai fatto un altro percorso?
M.M.: Allora io sono di Reggio Emilia, abbiamo un Liceo Artistico da noi ma non faceva per me. Così ho scelto di andare a Parma al Liceo Artistico Paolo Toschi e di farmi 6 anni da pendolare. Poi nel 2013 mi sono iscritto all’Accademia di Belle Arti di Bologna dove ho avuto l’enorme fortuna di avere Giovanni Mundula come docente di riferimento. Un maestro d’altri tempi, nella sua vità lavoro con i grandi della storia dell’arte, partecipando all’importante e prima Settimana della Performance tenuta al Mambo nel 1977. Grazie a lui ho appreso tanto del mondo dell’arte, passavamo tutti i lunedì mattina a discutere di Cultura Generale, inoltre ora che ricordo bene non penso di aver mai dipinto nelle sue ore, anzi mi concentravo solamente su un tipo di arte molto concettuale. In seguito nel 2016 una volta ottenuta la laurea ho partecipato a un Master indetto dal G.A.E.R. dal nome “Mestiere delle Arti” dove ho approfondito tutti quei dettagli che ogni artista dovrebbe sapere, come: Business plan, approfondimento della Autentiche d’artista e come cercare un avvocato o un commercialista e le loro mansioni inerenti al mondo dell’arte. Infine nel 2019 ho concluso i miei studi specializzandomi in Pittura e Arti Visive presso la Cattedra di Luca Caccioni sempre all’Accademia di Belle Arti di Bologna. In questo frangente mi trovai in un ottimo clima dove poter fare ricerca e sperimentare grazie anche a dei seminari seguiti da degli esercizi che mettevano alla prova la nostra ricerca. Però in quei anni avevo fretta di finire i miei studi laureandomi in un anno e mezzo o poco più, perché volevo chiudere gli studi prima possibile per poter intraprendere la mia carriera artistica.
G. L.:Poco dopo che ti sei diplomato è iniziato il lock down questo ha cambiato in qualche modo i tuoi piani?
M.M.: Si proprio così, il lock down ha stravolto i miei piani. Perché in quel periodo avevo in programma una mostra personale presso lo spazio Nero La Factory di Pescara. Nonostante la pandemia non mi sono demoralizzato più di tanto, anzi grazie allo stato di fermo sono riuscito a portare a termine un importante progetto espositivo nei tempi giusti. Tra l’altro l’idea di mostra a cui stavo lavorando guardava al concetto “Status” e doveva prendere vità grazie a una residenza che doveva svolgere presso gli spazi di Nero La Factory, ma date le condizioni di fermo e l’assenza di materiali da poter recepire, io Maria Letizia Paiato (curatrice della mostra) e Matteo Colucca (propetario dello spazio) decidemmo di sfruttare tutti i materiali di scarto o di seconda mano che avevo a disposizione nella mia Falegnameria di famiglia. Il risultato fu molto intenso e carico di materiali l’uno diverso dall’altro (ad esempio: Marmo, travertino, tufo, legno, vetro e garze mediche idrofile).
Posso dire che in realtà a me a livello artisti la pandemia a giovato molto, perché fui invitato a partecipare a diversi progetti d’arte online molto interessanti come ad esempio “The Colouring Book” curato da Rossella Farinotti, Gianmaria Biancuzzi in collaborazione con Milano Art Guide insieme a tanti altri bravissimi artisti. Durante la seconda pandemia del 2021 ho avuto più difficoltà, uno dei progetti più importanti che riuscii a portare a termine
quell’anno fu “Blueline” che consisteva in una serie di opere uniche in tiratura limitata realizzate con materiali di scarto o ecosostenibili, vendute tramite una piattaforma Online a cifre più accessibili.
G. L.:Che valore attribuisci ai materiali che impieghi nel tuo lavoro?
M.M.:Guarda dato che principalmente uso materiali di scarto, (ad esempio: scampoli in denim, marmi, travertini, legni ecc) proprio l’altro giorno sono andato lungo la riva del Po in zona Boretto, a cercare dei legni portati dalla corrente per fare una scultura, non sono partico con un’idea precisa di quel che volevo fare sinceramente. A prima vista non trovai un gran che, poi notai che qualcun’altro prima di me aveva fatto un falò sulla spiaggia usando della corteccia. Poi mi venne l’idea di staccare grossi tocchi di corteccia dai tronchi portati spiaggiati, al che staccandone un pezzo notai che la forma che si era staccata era molto simile a quella di uno scudo. E da lì decisi di creare uno scudo in denim usando come base la corteccia strappata dall’albero caduto. Questo è il valore che do al materiale, lascio che esso decida almeno il 50% della composizione dell’opera.
G. L.:E il colore, vedo spesso che nel tuo lavoro ricorrono il blu, il nero, il bianco… gli atribuisci un valore simbolico?
M.M.:Il mio rapporto con questa cromia è del tutto viscerale, non vi è un valore simbolico. Non mi viene neanche l’esigenza di definire il suo utilizzo, ho approfondito comunque tutti i suoi significati. E a tal proposito ho recentemente scoperto che la gamma cromatica del blu allevia la fame, quindi senza saperlo ho sempre tentato inconsciamente di colmare un vuoto. Sono certo che se io riuscissi a definire questa mia ossessione per il blu, mi stuferei subito di usarlo e andrei oltre. Perché sono dell’idea che più le cose vengono definite più queste ci sfuggono o perdiamo fascino o interesse per quest’ultimo.
G.L.:E un buon modo per tenere viva una tensione. Anni fa ricordo di aver letto che Gericaul per dipingere La Zattera della Medusa fece diversi studi e bozzetti di singole parti del dipinto o generali della composizione, non ne fini nessuno proprio per tenere viva il più possibile la tensione emotiva che lo animava. Tu come procedi nel lavoro?
M.M.:La mia pratica lavorativa non è molto simpatica, nel senso che io non riesco a pensare a una mostra o a un’opera a lungo termine, prediligo molto più ragionare per il “qui e subito” perché non riesco ad avere molta pazienza. è sbagliato come approccio lo so ma è quello con cui mi sento maggiormente a mio agio. Con ciò non sto dicendo che sono un ricercatore folle in preda alle convulsioni, voglio dire che sono una persona molto spontanea che tende a scendere fino in fondo in quello che lo circonda raccogliendo per svariato tempo delle informazioni sensoriali e storiche del luogo in cui mi trovo. Per spiegarmi meglio, sul lavoro pratico in prima persona sulla tela o il supporto, il mio rapporto non attraversa delle fasi di preparazione partendo da uno schizzo o da un progetto scritto a matita nelle sue misure. Solo in rari casi dove è inevitabile l’assenza di una preimpostazione, mi trovo costretto a realizzare un’opera nata da un’attenta visualizzazione di ciò che sarà il risultato.
Però una volta gettata la prima intuizione sul supporto e li che iniziano a venir fuori delle fasi nel mio rapporto con l’opera, ad esempio tendo ad aspettare prima di finirla, oppure do diverse velature che meritano ovviamente un tempo di asciugatura, quindi il vero risultato del mio approccio viene fuori da sé non è mai premeditato e io sono il primo a non sapere
cosa verrà fuori, per questo ti dico che sono spontaneo: cioè agisco di conseguenza in base alle intemperie. Un pò come Goethe mentre scriveva il libro Viaggio in Italia, che narra e costruisce la sua storia in base agli incontri e a ciò che la natura gli offre.
G.L.:Lavori a più opere simultaneamente o ti concentri su un lavoro alla volta?
M.M.:Allora io avendo due studi (uno a Reggio Emilia e l’altro a Milano) mi sento quasi costretto a portare avanti più lavori contemporaneamente.
Per me non è un problema, anzi ci sono stati dei momenti dove lavoravo su 6 pezzi allo stesso tempo, ovviamente in questo caso si trattava di una serie.
Non trovo questo mio aspetto penalizzante, anzi mi aiuta a mantenere una coerenza e una linea ben precisa, Ad esempio quando devo imbastire una mostra personale è mia attitudine disporre tutte le basi su cui voglio lavorare a terra, e a vedere un insieme di cose prima ancora che queste prendano piede ottenendo cosi una fisionomia attraverso un immagine distinta. Quasi mi solleva saper di dover fare più opere contemporaneamente quando metto piede in studio, dedico a ciascuna di essere il tempo a intervalli dettati dai tempi di asciugatura e dal tipo di tecnica, mi trovo bene anche ad usare più tecniche diverse, passando dalla scultura all’olio senza problemi. Ciò mi aiuta ad ampliare i risultati degli esperimenti che applico sui supporti, scartando e selezionando le soluzioni migliori da portar avanti. Credo sia molto simile all’attitudine del fotografo che da 3000 foto ne seleziona 10, non dico di avere 3000 opere scartate a prendere polvere in magazzino però sono certo di aver esposto e pubblicato solo il 30% delle cose che ho fatto in studio. Quelle che si vedono sono quelle fortunate che si sono salvate dal calderone, quelle che mi permetto di poter chiamare opere finite.
Matteo Messori (Reggio Emilia,1993) conclude gli studi Accademici all’Accademia di Belle Arti di Bologna nel 2019 in pittura e arti visive.Tra il 2017 e il 2019 a l’opportunità di partecipare al progetto Mestiere delle Arti indetto dal G.A.E.R. Dal 2020 è rappresentato da Galleria Ramo(CO). Tra le ultime mostre e progetti recenti: ha da poco concluso una mostra personale presso Miori Showroom dal titolo BORO organizzata da State Of in collaborazione con Galleria Ramo e Atelier Floriana accompagnata dal testo critico di Rossella Farinotti. Mentre a Como nel 2021 con la mostra Ritual Acts esposta a Galleria Ramo partecipa a una Bipersonale con l’artista americano Dave Swansen, accompagnata dal testo critico di Lorenzo Madaro. Infine nel 2020 viene selezionato per il progetto di Residenza IMPRONTE presso la Fondazione Raccolta Lercaro (BO), progetto a cura di Francesca Passerini, Claudio Musso e Laura Rositani. E nel 2022 per la residenza “Lios Labs” nel deserto della Bledowska (PL) indetta dall’associazione On Earth Foundaja.

Cio che hai, 2019. installatioze site pecific. Prodotto di Residenza N°luoghi spazi potenziali. Universita degli studi di Macerata.


La Mascella di Caino, 2022. Acrilico e Olio su Denim. 200 x 150 cm.

Pluvio,2022, plaster e acrilic on denim, 100 x 45 x 10 cm. BORO 2022. MIori Showroom. Courtesy State Of and the artist. Photo Credits_ Crates

Ruck, 2022, backrest in denim made using the boro technique, 80 x 26 x 18 cm. BORO 2022. Courtesy State Of and the artist. Photo credits_ crates


