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Gabriele Landi: Secondo te il sacro ha ancora una sua importanza nell’arte e nel mondo in cui viviamo?
Francesco Lauretta: No.
Non è che perché tu dipinga un Cristo flagellato in croce o una natività o una resurrezione quei quadri siano sacri, tutt’altro, spesso sono raccontini inutili. Ernst, per esempio, trovava idiota fare un sogno e dipingerlo per poi dichiarare fosse un’opera Surrealista. Nonostante abbia dipinto Cristi, Madonne piene e morte, processioni, preghierine, resurrezioni e paradisi, non mi ha mai interessato il sacro come tale quanto il fenomeno che si esercita nelle manifestazioni folcloristiche e nelle tradizioni che si svolgono dalle mie parti. Da bambino avevo orrore di quel flagello, Ispica è una cittadina da questo punto di vista ricca e orgogliosa tanto che spesso s’è cresciuti a pane latte e Settimana Santa: un inferno. Come artista proprio non mi interessa lavorare sul sacro. Credo che quando si torna a dipingere croci e Cristi è perché si viva un momento di crisi, e del Sacro ho una mia idea, personale, che vivo intimamente. Bonechi, Salvo Monica, e pochi altri – che ho conosciuto – hanno vissuto disperatamente come credenti. Le Chapel di R o, in musica di F, le Avemarie, poetiche e non, le lascio volentieri agli altri citare. No grazie, del Sacro proprio non può fottermi una benemerita m.: certo è divertente dipingere queste cosine, e facili anche, ma mi annoiano mortalmente.

Brillante, olio su tela, cm. 160×220, 2003


Femminile, olio su tela, cm. 180×220, 2006



Tutto quello che puoi è niente, olio su tela, cm. 149×216, 2007

