Intervista a Ismaele Nones

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Gabriele Landi: Ciao Ismaele, spesso i primi sintomi di una propensione all’arte si possono rintracciare nella prima infanzia età dell’oro prodiga di fantasmagoriche fantasticherie é stato così anche per te? Racconta?

Ismaele Nones: Si è stato così anche per me. Io nasco in una famiglia in cui la creatività è stata sempre incentivata. Mio padre, pittore di icone, ha sempre coinvolto tutta la famiglia nella vita da bottega. La bottega di un pittore di icone si pone fra l’artigianato e l’arte questo mi ha dato la possibilità di mettere mano ai pennelli, ai colori ma non solo, anche a chiodi, martelli, seghe e via dicendo in tenerissima età. Quindi oltre una mia attitudine ero circondato da un ambiente estremamente favorevole, perché volente o nolente a casa mia con l’arte dovevi scontrarti o incontrarti, dipende dai punti di vista. Ricordo i lunghi viaggi al mare o all’estero perché mio padre aveva ottenuto un lavoro presso una chiesa. Ricordo i ritiri che organizzavano i miei genitori in cui si andava in montagna per un mese in cui venivano pittori di icone da tutta Italia per imparare. E in questo terreno artisticamente fertile c’ero io. Si vedeva fin da bambino che ero portato per le arti visive o comunque per la creatività. Lo si vedeva da piccole cose come ad esempio che i giocattoli tentavo di costruirmeli o molto più semplicemente che passavo intere giornate a disegnare. Ed è stata questa passione, molto spontanea, a guadarmi. Da bambino non mi sono mai fatto troppe domande in merito, com’è giusto che sia a quell’età. Disegnare, dipingere mi faceva stare bene. Mi piaceva. E quindi non ho mai smesso.

Gabriele Landi: Hai seguito studi artistici? Quali, oltre a tuo padre, sono stati gli incontri importanti?

Ismaele Nones: Il mio percorso di studi è stato estremamente lineare quasi noioso: figlio d’arte, istituto d’arte, accademia di belle arti, artista. Un percorso che sulla carta non ha curve né cambi di direzioni. In realtà se si toglie il vestito dell’apparenza ci sono state delle svolte. Io ho sempre studiato pittura sia in bottega da mio padre che all’istituto d’arte. Quando però sono andato a Venezia decisi, per una necessità di autodeterminazione, di studiare scultura. Volevo distaccarmi da tutto quello che conoscevo e avevo fatto fino a quel momento. La scultura mi ha insegnato molto. Ho imparato l’importanza della progettazione, la logistica della costruzione di un’opera, l’attenzione al materiale e il rapporto tra opera e spazio. Durante la mia formazione accademica non ho avuto incontri importanti. Quando ho scelto di andare all’Accademia di Venezia avevo un sogno: trovare un mentore. Volevo avere quell’incontro importante di cui tu mi chiedi. Lo bramavo, lo sognavo. Già mi immaginavo lunghe discussioni tra me e lui/lei su come costruire un’arte nuova. Quest’incontro non l’ho mai avuto. Al suo posto ho trovato un’accademia fiacca e priva di vitalità. I miei più grandi incontri li ho fatti studiando in maniera ossessiva la storia dell’arte. A Venezia ho avuto l’occasione di vivere la storia dell’arte di qualsiasi epoca, dai mosaici della basilica di San Marco alle installazioni che venivano fatte per le varie Biennali. Ho nella mia testa molti nomi che hanno cambiato il mio modo di vedere l’arte. Però di alcuni ricordo lo stupore di aver scoperto qualcosa di nuovo e sono: Teofane il greco, le catacombe di S. Sebastiano, George Braque, Tintoretto, Giorgio Agamben, Lisippo, Oteiza.

In questo senso il mio percorso è stato molto solitario.

Gabriele Landi: Dopo gli studi ai continuato a praticare la scultura ho l’hai abbandonata?

Ismaele Nones: Dopo gli studi per alcuni anni ho continuato a praticare la scultura soprattutto installativa. Pian piano però il mio interesse è sempre andato più a sfumare complici le complicazioni che la scultura si porta dietro in materia di costi e spazi. Fino al punto che l’ho accantonata. Anche se ci tengo a precisare il mio modo di progettare le tele resta molto scultoreo.

Gabriele Landi: Che tipo di sculture facevi? 

Ismaele Nones: La mia produzione scultorea si divideva in due approcci tecnici: uno classico e un altro installativi. Quello classico spaziava da gessi a fusioni fino a sculture lignee. Mentre le mie installazioni erano per lo più assemblaggi.

Gabriele Landi: Nel guardare le tue sculture mi sembra di vedere un’approccio concettuale che in qualche modo mi sembra rintracciabile anche nel tuo attuale lavoro pittorico. Quando dici che il tuo approccio alla pittura è plastico ti riferisci al modo in cui componi le immagini che dipingi?

Ismaele Nones: Si esattamente ho mantenuto sempre la parte concettuale nel mio lavoro. Il mio approccio alla pittura è molto scultoreo e poco pittorico, anche se non userei la parola “plastico” perché porta con sé la matericità del soggetto che a me poco interessa. Con il termine “approccio scultoreo” alludo a tutta la parte di progettazione di una tela e alla sua realizzazione.  Nei miei quadri non vi è gestualità ne improvvisazione. Prima di approcciarmi alla tela la via da seguire è già scelta. Tutte le mie tele hanno un progetto fatto e finito. Quest’ultimo non è mai rigido però lo scheletro del quadro difficilmente cambia in corso d’opera. Nei quadri cerco quell’equilibrio tra vuoto e pieno. Ogni colore e forma ha il suo peso e verso. Un quadro per me deve essere in perfetto equilibrio. Questa ricerca di equilibrio è fondamentale in un ambito scultoreo/installativo. 

Gabriele Landi: La tradizione delle icone nel modo di procedere tecnicamente ha una sua importanza?

Ismaele Nones: La prima è quella più conservatrice, che vede nella tecnica antica l’unico modo corretto e consentito per fare un’icona. La seconda, di cui fa parte mio padre, è quella che considera la dignità di un’icona esclusivamente sul piano concettuale, spirituale e non materiale, tecnico. In questo caso il pittore può avvalersi di tutte le tecniche moderne e non per fare un’icona. Ovviamente in entrambi i casi l’icona risponde a determinate regole stilistiche alla pari di un alfabeto. Infatti trovo molto curioso che si dice “scrivere un’icona” e non “dipingere un’icona”.

Gabriele Landi: C’è da parte tua l’ intento di crearti un’iconografia? In qualche modo la volontà di definire un preciso campo d’azione in cui operare.

Ismaele Nones: Sicuramente c’è da parte mia l’intenzione di crearmi un’iconografia. Se con il termine iconografia s’intende un linguaggio con cui esprimersi. Mi stupirebbe sapere che ci sono artisti e/o creativi che non hanno questo intento. L’iconografia che ogni artista e creativo ha nasce da delle regole auto imposte che altro non sono che decisioni. E prendere decisioni impone delle regole, nel senso che scegli una cosa e ed escludi un’altra. La libertà che molti confondono con il fare ciò che si vuole immobilizza, fa marcire l’artista nello stagno delle possibilità. Mettersi delle regole significa prendere delle scelte e quindi testare e sperimentare una via a pieno. La libertà sta nel cambiare tali regole con altre migliori o più adatte al contesto. In questi termini c’è e ci sarà sempre una mia volontà di operare in un preciso campo d’azione. Proprio per l’intrinseca caratteristica che ha l’arte ovvero di essere decisa. L’arte non può essere indecisa. Essa deve nascere sempre da una decisione consapevole.

Gabriele Landi: Che ruolo ha l’ironia nel tuo lavoro?

Ismaele Nones: L’ironia ha un ruolo importante nel mio lavoro. Essenzialmente per due motivi: il primo è perché l’ironia è un tipo di linguaggio che ben si concilia con la mia personalità. Il secondo è perché l’ironia ha una forza comunicativa molto potente. Trovo molto interessante usarla, perché spesso è la scintilla che accende il quadro. L’ironia nel mio lavoro è presente in più piani. Il piano immediato è la decontestualizzazione di una certa estetica. L’umanizzazione di un linguaggio sacro viene percepito come una forma d’ironia. I soggetti iconografici vengono umanizzati e resi terreni questo crea in un qualche modo una sottile ilarità, ma immediatamente seguita da un ragionamento e un lavoro di decontestualizzazione. Inoltre utilizzo l’ironia nel titolo. Attraverso l’ironia si ottiene uno stordimento. Si crea un vero e proprio corto circuito. Titoli come “Mamma, vado a fare l’operaio” o “Avanti popolo” danno vita a un dinamismo e anche a una narrazione al quadro stesso. Trovo che le mie opere siano più efficaci quando al suo interno vi è l’ironia. Essa è un mezzo efficace perché disarma lo spettatore e smonta alcune rigidità che si può avere quando ci si trova davanti ad un’opera d’arte.

Gabriele Landi: Nel tuo lavoro che importanza ha l’idea della messa in scena?

Ismaele Nones: Dopo una prima parte ideativa dell’opera c’è un fase di progettazione. La messa in scena è la parte di costruzione dell’opera in cui si capisce se il lavoro ideativo è valido o se ha bisogno di un tempo di gestazione più lungo. La costruzione dello spazio nel quadro dà l’ambientazione e di conseguenza apre determinati link mentali e visivi. Siamo in città o in natura? Siamo in uno spazio privato o pubblico? È reale o meno? L’ animale è animale o allegoria? Domande che sono fondamentali per creare un contesto e un dialogo con l’altro. Queste domande trovano risposta tramite la gestione dello spazio e la messa in scena del quadro. È importante per un artista visivo essere consapevole che è la vista lo strumento che fa da tramite fra lui e l’altro, perché alla fine dei conti di tutto questo lavoro rimane solo una cosa. Rimane solo un’immagine.

Gabriele Landi: La scelta di trasportare la rappresentazione su un piano simbolico  deriva esclusivamente dal tuo entroterra familiare o ha altre origini? 

Ismaele Nones: Diciamo che il mio contesto familiare mi ha dato una specie di “cassetta degli attrezzi”.  Quando mi sono diretto verso la via dell’arte li ho utilizzati questi attrezzi e li utilizzo tuttora. Ragionare e rappresentare le cose attraverso simboli era ed è un linguaggio che conosco e quindi utilizzo.  Alcune delle mie competenze artistiche derivano da un bagaglio culturale familiare ma la scelta di utilizzarle è stata consapevole e non involontaria o subita.

Gabriele Landi: Che peso ha la storia dell’arte in quello che fai ?

Ismaele Nones: La storia dell’arte per me è fonte inestinguibile di suggerimenti, consigli, ispirazioni. Personalmente lavoro con le immagini e quindi sfogliare e continuare a studiare la storia dell’arte non fa altro che ampliare il mio “archivio” mentale da cui attingere per dipingere. Inoltre non dimentichiamo che la storia dell’arte è il più grande manuale d’istruzione per la realizzazione di un opera. Se mi imbatto in un ostacolo è nella storia dell’arte che cerco la risposta. In questi casi molto semplicemente penso: “chissà se Duccio avrà avuto lo stesso problema?” Oppure “questa composizione mi ricorda la Venere di Giorgione chissà come ha risolto questa problematica?”

 Gabriele Landi: Pensi che il sacro abbia ancora una sua centralità nell’arte di oggi  e nel mondo in cui viviamo?

Ismaele Nones: Si penso che abbia ancora la sua centralità sia nell’arte che nel mondo in cui viviamo.

Per rispondere a questa domanda bisogna fare due precisazioni. La prima è che la mia risposta fa riferimento alle arti visive e la seconda è che bisogna porre una definizione a “sacro”. In maniera estremamente sintetica si può definire il sacro come quell’insieme di esperienze che vanno aldilà della realtà. Data tale definizione l’arte deve vergere verso il sacro. Uso la parola “vergere” perché l’arte sacra non può esistere. L’arte non può essere sacra. Essa può parlare di sacro o farcelo intuire e sentire, ma non può esserlo. L’arte invece è reale, tangibile e concreta. Però quando ci troviamo di fronte al tempio, inteso come luogo metaforico del sacro, quindi ci troviamo in una dimensione profana (pro- davanti fanum –tempio), l’arte si pone come porta tra noi e il sacro. Per questo motivo quando vediamo un’opera d’arte sentiamo, vediamo, avvertiamo che c’è un aldilà oltre l’opera. Quando ciò succede l’immagine nell’arte da significato diventa significante. L’arte ci rende palese il fatto che la superficie delle cose non sono le cose in sé ma il confine con il significato di queste ultime. La superficie diventa involucro e confine con la sua dimensione sacra.

BIOGRAFIA

Ismaele Nones è nato e cresciuto a Trento (IT), il 6 agosto 1992.

Fin da piccolo Ismaele segue il padre nella sua attività di iconografo, collaborando alla

realizzazione di opere pittoriche monumentali in Italia e all’estero.

Nel 2006 s’iscrive all’istituto d’Arte Alessandro Vittoria di Trento, studiando pittura.

Dal 2013 al 2018 studia scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia.

Dal 2022 vive e lavora a Torino.