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Gabriele Landi: Che importanza ha nel tuo lavoro l’idea di frammento?
Silvia De Marchi: Il frammento è un elemento chiave nel mio lavoro, ne sono fortemente attratta ed è un’immagine a cui torno di continuo.
Nel frammento vedo l’infinitamente piccolo che viene accolto nell’infinitamente grande, il microcosmo e il macrocosmo della cultura buddista e, seguendo questa via, affronto e rifletto sui concetti di temporalità, ciclicità e trasformazione.
Intendo la trasformazione come energia e ritmo, quindi vitale, ma anche come un movimento struggente perché sottintende un deterioramento, la trasformazione di un oggetto in un altro di natura diversa. Il frammento crea dei ponti tra passato e presente, perciò non è solo una realtà materiale ma ha anche un’importante componente emozionale.
Il frammento è uno spazio molto stimolante per me anche da un punto di vista di forma e percezione visiva. I miei lavori si formano con forme incomplete e deformate, visibili e non visibili che possono creare un disorientamento percettivo e mentale, trasmettendo una sensazione d’incertezza e di curiosità. E’ un lavoro che offre punti di vista diversi dalla semplice fruizione frontale, quindi esperienze sensoriali diverse. E’ proprio questo spazio immaginario che oscilla tra il noto e l’ignoto che mi interessa.
Il frammento è la mia dimensione: è uno spazio piccolo, intimo, bisogna guardarlo da vicino, si può esplorare nel dettaglio e soprattutto chiede di essere continuato nel cuore mente di chi guarda.
Gabriele Landi: I frammenti che impieghi hanno una loro storia precedente al tuo intervento o sono creati apposta da te?
Silvia De Marchi: I frammenti di carta che uso per i miei lavori nascono da fogli Fabriano intonsi. Io li dipingo , manipolo, taglio o strappo e li assemblo. Ma non li uso subito, anzi li abbandono, a volte anche per parecchio tempo, mesi o anni.
Li lascio in luoghi diversi dello studio: alcuni in scatole, altri accumulati su piani di lavoro o sotto un mobile, alla polvere. Altri ancora li metto all’aperto esposti al vento, al sole o alla pioggia: queste pratiche sono fondamentali per ottenere un materiale consumato, deteriorato, lacerato ma che dimostra anche di essere resistente. Il tempo e questi agenti esterni li cambiano, ed è in questo momento che appare la loro storia. Altri frammenti invece sono frutto di un riciclo di avanzi e scarti di miei lavori precedenti.
Quindi i frammenti che uso sono una creazione stratificata di elementi involontari, il lento lavorio del tempo e gli agenti naturali ma anche volontari, la mia azione. In entrambi i casi il processo per fare e scegliere il materiale per un nuovo lavoro richiede un tempo lungo. Poi ci sono certi frammenti che sono speciali, quelli che sono una continua sorgente d’ispirazione. Li tengo sul mio tavolo da lavoro o appesi al muro, in modo che possa sempre vederli.
Gabriele Landi: Non hai quindi mai usato oggetti trovati o elementi che non abbiano una provenienza che non sia quella che parte dal tuo fare.
Silvia De Marchi: Si, insieme alla carta, in alcuni lavori utilizzo anche degli oggetti trovati ed altri materiali. Pietre e chiodi ma anche nastro adesivo e cordoncino di seta. I chiodi sono antichi, li ho trovati quando lavoravo come restauratrice, sono arrugginiti e imperfetti ed è in questo deterioramento che risiede la loro espressione e bellezza. Le
pietre sono frammenti che trovo alla base dei pinnacoli rocciosi della Grigna, montagna che mi ispira costantemente. Ma sono anche sassi tondi e levigati dal mare che trovo sulle spiagge. Sono elementi accomunati da una forte materialità, con segni, incisioni, crepe, spesso incompleti, consumati e che perciò sono simboli di tutto quello che nel corso del tempo hanno raccolto.
Questi oggetti, che sono appoggiati sopra al dipinto, coesistono in realtà con la pittura in modo antagonistico perché danno forma ad un dipinto che è quasi scultura, che è poi la relazione su cui riflette il mio lavoro.
Gabriele Landi: Accennavi prima ad un tuo passato di restauratrice. Questo passato influisce in qualche modo sul tuo attuale lavoro?
Silvia De Marchi: Penso che il mio lavoro sia il risultato di molte esperienze che si sono stratificate nel corso del tempo, per esempio la mia attrazione per l’antico e l’archeologia, che mi ha portato a studiare restauro e a lavorare su dipinti ed affreschi. Di quel mondo ciò che influisce di più sulle mie opere è essenzialmente la conoscenza profonda dei materiali: pietra, tela, pigmenti, collanti, chiodi e altro sono intesi e sentiti in modo diverso da una restauratrice che da una pittrice.
Da un punto di vista concettuale l’esperienza di restauratrice ha contribuito a farmi confrontare e riflettere su criteri estetici e ragionamenti tecnici, sul rapporto – relazione tra l’opera d’arte e il passaggio del tempo.
Gabriele Landi: Come é avvenuto il passaggio dal restauro all’arte?
Silvia De Marchi: Non c’è stato un passaggio netto perché ho sempre dipinto, anche quando lavoravo come restauratrice. Ho cominciato a fare miei lavori mentre frequentavo il Liceo Artistico a Milano e non ho mai smesso. In quel periodo, e fino al 2000 circa, ho esposto i miei lavori, dipinti ad olio su tela e tavola, in mostre collettive, partecipando come finalista in diversi Premi d’arte anche di rilievo nazionale come il premio Morlotti Imbersago.
Poi per vicende diverse, la famiglia, i figli, ho rallentato la mia partecipazione attiva alle mostre pur non smettendo comunque di dedicarmi all’arte. Probabilmente era anche finita una fase, perché poi mi sono avvicinata alla calligrafia e alla pittura ad inchiostro su carta, in particolare alla tecnica della pittura monocroma. Ho trovato la mia nuova dimensione studiando la pittura classica cinese che è legata alla riflessione più elevata della filosofia cinese, il rapporto tra il destino umano e l’universo.
Gabriele Landi: Come è avvenuto questo contatto con la cultura cinese?
Silvia De Marchi: E’ stato un incontro casuale, ho avuto fortuna, come accade spesso. Ero in viaggio in Francia e ho visto una mostra collettiva di pittura ad inchiostro. In quei lavori, nonostante fossero di piccole dimensioni ho colto una grande energia e allo stesso tempo un senso di calma. Ho sentito la necessità di conoscere di più, così ho trovato testi fondamentali come quelli di François Cheng, i saggi di Marcello Ghilardi, Shitao e molto altro ancora, che sono stati indispensabili per comprendere la dimensione filosofica di questa pittura.
Non conoscevo il linguaggio pittorico cinese prima di questo incontro, se non da un superficiale studio scolastico, perciò è stato importante dedicare del tempo allo studio della tecnica, a ricerche ed esperimenti, a conoscere e confrontarsi con altri che sperimentano nelle stesse direzioni.
Il mio interesse per la cultura pittorica cinese è anche in alcuni aspetti che sento molto vicini alla mia dimensione personale: il tempo lungo per l’ascolto e la riflessione, fondamentale per mutare il lavoro in un’esperienza interiore; gli elementi tecnici, pennello, inchiostro nero e carta, che non sono solo degli strumenti per dipingere ma elementi che si completano l’un l’altro per creare quel flusso che anima sia la dimensione corporea che spirituale dell’azione pittorica. E poi, basilare, l’aspetto filosofico che considera l’atto creativo in profonda relazione con i fenomeni naturali.
I miei lavori nascono così tra queste riflessioni, in cui cerco di muovermi in continua formazione. Ho un limite ovvio che è il mio modo di pensare, con canoni di pensiero occidentale, perciò posso solo cercare di avvicinarmi lasciando cuore e mente aperti.
Gabriele Landi: Che importanza riveste la dimensione della fisicità nel tuo lavoro?
Silvia De Marchi: Nonostante i miei lavori abbiano una presenza fisica vicina alla scultura, il mio interesse principale è la pittura. Dedico molto tempo, ed è una parte del processo estremamente importante, a dipingere le superfici. Poi lavoro la carta per arrivare alla forma tridimensionale.
Sono alla ricerca di un modo diverso di intendere il dipinto, io penso al dipinto più come oggetto. In questo senso, allontanandomi dall’immagine, mi concentro sulla forma, sull’impatto spaziale e sulla materialità. Mi muovo sempre all’interno di forme quadrate, rettangolari o tonde, mantenendo quindi l’aspetto di un dipinto classico. Partendo da queste riflessioni, la mia ricerca si focalizza sulla fisicità seguendo diverse direzioni.
Essenzialmente mi interessa che nel lavoro ci siano elementi che possano creare delle tensioni, dei flussi dinamici, non mi interessa un lavoro statico, ma un dipinto che sia vivo, con peso e forme tangibili. La mia pratica di stratificare e accumulare materiale rientra in questa ricerca di movimento e trasformazione.
Un altro elemento su cui lavoro, e che è legato alla fisicità, è il degrado delle superfici dipinte. Mi interessa descrivere i materiali, mostrandone soprattutto il divenire, la fragilità e la resistenza, voglio sentire il peso della memoria nella materia.
Un ulteriore aspetto che mi intriga molto è mettere in relazione la conoscenza del dipinto con l’immaginazione. Attraverso la costruzione e la decostruzione cerco di creare superfici interne e vuoti, di rendere visibili o non visibili alcuni elementi, di collegare interno ed esterno, lasciando immaginare cosa ci può essere dietro o dentro la superficie. Perciò nel mio lavoro intendo la fisicità come un modo per poter conoscere il dipinto con sensi altri oltre alla vista.
Silvia De Marchi è nata a Melzo nel 1967.
Ha frequentato il Liceo Artistico Statale II a Milano, poi l’Accademia di Belle Arti “Aldo Galli” di Como, dove si diploma in restauro di dipinti su tela e tavola. Si specializza in seguito in restauro di affreschi e materiali lapidei alla Scuola di Botticino (Brescia). Ha lavorato per diversi anni come restauratrice, continuando parallelamente la sua personale ricerca artistica. Ha esposto nella mostra personale “Merci de ne pas toucher” alla M21 Gallery di Knokke, Belgio, 2021 e in mostre collettive e Premi d’arte, tra cui: Venti Contemporanei Festival d’Arte Contemporanea, 2019, Cereggio, Reggio Emilia; Shingle 22J, 2019, Museo Archeologico Anzio-Roma; Yicca Prize, 2019, CMC Milano; 21° Premio Vittorio Viviani, 2020, Villa Brivio, Nova Milanese; A Generous Space, 2022, Hastings Contemporary Gallery, Hastings, Regno Unito; Comme un léger contretemps, 2022, La Grange Gallery, Cernay-Lès-Reims, Francia. Vive e Lavora ad Arosio (Como).







