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Gabriele Landi: Secondo te il sacro ha ancora importanza nell’arte di oggi e nel mondo in cui viviamo?
Maurizio Donzelli: Premetto che la tua domanda sul sacro è molto impegnativa e richiede sforzi che certamente travalicano ogni possibilità di sintesi.
Escludendo ogni considerazione riguardo i rapporti tra le istituzioni religiose e il sacro, dovremmo sommariamente circoscrivere l’argomento alle arti (arti visive intendo).
Ma in questa maniera coglieremmo solo un aspetto del problema incanalandolo all’interno di risposte legate all’esperienza “del fare artistico” e della sua interpretazione; un modello soggettivistico che però non mi soddisfa appieno.
Alla base della tua domanda sta un grande problema: il mondo è sacro?
E qui la risposta può essere: si; no; oppure ancora una volta interlocutoria o imprecisa.
E’ una domanda che riguarda tutti non solo gli artisti.
Comunque notiamo che la risposta è sempre una risposta personale, individuale.
Questa considerazione ci avverte di come è circoscritto e desertificato il territorio del sacro, perché l’esperienza del sacro non è riducibile soltanto alla propria esperienza peculiare, ma dovrebbe essere un’esperienza che ci accomuna, un’esperienza condivisa che riguarda da un lato noi, ma che riguarda anche noi più tutto il mondo circostante: la psiche che ci accoglie.
Il fatto che questa tensione verso l’esterno sia una singola percezione, una freccia che punta soltanto in un’unica direzione: – da noi verso l’esterno – senza alcun ritorno, ci dimostra anche com’è fallimentare il nostro rapporto con il sacro.
In altre parole se il sacro è solo un sentimento privato, perderà la sua principale caratteristica che è una possibilità di restituzione e di svelamento di realtà ulteriori, soprattutto perderà la capacità di restituirci una cura per il mondo.
Il senso comune dimentica il sacro relegandolo a un fatto privato perché altrimenti il mondo circostante non potrebbe più essere visto solo come semplice risorsa, ma ad ogni cosa dovrebbe esser dato un valore differente da quello economico, per ogni oggetto dovrebbe essere sempre considerato un controvalore.
Mi sembra che tutta la storia occidentale, il cosiddetto progresso occidentale, ci abbia portati fin qui a una costante e definitiva negazione del sacro, della sacralità del mondo, con le tragiche conseguenze cui assistiamo quotidianamente.
Negazione della sacralità dei corpi. Negazione della sacralità delle cose che ci circondano; soprattutto negazione del sacro nei nostri pensieri individuali, dove ogni varco della coscienza verso quelle esperienze al massimo va ricondotto a una sorta di allucinazione, che spesso è una condizione che va curata e circoscritta.
D’altro canto la percezione del sacro è anche un puro sentimento senza concetto, altrimenti i presupposti di sacro decadrebbero.
Quali sono questi presupposti?
Ne elenco qualcuno:
-Le profondità mistiche
-L’intuizione
-La profezia
-L’inaudito, o meglio quel genuino timore di fronte all’esperienza dell’inaudito, per esempio di fronte alla volta celeste o alle dimensioni dell’universo
-La divinazione
-L’inconscio in contrapposizione all’indagine
-Il razionale che si scontra con l’irrazionale
-Il sovrasensibile
-Il numinoso
Il paradigma del sacro si manifesta però in modo disarticolato dalle parole, dalle descrizioni, dalla razionalità; è un mondo vibrante di suoni, di sensazioni, addirittura di presagi, un mondo che si può soltanto intravedere, che ancora (forse) si fa vivo nella nostra sensibilità artistica in virtù del fatto che l’arte è arbitrio contro ragione.
Io credo che in misura e toni diversi gli artisti siano sempre protesi verso il sacro e nel contempo abbiano anche ricevuto qualcosa da questa relazione, anche perché la vivono più o meno come una oscura-necessità.
-Oscura- perché quello dell’arte è un percorso notturno, diafano e imprevedibile, forse anche per questo pericoloso.
-Necessità- perché sappiamo che il nostro mestiere, oltre essere un mestiere, è un’esperienza che da forma oltre alle opere anche a un destino inesorabile che spesso avvertiamo come una vocazione.
Quindi il mondo è abitato dal sacro?
Siamo ancora in grado di porci in rapporto con questa dimensione? Saremmo disposti ad accettarne le conseguenti radicali? Saremmo disposti a rinunciare al nostro dominio interessato sulle cose?
E poi come la mettiamo con una grande contraddizione: l’infantile e struggente affermazione d’identità dell’artista?
Come la mettiamo con la schiacciante oscura attrazione verso una trascendenza degli oggetti osservabili, verso il numinoso?
La nostra coscienza, i nostri sforzi, le nostre analisi, i nostri desideri e soprattutto le nostre opere, si dispongono tra le innumerevoli posizioni –al di qua- e al di là- delle immagini cangianti del mondo in un continuo contrasto.
Concepire questi sforzi come necessari è forse un’illusione, di certo anche una contraddizione, ma io mi riconosco artista tra gli artisti attraverso questa caratteristica vicinanza/lontananza al dominio di un mondo sovrasensibile.
chiudi gli occhi e attendi.

IMMAGINALE veduta dell’allestimento presso Galleria Massimo Minini 2022

PH Jeanne PierreGabriel

Mirror #0722a cmH40x35x8

Mirror A #4122 cm35x25,8×7,5

Mirror 4715A cm 45x65x5,5

Mirror A 2614 cm 64,5×56,2×5,5

Saint Cecilia’s Wings H105,7X79,8 EACH 2020
