Sul sacro, il punto di vista di Francesca Referza

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Gabriele Landi: Secondo te il tema del sacro ha ancora una sua importanza nell’arte di oggi e nel mondo in cui viviamo?

Francesca Referza:  Nella società contemporanea in cui tutto è costantemente sottoposto ad un dissacrante voyerismo social, il tema del sacro è inesorabilmente venuto meno, evaporato direi, prendendo in prestito un termine caro a Massimo Recalcati. Se consideriamo la storia dell’arte occidentale, l’ultimo secolo a rappresentare il sacro è stato il Seicento, alla fine del quale la chiesa cattolica, post Riforma protestante, ha affidato ancora all’arte, seppur con le indicazioni restrittive del Concilio di Trento, il proprio messaggio politico. Nomi come Scipione Pulzone, Federico Barocci, Carlo Maratta, Massimo Stanzione o Carlo Dolci sono alcuni dei protagonisti di questa intensa stagione dell’arte sacra, ultima tappa di una storia sviluppatasi pressocché senza interruzioni, dagli esordi paleocristiani. Successivamente ci sono stati significativi momenti di ritorno della spiritualità con alcuni artisti come il romantico Caspar David Friedrich, ma si è trattato più di una posizione individuale che generale. Francesco Bonami nel suo ultimo libro Bello, sembra un quadro scrive a conferma – L’unica artista che abbia mai incontrato che facesse dipinti religioni è Genesis Tramaine di New York. Come è stato sottolineato dal saggio Lo strano posto del sacro nell’arte contemporanea di James Elkins, rispetto al tema c’è stata una vera e propria rimozione o, all’opposto, una esposizione parossistica prossima alla blasfemia, come nel caso di Piss Christ (1987) di Andres Serrano, di Zuerst die Füße (1990) di Martin Kippenberger, di The Holy Virgin Mary (1996) di Chris Ofili o della Nona ora (1999) di Maurizio Cattelan.

Personalmente, tuttavia, trovo più interessante rintracciare il sacro nel contemporaneo in progetti in cui la committenza religiosa ha dialogato con gli artisti in una formula alla pari, scevra da pregiudizi reciproci. Alcuni luoghi, in particolare, testimoniano come artisti quali Henri Matisse ne la Chapelle du Rosaire a Vence (1951), in Francia, Mark Rothko nella cappella omonima, a Houston, in Texas (1971), Dan Flavin nella Chiesa Rossa a Milano (1996) ed Ettore Spalletti nella Cappella di Villa Serena a Città Sant’Angelo, vicino a Pescara (2016), abbiano realizzato ambienti in cui si respira la spiritualità aldilà del facile ricorso all’oggetto simbolico, attraverso semplici ingredienti come luce, colore, linea e silenzio. Parlando di rapporto con la religione non si può non citare Marc Chagall e la sua vocazione per le vetrate delle cattedrali, di cui il ciclo più noto è quello realizzato per la cattedrale di Reims in Francia nel 1974 e, per associazione, l’intervento di Gerhard Richter per il transetto sud della cattedrale di Colonia in Germania del 2007. Di notevole impatto visivo ed emotivo è anche il progetto di Miquel Barceló per la cappella di Sant Pere nella cattedrale gotica de la Seu a Palma di Maiorca conclusosi nel 2009. Installazioni ambientali di carattere permanente, realizzate in Italia negli ultimi anni, sono infine quella progettata dallo scultore prestato all’architettura Santiago Calatrava nella chiesa di San Gennaro nel Bosco di Capodimonte a Napoli (2021), quella dell’artista Vittorio Corsini per la Cappella dei Priori di Perugia e quella corale del curatore Giacinto di Pietrantonio, che ha invitato 16 artisti a realizzare degli arazzi per la cattedrale di Cosenza, entrambe del 2022. L’auspicio è quello di vedere sempre più artisti contemporanei confrontarsi con il sacro in progetti permanenti perché l’arte, per tornare ad essere vitale, ha urgente bisogno di uscire dal perimetro autoreferenziale in cui è stata confinata dal mercato.

Francesca Referza