Intervista a Gabriele Di Matteo

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Gabriele Landi: Ciao Gabriele, in che modo nel tuo lavoro si coniugano pittura e performance?

Gabriele Di Matteo : Pittura e performance sono due espressioni che utilizzo separatamente anche se alcuni aspetti del mio approccio alla pittura contengono tratti di carattere performativo.  Il depotenziamento della figura stessa del pittore, la delega del fare, la ripetizione e la messa in scena della pittura nel suo risultato finale hanno inevitabilmente tratti performativi ma questi rimangono in un ambito privato e di non facile accesso ai futuri fruitori dell’opera.

Diverso l’atteggiamento quando assumo la regia di una performance nel mio ruolo di docente dell’Accademia di Brera, o attore-produttore del gruppo E il Topo. Qui un cieco con in mano una telecamera registra l’azione che intorno a lui si svolge. Tutto ciò che rimane della performance sono le sue rocambolesche riprese.

Gabriele Landi: Che importanza ha l’ironia nel tuo lavoro?

Gabriele Di Matteo : Volendo utilizzare una metafora direi che l’ironia è un comodo divano su cui si ha voglia di stendersi per ribaltare il senso di ciò che si vede. Più facile se si è in una comoda posizione. Molto spesso però ciò che si vede è solo quello che si vede e nient’altro. D’altronde Duchamp diceva «ce sont les regardeurs qui font les tableaux». Più semplicemente che c’è ancora e sempre gente che guarda, e per fortuna o no, tutto può essere semplicemente ribaltato.

 Il mio sguardo è anteriore al pensiero stesso dell’opera e in quanto tale non può dare spazio all’ironia se non nella speranza di ritrovarla negli sguardi di chi è steso su quel divano.

Gabriele Landi: In tutti i casi partendo dal presupposto che visto che ci sono sia il quadro che il divano il tuo è un invito allo spettatore ad esercitare l’ironia. Che rapporto cerchi con chi guarda i tuoi lavori?

Gabriele Di Matteo : Al di là del divano che è di per sé un’ironica metafora, nel mio caso il quadro esiste in un insieme di altri quadri. Quasi sempre i miei interventi tendono a strutturarsi, più che in immagini indipendenti (il quadro), in stratificate installazioni pittoriche, cicli compatti e modulari che, accentuando la componente installativa, minano l’autonomia del singolo dipinto. Una verifica dell’opera non può che realizzarsi nell’inevitabile contraddizione: da un lato essenziale, dall’altro moltiplicata, un consapevole continuare a girare intorno all’opera. Tutto questo porta a una moltiplicazione del punto di vista, non solo dello spettatore ma anche dell’opera stessa, ai suoi molteplici livelli di lettura dove anche l’ironia può trovare posto. È in questa molteplicità di reazioni che si può stabilire un rapporto con chi guarda come a una registrazione e trasmissione nel tempo e nello spazio dell’immaginario collettivo.

Gabriele Landi: Spesso attingi alla storia dell’arte per realizzare i tuoi dipinti. Ti interessa raccontarla?

Gabriele Di Matteo : Il mio interesse non è raccontare la storia dell’arte quanto interrogarla attraverso le sue stesse immagini. Questo comporta una verifica continua delle possibilità che il mezzo stesso (la pittura) mi concede. Pur facendo quasi sistematicamente riferimento ad altri artisti e alle loro opere, la mia non è una pratica “citazionistica” o “appropriazionista” quanto un’operazione di matrice biografica che prescinde, almeno in parte, dalla biografia dell’artista, per rivolgersi alla biografia delle opere, alle reazioni che queste suscitano negli occhi di chi le guarda. È la loro consistenza ambigua, la loro collocazione e temporalità sospese ad incuriosirmi.

Alla fine il soggetto stesso diventa un pretesto per mettere in scena la pittura nel corso del tempo e del senso.

Gabriele Di Matteo è nato a Torre del Greco nel 1957, vive e lavora a Milano

Buona parte del suo lavoro si basa su oggetti e immagini trovate. Oltre a ciò l’artista costruisce un certo discorso sulla mediazione: pone mediazioni fra l’atto del prelievo e il risultato finale, complica il processo di messa in forma, teatralizza alla fine, la mediazione medesima.  Il suo lavoro si organizza in serie che danno luogo a ingrandimenti, sovrapposizioni, tentate ripetizioni, variazioni pittoriche o fotografiche, o addirittura a declinazioni totalmente delegate ad altri, come pittori copisti e commerciali. Un metodo quest’ultimo che rafforza ancora di più la scala dell’apprezzamento della pittura e polverizza i valori dell’autorità e dell’originalità.

Tra le serie più rappresentative: La vie illustrée de Marcel Duchamp avec 12 dessins d’Andre Raffray (1993/2000), The Blind Man (1998),

La Nuda Umanità, (2000/2005) Geoges Méliès – Prenez garde à la peinture 2003/2007. Jasckson Pollock – Une vie élémentes et documents (2009) China Made in Italy (2010) Land Art dal Terrazzo (2014/2018), Looking for the Monochrome (2018), Blue Braque (2019), Bas Jan Ader – A very long sailing trip. (2021)

Ha esposto al MAMCO, Musée d’Art Moderne et Contemporain, Genève.

MAM Musèe d’Art Moderne de la ville de Paris. Palais de Tokio, Paris. 

ZKM, Karlsruhe. GAMEC Bergamo. Musée d’Art Moderne et Contemporain, Toulouse. Art Unlimited Basel. Culturcentrum, Brugge.

Frac Languedoc Roussillon, Montpellier. Casino Luxembourg.

Swiss Institute, New York. Frac Limousin, Limoges. Frac Bretagne, Rennes. Frac Rône Alpec, Lyon. Museo Madre, Napoli