Intervista a più voci con Lorenzo Madaro

Le voci sono Fabio Sargentini, Nero /Alessandro Neretti, Michele Guido, Daniele D’Acquisto, Shay Frisch

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Fabio Sargentini: Caro Lorenzo, dati i tempi che corrono e vista la mia storia personale, ti faccio una domanda secca: risorgerà mai l’avanguardia? Ti abbraccio.

Lorenzo Madaro: Caro Fabio, sinceramente non sono fiducioso in tal senso e non certo per i tempi di pandemia che viviamo. Quando penso alla tua storia, che ho sempre amato molto, penso al rinnovamento di un linguaggio, alla sperimentazione assoluta, a uno sguardo dilatato di artisti, pensatori, critici d’arte, collezionisti. Artisti che ancora oggi guidano i giovani e giovanissimi con le loro intuizioni pionieristiche datate oltre cinquant’anni fa. Oggi penso che siamo ancora in un’epoca di Post-production. Moltissimo è stato già fatto dagli artisti negli ultimi 120 anni, ma questo è il tempo delle sfumature, non delle rivoluzioni. È il tempo degli schemi, dei canoni. Mentre gli artisti più intuitivi e bravi hanno capito che indagare singole aree di ricerche degli anni Sessanta e Settanta può essere una via da praticare. Oggi bisogna avere l’onestà di comprendere e dichiarare che l’arte ha dato molto, gli artisti pure. E le sfumature, appunto, sono una possibilità.

Nero / Alessandro Neretti: Buongiorno Lorenzo, in un sistema dell’arte che sta attraversando una profonda crisi (causata principalmente per l’errata gestione delle risorse economiche), in cui la figura dell’artista è sempre più marginale e distante rispetto al nucleo composto da musei e gallerie; come ritieni che possa essere vista la figura di chi staccandosi dalla massa percorre un percorso di sincera rivolta nei confronti di un sistema fallimentare?

Lorenzo Madaro: Mi chiedo sempre: la rivolta è opera di chi vorrebbe essere a pieno titolo parte integrante di un possibile sistema, in questo caso dell’arte? La storia dell’arte ci insegna che esistono corsi e ricorsi. Caravaggio prima dello scavo filologico di Roberto Longhi non era il gigante che noi conosciamo oggi. Non so come “possa essere vista dagli altri la figura di chi staccandosi dalla massa percorre un percorso di sincera rivolta”, ma posso dirti che oggi ciò che conta maggiormente a mio parere è l’opera, cioè il ritorno alla dimensione del concepimento. Altrimenti si rischia che siano tutte parole al vento, comprese quelle di chi fa il mio mestiere.

Michele Guido: Dal punto di vista storico, come potremmo leggere tra dieci anni il 2020 e 2021 senza mostre, senza fiere, senza pubblico? Un vuoto che si può colmare solo con le parole come si sta facendo in alcuni casi? 

Lorenzo Madaro: Forse dovremmo ripensare anche a un’idea positiva di vuoto, che possa essere considerato un punto di forza, di azzeramento e al contempo di avvio di un nuovo sguardo sulle cose. Spero soltanto che tra dieci anni potremo osservare questo biennio come un momento di blocco ma anche di svolta, di avvio di un nuovo mondo e di un nuovo modo di osservare, valorizzare. Pensare, anche.

Daniele  D’Acquisto: Il tuo percorso curatoriale credo evidenzi un background culturale particolarmente sensibile rispetto all’indagine di dimensioni marginali. Mi riferisco ad interessi diversificati verso mondi tra loro paralleli e senza alcuna tangenza apparente, all’indagine sull’opera di autori poco o per nulla riconosciuti, o outsiders. Mi chiedo e ti domando il motivo di questo interesse verso certe zone d’ombra, e se ritieni che artisti come questi possano muovere qualcosa in termini di avanzamento, di ridefinizione di linguaggi, modalità e contenuti. Evidentemente devi esserne convinto visto il tuo impegno costante in questa direzione.

Lorenzo Madaro: Questo interesse è nato dalla periferia, quando ero studente all’università di Lecce già mi occupavo in maniera abbastanza sistematica degli artisti che tra gli anni Sessanta e Settanta avevano svecchiato radicalmente il dibattito culturale in Salento, dove studiavo. O almeno quella era l’impressione che avevo quando frequentavo i loro studi, le loro case. Tra questi Vittorio Balsebre, mio amico caro. Era nato nel 1916. Con lui e in seguito grazie allo storico dell’arte Peppino Appella ho imparato che la marginalità è un valore poiché spesso il sistema dell’arte non ha premiato la qualità di alcuni percorsi e la ricerca di molti artisti è stata talvolta messa parte per sostenere soltanto il protagonismo di alcuni. E infatti grazie a lui ho conosciuto e frequentato Kengiro Azuma, Ninì Santoro e altri. I grandi movimenti – da sempre, ma soprattutto dagli anni Sessanta – hanno spesso sbaragliato singoli percorsi, magari solitari, per favorire la dimensione del gruppo e del sistema. Dovere di chi mi fa il mio mestiere è di indagare i percorsi meno tracciati, di studiare il lavoro di chi, spesso fottutamente in solitaria, ha inteso la propria vita come una continua ricerca di una specifica ossessione. E questo naturalmente non vale soltanto per i miei compagni di strada novantenni, che tra l’altro oggi non ci sono quasi più, ma anche per gli artisti più giovani, più vicini alla mia generazione. Tu mi conosci e sai che ne sono convinto. Infatti sto lavorando a una contro-storia della scultura in Italia dagli anni Sessanta ad oggi.  

Shay Frisch: Cosa pensi a proposito dell’inevitabile oblio di ogni chi o cosa?

Lorenzo Madaro: Penso che appartenga alla vita. Ma la realtà dimostra che l’arte ha saputo resistere anche a questo.  

Lorenzo Madaro (1986) è curatore d’arte contemporanea e docente di Storia dell’arte e Fenomenologia delle arti contemporanee nell’Accademia di Belle Arti di Lecce. Dopo la laurea magistrale in Storia dell’arte ha conseguito il master di II livello in Museologia, museografia e gestione dei beni culturali all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. È critico d’arte dell’edizione romana de “La Repubblica” e di “Robinson”, settimanale culturale del quotidiano Repubblica; collabora anche con Arte Mondadori, Artribune, Espoarte, Atp Diary e altre riviste ed è consulente del Polo biblio-museale di Lecce per attività curatoriali e di comunicazione. Tra le mostre recenti curate o coordinate, Gianni Berengo Gardin. Vera fotografia (Castello, Otranto 2020); Umberto Bignardi. Sperimentazioni visuali a Roma (1963-1967) (Galleria Bianconi, Milano 2020); Silenzioso, mi ritiro a dipingere un quadro (Galleria Fabbri, Milano, 2019); ‘900 in Italia. Da De Chirico a Fontana (Castello di Otranto, 2018); To Keep At Bay (Galleria Bianconi, Milano 2018); Spazi igroscopici (Galleria Bianconi, Milano 2017); Mario Schifano e la Pop Art italiana (Castello Carlo V, Lecce, 2017); Edoardo De Candia Amo Odio Oro (Complesso monumentale di San Francesco della Scarpa, Lecce, 2017); Natalino Tondo Spazio N Dimensionale (Galleria Davide Gallo, Milano, 2017); Andy Warhol e Maria Mulas (Castello Carlo V, Lecce 2016), Principi di aderenza (Castello Silvestri, Calcio – Bergamo 2016).