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Gabriele Landi: Ciao Giuseppe, che importanza ha nel tuo lavoro l’idea di corpo?
Giuseppe La Tona: Il corpo è stato oggetto di diverse riflessioni nel mio breve percorso artistico fino ad ora.
In primo luogo, ragionando da scultore, mi sono imbattuto nelle questioni più fisiche di cosa sia un corpo in termini del tipo ” quanto volume deve avere un corpo per esistere in questa vita?”
Ho dedotto, in soldoni, che un corpo esiste nel momento in cui viene percepito anche solo da uno dei 5 sensi, che sia spesso quanto la polvere di grafite su un foglio o pesante quanto il David.
In secondo luogo, invece, ho dovuto ragionare sull’idea di corpo quando all’inizio del mio percorso il mio sguardo era rivolto in maniera fisica al corpo umano, in particolare in quei corpi che ospitano quei mali che deturpano lo stesso,(tumori, mutilazioni, il mondo del circo freak, ecc) ma siccome a me non interessava il patologico ma la condizione di disagio che il corpo stava vivendo ospitando un male interno che si riversava verso fuori, ho trovato un modo di rappresentare con cemento e ferro tutto quello che ragionava in realtà in termini di ossa e pelle, è stato quindi un ragionamento sul corpo che mi ha permesso di trovare questa soluzione, potendo indagare quindi determinate questioni senza commettere l ‘ errore di riprodurre corpi deturpati che il mondo aveva già prodotto.
Dopo questo momento, che corrisponde al periodo di tesi prodotta durante il triennio e quindi all’indagine svolta su diverse questioni, ho capito che da quei corpi informali sarei dovuto ritornare ad un figurativo, perché se dovevo parlare di disagio umano dovevo farlo senza mettere troppe metafore in mezzo, le gambe sono gambe, le mani sono mani, la testa è testa. Infatti, da quel momento in poi ho cominciato questa ambigua e ironica rappresentazione figurativa del corpo umano , che contiene in sé i connotati del reale e l ‘ elemento surreale, anomalo , fuoriuscendo spesso dallo stesso corpo o è combinato ad esso così da poter ricercare il perturbante, quella condizione di disagio.
Naturalmente letture come quelle di Deleuze quando parla di CsO, o kafca, o aver osservato le rappresentazioni dei corpi filiformi di Giacometti e , insomma , anche altri stimoli vari hanno contribuito consciamente e non alla mia visione di corpo.
G.L.: Ti interessa la dimensione paradossale?
G.L.T.: Non posso negare che la dimensione del paradossale sia presente nell’immaginario che propongo e metto in scena.
Per dare una spiegazione più precisa mi occorre spiegare perché ai soggetti che raffiguro accadono situazioni così bizzarre.
I greci teorizzarono come i sogni fossero in grado di avvertire il sognatore di una malattia che lo stava colpendo o che lo avrebbe potuto colpire , malattia dunque disagio, ancora una volta quel disagio di cui ti parlavo.
Ecco che io ho fatto di questo stralcio di teoria il pretesto per raffigurate scene che, a mio parere, è più probabile che avvengano all’interno di un sogno che nella realtà tangibile.
Navigando in questa dimensione onirica io mi lasciò trasportare da queste leggi inesistenti dove tutto è possibile, dove anche il paradosso è ammesso.
Ritornando alla dimensione del paradossale della quale mi chiedevi, ritorno ad affermare che certamente mi interessa, anche perché è anche grazie a questo senso paradossale che scaturisce il perturbante che tanto ricerco, ovvero quella sensazione in cui, davanti ad un oggetto o un fatto, si ha la sensazione di avere un riconoscimento e contemporaneamente un distacco dall’ oggetto o dal fatto un questione, per me questo è paradossale.
E poi non prendiamoci in giro, il paradosso è divertente, è intelligente e stupido allo stesso tempo, è soprattutto ironico : Per me una chiave perfetta per incuriosire l’ osservatore.
«Per capire i paradossi bisogna essere intelligenti, ma per seguirli bisogna essere stupidi.» Pitigrilli ha descritto benissimo il mondo che gira attorno ad un paradosso.
G.L.: Ti volevo chiedere di dire qualcosa in più sull’idea di messa in scena?
G.L.T.: “Mettere in scena” penso che sia una terminologia legata più al mondo del teatro o del cinema e quindi la lego a quella idea di dover raccontare una storia che generalmente ha come soggetto degli esseri umani.
Io non racconti certo storie, ma raffiguro scene, frame, di questi ipotetici sogni che smettono di esistere in quella dimensione onirica e che si palesano nel mondo tangibile. (best sintesi del tuo lavoro ever)
Ovvio è che si tratta di finzione, sono fantocci che non hanno autonomia, stanno lì come li ho messi io e quasi sempre decido di far assumere loro pose che suggeriscono un ‘ azione che non è terminata ma che si sta svolgendo . Credo che questo strumento sia utile per permettere al fruitore di immaginare la propria trama.
Mi accorgo di ciò dalle reazioni che le persone hanno quando vedono le mie installazioni per le strade, quando mi chiedono perché a quel soggetto X fosse successo tale fatto, ma nella domanda che mi rivolgevano era già compresa la storia che hanno immaginato loro e che io non ho mai raccontato!
Un’altra cosa che ho notato è che molti hanno avuto l’esigenza di toccare quelle gambe per capire di cosa fossero fatte, quando mi chiedono e io rispondo ironicamente che ho segato in due qualche amico antipatico per un attimo noto l’incredulità nei loro occhi e questo mi convince del fatto che l’operazione che compio è paragonabile a quella di uno scenografo che ricrea verosimilmente uno scenario… fingendo al puro di scopo di sembrare molto vero.
Forse per questo ho usato quella frase li.
G.L.: Il disegno che ruolo ha?
G.L.T.: Premetto che per me il disegno è la prima “traccia” di un’idea che si materializza e che comincia a prendere forma.
Ho un rapporto conflittuale col disegno inteso nella sua forma canonica e tradizionale, pertanto ho affinato una forma, una variante, che considero ancora tale nel concetto, ma che si allontana dall’idea di grafite su carta, che un tempo mi piaceva ma adesso mi inquieta.
Per questo distinguo nel mio fare diverse operazioni che sono quella del bozzetto, schizzi veloci utili per la risoluzione tecnica a problemi di costruzione e/o impianto dell’immagine da proporre. A questi attribuisco un valore zero, sono un attrezzo tanto quanto un martello.
Poi ho affrontato il collage che per me è un pretesto per esercitare l’immaginazione nel fare accadere nel/lo campo/spazio del foglio ciò che potrei realizzare in tre dimensioni. Col vantaggio che sul foglio non ho a che fare con problemi della realtà.
Poi ho elaborato una soluzione che formalmente è lontanissima dalle sculture che realizzo, infatti sono esercizi su carta e carta da parati col un sapore informale o astratto.
Riflettendo sulla idea di “traccia”, strappando il primo foglio rivelo ciò che sta sotto e ottengo forme, colori, pattern, luci ed ombre.
Il risultato è un paesaggio di un campo di battaglia metaforico dove si sono scontrati i miei pensieri e i miei interrogativi… Una pratica del genere mi risolve questioni e me ne crea altro. È un esercizio mentale più che altro, un pretesto per fare muovere la mano assieme ai pensieri.
Stranamente mi piacciono, stranamente così sento meno inquietudine, eppure il risultato è che ottengo la stessa chiarezza che potrei ottenere se disegnassi chiaramente quello che ho in testa. Ma ciò non accade mai.
Ho fatto l ‘ esperienza di convogliare quest’ultima pratica cercando di ottenere un figurativo ambiguo che si è espresso con un immaginario erotico.
Mi ha divertito molto, continuo a dedicare del tempo a questa pratica ogni tanto, ma è più uno scarico o un cercare di distrarre la mente dai pensieri che mi ronzano attorno quando rifletto o faccio altro.
L’erotico è l ‘ altra faccia della medaglia: Se da un lato distruggo con questi scenari caotici, dove i corpi collassano, dove le pose sono precarie, dove annichilisco la tendenza all’ eterno dell’ uomo contemporaneo, con l’erotico aggiungo vitalità. Sono ormai inscindibili questi due aspetti per me.
G.L.: Esiste nel tuo lavoro una dimensione politica?
G.L.T.: Se per politico si intende partitistico no, non c’è nessuna dimensione del genere .
La mia è una critica all’uomo contemporaneo tutto , non faccio differenza tra uomo di destra o di sinistra, tra preti o operaio comune… Però il mio sguardo naturalmente è rivolto al sociale, alla società del contemporaneo…
Vedi il jeans: ha un valore sociale, antropologico, culturale non indifferente secondo me, per questo è l ‘abbigliamento che spesso uso nelle sculture, Evito sempre di cadere nel tranello della denuncia di una classe sociale ben determinata… A meno che non ci sia uno scopo bene preciso.
Una battuta che mi verrebbe da fare é: ma se l arte è testimone del tempo in cui essa vive, oggi un ragazzo di 24 anni, in Italia, che idea ne deve avere di politica? Io non ho vissuto nei tempi di schieramenti netti o di ideologie da seguire… Oggi la storia è ben diversa, Identificarsi è difficile. Le mie sculture non hanno un’identità, un volto riconoscibile, non ci sono connotati. Per tanto così credo di includere chiunque.
G.L.: Arte è vita si sovrappongono ho appartengono a dimensioni ben distinte?
G.L.T.: Personalmente è difficile scindere le due cose. La pratica artistica è un momento della vita quotidiana e la vita quotidiana è una pratica artistica.
Presumo che chi si prende la responsabilità di compiere una pratica artistica nella propria vita debba essere capace di rendersi distaccato da ciò che vive ma anche capace di vivere a pieno ciò che gli capita attorno.
Alla fine, la pratica artistica è un momento di rielaborazione di ciò che viviamo e le opere sono una traccia del nostro personale punto di vista.
Mi piace paragonare la figura dell’artista a quella di un antropologo sul campo, entrambi vivono e studiano il mondo che li circonda ed entrambi producono un elaborato.
Così la penso, quindi inscindibile dividere le due cose.
Giuseppe La Tona è nato a Palermo nel 1997.
Nel 2022 termina il percorso di specializzazione in Scultura presso l’accademia di belle arti di Palermo.
La Tona indaga, con ironia, l’inesorabile caducità dell’uomo contemporaneo. Non rivolgendosi a nessuna identità in particolare la critica è cosi rivolta a chiunque, partendo da se stesso.
L’immaginario surreale e perturbante proviene dal mondo onirico che avverte colui che sogna di un disagio che esso vive o sta per vivere.
Giuseppe lavora tra Palermo e Ventimiglia di Sicilia, ed attualmente progetta il suo trasferimento a Torino per convogliare e sviluppare lì la sua ricerca tra gli spazi urbani e privati, tra le gallerie e musei ma anche bettole e hotel di lusso.

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