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La mia prima relazione sentimentale artistica è iniziata con ingredienti degni di una horror-story: mistero, segretezza, angoscia, paura e attrazione. Ho decifrato molto tempo dopo queste sensazioni, all’epoca ero solo una bimbetta che si fermava di fronte alle scritte incise sulle lapidi di marmo della chiesetta seicentesca nel borgo in cui sono nata e cresciuta. Tale mistero e fascinazione si ripresentavano di fronte alle figure nel pulpito di Giovanni Pisano della chiesa di Sant’Andrea e davanti al fregio con le terrecotte policrome nella loggia dell’ospedale del Ceppo a Pistoia che guardavo dall’alto sporgendomi dalle finestre della casa dei miei nonni. Le chiese in cui mio padre, ateo convinto, mi portava sempre per ammirare tali magnificenze sono state, unitamente ai libri con le riproduzioni dei ritratti di madonne di Leonardo e Raffaello, le prime incantate suggestioni visive. Quei volti enigmatici solleticavano la mia immaginazione su quale fosse effettivamente il ruolo di queste protagoniste raffigurate con abiti sontuosi con alle spalle finestre che si aprivano su paesaggi magici. In tempi più recenti, da studente all’accademia, sono stati i paesaggi di Hercules Seghers e le gouache di Emil Schumacher, artista che avevo incontrato per fare la tesi, che hanno segnato una continuità con quei primi approcci più mentali che fisici all’opera. Si sono poi susseguite decine di opere significative che ancora amo; i truismi di Jenny Holzer e le immagini di Ketty La Rocca, i disegni preparatori di Hopper e quelli a biro di Jan Fabre ma anche le performance del teatro sperimentale (Akademia Ruchu, Magazzini Criminali, Odin Teatret…) senza parlare del cinema: Tarkovskij, Jarmusch, Ozu e molti altri con le loro storie e inquadrature. Non un unico amore ma un flusso continuo e dilatato nel tempo dove ogni ultimo arrivato riconduce all’inizio in un gioco di rispecchiamenti.

Pulpito di Sant Andrea
Pistoia










