Ermanno Cristini PRIMO AMORE. Interview, Robert Rauschenberg, 1955

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“La guardavo, dapprima con quello sguardo che non è che la voce degli occhi, ma alla finestra del quale s’affacciano tutti i sensi, ansiosi e stupefatti”. Così Marcel Proust a proposito di Gilberte, la ragazzina “di un biondo fulvo” che fu il suo primo amore nella Recherche. Quello evocato qui è lo sguardo che “tocca”, inavvertitamente stimolato dall’inconoscibile o da quello che appare inclassificabile. Di atopos parla Roland Barthes nei suoi Frammenti: ”Il soggetto amoroso riconosce l’essere amato come ‘atopos’(…) dotato di una originalità sempre imprevedibile” (Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso).

Di atopos parlerei a proposito di Interview di Robert Rauschenberg, un “combine” del 1955 che vidi per la prima volta a Villa Panza, a Varese, nel 1966. Il primo amore, appunto, perché sì, il rapporto con l’arte, quando si emancipa dalla dimensione utilitaristica del lavoro, assume a tutti gli effetti le caratteristiche della storia amorosa. “È dunque un innamorato che parla e che dice…” (Barthes, cit)

Nel 1966 avevo 15 anni e frequentavo la seconda classe del Liceo Artistico. Avevo da non molto “scoperto” Picasso e cercavo di afferrarlo realizzando i primi oli su tela nel tempo rubato ai noiosissimi esercizi scolastici. Poiché abitavo vicino a Villa Panza venni introdotto di straforo dal custode tuttofare, Angioletto, per vedere i lavori arrivati da poco dagli States. Angioletto, giardiniere appassionato d’arte e uomo di straordinaria cultura, fu il mio anfitrione per l’arte contemporanea (il conte Panza lo conobbi e lo frequentai molto dopo). E ritornai più e più volte, calamitato da quelle opere così lontane da tutto quello che sapevo e che potevo aspettarmi. Le poche categorie tra le quali ancora maldestramente stavo imparando a districarmi non erano applicabili. Interview, non era né pittura né scultura e nel contempo era tutti e due. Era fatto con i materiali più disparati: oggetti, fotografie, smalti industriali, ecc. Ed era un “quadro” con uno sportello da aprire e chiudere! Avrei scoperto Opera aperta di Umberto Eco solo due anni più tardi, quasi al termine del Liceo, e fu un’altra folgorazione con tutto il discorso sul valore autoriale dell’interprete e dell’interpretazione, proprio quello che stava nella porta mobile dell’armadio di Interview.

In quel periodo riempii di rottami e oggetti raccolti dai ferrivecchi un piccolo spazio di cui potevo disporre a mo’ di studio e lavorai moltissimo assecondando la passione. Volevo capire: “Sentendo improvvisamente l’episodio amoroso come un groviglio di motivazioni inspiegabili e di situazioni senza vie d’uscita, il soggetto esclama: «Voglio capire (che cosa mi sta capitando)»” (Barthes, cit.).

E scoprii anche un “contesto”, alimentato dalla prosa di Kerouac e dalla poesia di Corso e di Ginsberg. Howl faceva con le parole quello che Interview faceva con le immagini, entrambi accoglievano la vita nella sua attualità. Diceva Rauschenberg: “Desidero integrare nella mia tela qualsiasi oggetto legato alla vita”. Una frase elettrizzante, trovata in un libro allora appena uscito, il primo in Italia a dar conto di queste cose, Pop Art in U.S.A., di Alberto Boatto che mi portavo appresso come la coperta di Linus.

Nel frattempo ne nacque una mostra, nel 1967, una prima mostra insieme ad alcuni amici, nella quale esposi un combine con uno sportello manovrabile. Naturalmente era il lavoro di un ragazzino, di un ragazzino innamorato.

Più tardi, molto più tardi, capii che quella porta, la porta di Interview mi avrebbe condotto attraverso un’altra porta, quella duchampiana dell’11 di Rue Larrey, del 1927. Una porta che si apre mentre si chiude per dirci che in fondo nell’arte non c’è nulla da capire, c’è solo da vivere, accettando la sfida di stare continuamente in bilico in un’aporia.

I giorni di quel primo amore, segnando il mio cammino con l’arte, si incrociarono, magicamente, con il primo amore per una donna. Da allora non rividi più Interview, di lì a poco sarebbe andato in giro per il mondo in tante mostre e poi, definitivamente, al Museum of Modern Art di Los Angeles. E non rividi più neppure la ragazza del primo amore. Interview tornò in Europa per una antologica di Rauschenberg al Beaubourg di Parigi nel 2006. Andai per rivederlo e al ritorno da Parigi grazie a un gioco di inimmaginabili coincidenze rividi anche la “ragazza” dopo esattamente 40 anni, come il quadro. Ma forse ha ragione Tabucchi: Niente succede per caso: e il caso è proprio questo: la nostra impossibilità di cogliere i veri nessi delle cose che sono” (Antonio Tabucchi, Il filo dell’orizzonte).

Ermanno Cristini