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Gabriele Landi: Buona sera Paolo pensavo di cominciare questa nostra chiacchierata dal principio con una domanda alla Marzullo( per ridere un po’).
Sei stato tu a scegliere la scultura o è stata la scultura a scegliere te?
Paolo Fabiani: Nei primi anni ’90 ho lavorato prevalentemente nelle due dimensioni, anche se già facevo delle installazioni. La scultura vera e propria è comparsa attorno al ‘ 92 con un exploit alla mostra di Luciano Pistoi a Volpaia dal titolo Splendente. Esposi delle figurine in argilla cruda e in gesso ispirate alle icone di Alessandro Magnasco pittore del 700 genovese… Saltimbanchi, Pulcinella, Cantastorie, streghe, tutti soggetti di quella che viene definita pittura di genere. La scultura in quegli anni era per me come l’alter ego della pittura, poi ha preso sempre più campo, mi è entrata nel sangue, come un organismo che lentamente colonizza un altro; la scultura è entrata in me attraverso un processo simbiotico e per cosi dire, ha rosicchiato lentamente il campo soppiantando poi la pittura
Gabriele Landi: E la pittura che facevi che tipo di pittura era? I soggetti erano sempre personaggi come quelli usati nell’installazione di Volpaia?
Paolo Fabiani: No la pittura che facevo era basata su un processo. Nel 1992 ho partecipato alla mostra Process Painting, a Roma alla galleria L’Attico di Fabio Sargentini. Massimo Barzagli, Jan Davemport, Callum Innes, Nicholas May, testi in catalogo di Saretto Cincinelli e Maria Luisa Frisa.
La pittura di procedimento veniva sperimentata in quegli anni anche in Gran Bretagna, ma noi sinceramente eravamo più originali! Anche se poi Davemport e Innes hanno avuto successo e mercato, anche per il solo fatto di avere un sistema dell’arte molto forte, solido, un sistema fatto di gallerie musei istituzioni case d’asta, che si impegnano on own british artists. Barzagli lavora sull’impronta ma con molta energia, pesci, caprioli, persone, popolano le sue tele e il procedimento passa decisamente in secondo piano, prendendo importanza l’aspetto narrativo, esperienziale, ogni opera è densa di poesia e racconto. Gli inglesi fanno tutto in modo decisamente più controllato e freddo.
In quegli anni ho lavorato col soffio, cioè stendendo il colore su di un supporto orizzontale, controllavo il colore con la pressione dell’aria realizzando tele con soggetti come alberi volanti dove il colore molto liquido formava ramificazioni bronchiali oppure madrepore con smalti densi stesi su strati sovrapposti, dove lo strato superficiale scioglieva il sottostante e infine cieli, realizzati partendo da uno sfondo bianco gessoso soffiando un mix di colore ad olio e gel. Successivamente “colorati” a spruzzo con colori a base alcolica, che venivano assorbiti solo dove non era steso il colore a olio.
L’idea successiva di porre in relazione le piccole figure con i quadri soffiati, nasce proprio dall’evidenza che le tele potevano essere grandi scene per le piccole faccende svolte dell’essere umano
Gabriele Landi: Guardando le tue sculture quello che mi colpisce è la grande leggerezza e l’apparente facilità con cui modelli le figure che sembrano conservare la freschezza e la levità del soffio con cui dipingevi i tuo quadri. La scelta di rappresentare personaggi come Pulcinella i Saltimbanchi… a che cosa è legata?
Paolo Fabiani: Sono delle figure nelle quali mi proietto, ispirandomi ai dipinti di Alessandro Magnasco e ad alcuni disegni di Tiepolo sulle vicissitudini di Pulcinella: Pulcinella in prigione, il matrimonio di Pulcinella, Pulcinella dal Cavadenti ecc; mi immedesimo in queste figure forse perché ho avuto fin dall’infanzia alcune disavventure di salute, che fino ad oggi mi hanno fatto rimbalzare, ma fortunatamente, come Pulcinella, con leggerezza ce l’ho sempre fatta.
Vivere le difficoltà con leggerezza e ironia è la chiave per trasformare e compiere una rivoluzione interiore.
Gabriele Landi: Una rivoluzione anche spirituale?
Paolo Fabiani: Daisaku Ikeda (terzo leader della Soka Gakkai International, ONG per la pace attraverso la diffusione del buddismo di Nichiren Daishonin, monaco giapponese vissuto nel 1200) afferma: “Certamente incontreremo ostacoli sul nostro cammino e saremo assaliti da tempeste e avversità. Tuttavia come osservava il filosofo britannico Bertrand Russell (1872-1970): «È la speranza, e non la paura, il principio creativo di tutte le attività umane». Come esseri umani possiamo costruire un futuro migliore! Non dobbiamo mai abbandonare questa luminosa speranza. Solo credendo nel potenziale infinitamente nobile che c’è dentro di noi possiamo cambiare il modo di pensare delle persone e trasformare il nostro ambiente.”
Certo è una rivoluzione prima di tutto spirituale, nel senso di un cambiamento individuale della propria percezione del sé in relazione agli altri e all’universo tutto; la ”Rivoluzione Umana”, definizione coniata da Josei Toda, secondo leader della Soka Gakkai, che durante la seconda Guerra Mondiale fu incarcerato insieme al primo leader della Soka Gakkai, Tsunesaburo Makiguchi, (che morì in prigione perché più debole e anziano di Toda) perché professava un credo diverso da quello imperialista. Il. Buddismo, e non solo, spiega molto bene questo principio di non dualità tra individuo e ambiente, nel momento in cui manifestiamo gratitudine, empatia, nonostante le difficoltà, la nostra vita migliora e il nostro ambiente risponde in una infinita reazione a catena.
F. Schiller scrisse il testo usato da Beethoven nell’Inno alla Gioia:
“Gioia, bella scintilla divina,
figlia dell’Elisio,
noi ci accostiamo ebbri d’ardore,
o Divina, al tuo sacrario.
I tuoi incanti tornano a unire
ciò che gli usi rigidamente divisero;
tutti gli uomini diventano fratelli,
dove posa la tua ala soave”
L’arte è espressione di trasformazione, come la vita, funziona se vissuta con spirito gioioso e danzante!
Gabriele Landi: E le tue figure sembrano proprio muoversi pregne di questo spirito. L’aspetto narrativo ha una grande importanza nel tuo lavoro, o è solo un’ aspetto secondario?
Paolo Fabiani: Innanzi tutto ti voglio ringraziare perché, con le tue domande, con grande sensibilità, stai cogliendo aspetti inesplorati del mio lavoro, facendo luce sui fondamenti del mio approccio all’arte e alla vita, entità inscindibili.
La narrazione è un pretesto per raccontare di sé.
Il cantastorie è colui che, basandosi su un canovaccio, riesce ad adattare la storia in relazione al suo pubblico. La TV, i giornali sono i cantastorie di oggi, quante storie che ci raccontano! Forse, non so, forse sono esagerato, ma quando la narrazione diventa il fine è banale! Non credi? Lo storytelling è efficace se è pretesto, veicolo di valori, nell’ arte visuale, nel cinema nel teatro, se la narrazione diventa troppo presente è didascalica, illustrativa, fine a se stessa.
La narrazione è piena di senso se racconta l’esperienza vissuta.
Gabriele Landi: Hai perfettamente ragione. Ha tale proposito mi puoi raccontare qualcosa sul Omo nero?
Paolo Fabiani: Ah si c’è tutta una storia li! La faccio lunga..la prendo larga
Nel 2016 abbiamo vinto il bando di Regione Toscana “Toscanaincontemporanea” con un progetto “STAND UP FOR AFRICA arte contemporanea per i diritti umani. Casentino osservatorio glocal”.
In Casentino c’è la Rete Ecomuseale, sotto l’ala protettrice dell’Unione dei Comuni Montani del Casentino. Il progetto è seguito da vicino da Eleonora Ducci, Assessore alla Cultura e all’Ecomuseo.
Nel luglio 2016 il lancio della prima edizione di STAND UP FOR AFRICA con una giornata all’Ecomuseo del Carbonaio di Cetica, dal titolo “Chi ha paura dell’Omo nero?” nella quale sono state affrontate le similitudini tra le discriminazioni razziali che subiscono i neri e quelle che appunto dovevano sopportare i carbonai.
In passato tanti Casentinesi andavano “alla macchia” in Maremma a fare il carbone. Le rare volte che scendevano in paese, nessuno li conosceva ed inoltre, essendo neri come il carbone, sporchi e maleodoranti, erano considerati come degli appestati.
La filastrocca “Ti darò all Omo nero che ti tenga un mese intero…” nasce da questo contesto, anche perché i ragazzetti talvolta venivano mandati, per un periodo, a lavorare “alla macchia”.
L’Omo nero citato nella filastrocca, non si riferisce quindi all’uomo con pelle scura, bensì al carbonaio.
L’Omo nero, poi è diventato per estensione del concetto, quello che a volte in Toscana viene chiamato Bóbó figura terrificante che veniva evocata per impaurire i bambini quando non volevano ubbidire ai genitori, quindi in un’accezione più ampia sia l’omo nero che il Bóbó sono figure malefiche.
Il lavoro Omo nero, (testa abbozzata di stucco grigio scuro, posta sopra un piattino di fine porcellana) rappresenta l’atto di recidere una volta per tutte il legame col male, tagliandogli la testa. Ho in mente, da un punto di vista solo della rappresentazione, l’iconografia del banchetto di Erode al quale viene presentata la testa del Battista, in un piatto d’argento e anche una famosa foto di un giovanissimo Damien Hirst, ritratto sorridente accanto ad una testa tagliata scattata in obitorio.
Omo nero rappresenta per me il passaggio la trasformazione, dopo che nel 2013 sono andato improvvisamente in coma. Sono uscito illeso dopo 40 giorni e con tanta voglia di vivere! Cosa c’è di più efficace, per vivere bene, che il desiderio di recidere nella nostra vita la sofferenza e il male ?
Gabriele Landi: STAND UP FOR AFRICA ti vede coinvolto, non solo come artista, ma anche come organizzatore e promotore assieme a tua moglie. È la prima volta che ti occupi della progettazione e del coordinamento di una cosa del genere? Come ti trovi in questo ruolo?
Paolo Fabiani: Sono formalmente direttore artistico di SUFA, (STAND UP FOR AFRICA detto SUFA) buttando giù le linee guida del progetto, ma con Rossella Del Sere, mia moglie, e l’architetto Andrea Rossi, (funzionario responsabile della Rete Ecomuseale dell’ Unione dei Comuni Montani del Casentino) abbiamo formato, per le tre edizioni, un affiatato gruppo di ricerca e lavoro. Ogni anno cerchiamo di rispondere alle problematiche e alle necessità sia del territorio che dei migranti, dove l’arte contemporanea è ponte di collegamento tra la gente del luogo e la dura realtà delle migrazioni africane.
Nel ruolo di organizzatore sono molto alle prime armi, fortunatamente i due abili architetti, Andrea e Rossella sono del mestiere, abituati per formazione e professione, alla gestione delle risorse, alla direzione dei lavori, agli allestimenti e alla rendicontazione.
Come creativo mi sento più a mio agio, perché ovviamente è un ruolo più vicino alla mia “forma mentis”.
Gabriele Landi: Torniamo al tuo lavoro d’artista per soffermarci sul trattamento della materia. La tua scultura e fatta per la via del mettere e non del levare è una scelta legata alle tue origini pittoriche?
Paolo Fabiani: Per lavorare per via di levare c’è bisogno di una fisicità che non ho, inoltre prediligendo l’estemporaneità preferisco arrivare velocemente al risultato. La mia scultura è stata definita da Laura Cherubini “scultura domestica” o da Saretto Cincinelli “scultura antimomumentale”, due definizioni nelle quali riconosco il senso del mio lavoro, legato al gioco e all’esperienza infantile del fare.
I bambini hanno bisogno di inventare scenari nei quali ambientare le loro fantasie, che così si trasformano in visioni immaginifiche, proiezioni del loro mondo che prendono forma e diventano reali.
Una leggenda giapponese racconta del Generale Tigre di Pietra che credendo di aver di fronte la tigre che aveva ucciso sua madre, scagliò la freccia dal suo arco con la convinzione profonda di uccidere la tigre. In realtà il Generale aveva scambiato un grosso masso per la tigre, e la freccia, tanto era convinto e determinato, si era conficcata nella roccia. Provò e riprovò per tentare ancora di perforare la pietrama non ci non ci riuscí mai più. Questa storia dovrebbe farci capire quanto sono importanti le nostre proiezioni, i nostri sogni non sono uno scherzo!
Se desideriamo sinceramente, allora ciò che aneliamo si manifesterà sicuramente. La cosa più difficile è credere, credere in noi stessi e nell’infinito potere della vita.
Gabriele Landi: In alcune opere ho visto che hai inserito degli oggetti reali, che valore gli attribuisci?
Paolo Fabiani: Si fa prima quando quello che ti serve è belle e pronto!!!
Un gioco di bambini che costruiscono il proprio mondo con ciò che hanno a portata di mano; la fantasia non ha bisogno di giocattoli complicatissimi o soldatini riprodotti fedelmente in ogni piccolo dettaglio, sono sufficienti dei fagioli per mimare l’avanzamento delle truppe, dei tappi di bottiglia per immaginarsi la partita del secolo, oppure delle biglie per organizzare il giro d’Italia! Questo è il mondo della mia infanzia della prima adolescenza, legato anche a quello che vedevo fare a mio fratello Plinio che realizzava, tredicenne sculturine belissime in argilla cruda
Se vuoi ri-costruire uno scenario domestico, un’immagine della tua infanzia, puoi prendere un vecchio frigo o una cucina e utilizzarlo come base per una cosa fatta da te, oppure appoggiare una figura di terra che non sta in piedi da sola ad una brocca in ceramica.
Abbiamo cosí evidenziato i miei tre ambienti ispirativi:
– L’infanzia, il gioco, la simulazione attraverso oggetti simbolici che rappresentano l’ambientazione nella quale collocare il soggetto (vedi es. installazione Uscita Pistoia)
– l’ambiente domestico che è il simulacro della sicurezza della tranquillità dove potersi esprimere liberamente. In modo particolare la cucina dove si trovano tutti i materiali, la farina, l’acqua, il sale, il pane e gli strumenti per modellare, coltelli, cucchiaini e i supporti, tazzine bicchieri, brocche piatti, piattini.
– l’ambiente familiare, la mamma che prepara gli gnocchi, la nonna che tira la sfoglia, che per la Befana fa un dolce a forma di cavallo, per i nipotini maschi, decorato con praline e cioccolatini e una bambola per le femmine chiamata fantoccia, il fratello maggiore che realizza con grande maestria piccole sculturine in argilla cruda
Gabriele Landi: installazione Uscita Pistoia è quella con il lavandino e la Zattera in Lego?
Paolo Fabiani: Si esatto!
Gabriele Landi: Paolo ” Sfruttamento di Minori” è grandioso! La zattera è un “Objet trouve”?
Paolo Fabiani: Accidenti grazie Gabriele! Si la zattera è un lego fatto dal mio amico Lorenzo che aveva 8 anni. L’uso che faccio dell’ “Objet trouve” è diverso dall’uso che ne faceva Duchamp, dove l’oggetto veniva snaturato, nel senso che nel momento che l’artista “lo tocca” diventa altro. Non è più ruota di bicicletta o orinatoio, l’oggetto viene snaturato. Nel mio caso l’oggetto è integrato nell opera ne rafforza il senso e ne identifica il contesto di riferimento.
Gabriele Landi: Senti ma la scelta di Magnasco e G.D. Tiepolo due autori profondamente malinconici sentimento che riverbera fortemente anche nelle tue opere una malinconia domestica intima da che cosa è dettata?
Paolo Fabiani: Riguardo a Tiepolo mi hanno interessato essenzialmente una serie corposa di disegni sulla vita di Pulcinella che sono esilaranti! Alcune scene sono velate di leggera malinconia, ma essenzialmente sembrano vignette di un fumetto. La scelta di Magnasco è basata su affinità elettive. Nei suoi dipinti delle figure strampalate( freak del ‘700) sono tutte indaffarate a non far nulla. Anche nelle “fraterie” c’è questa atmosfera di lavorare a vuoto. Si vedeno refettori enormi che pullulano di monaci che svolgono fanno cose diverse; c’è chi mangia, chi prega, chi dialoga con altri confratelli, chi sparecchia, chi canta ecc. ecc. Sembra una metafora del genere umano, che è sempre preso dalle “cazzate” cose futili, inutili che non producono nessun valore e non si rende conto dell’impermanenza della vita. Magnasco si potrebbe dire che ha anche una visione vicina al buddismo. Josei Toda, uno dei fondatori della Soka Kyoku Gakkai giapponese (Società per la creazione di valore, che si basa sul Buddismo di Nichiren Daishonin, monaco del 1200) diceva:” Non trascorrete la vostra vita invano o avrete rimpianti per i prossimi diecimila anni” I dipinti di Magnasco (pullulano di monaci che fanno cose diverse)
Dici “melanconia domestica” si è una giusta accezione! Facendo un lavoro più introspettivo, penso anche che la malinconia sia nel mio caso un “rumore di fondo”.
Combatto con problemi di salute insieme alla mia famiglia da sempre.
Il primo di ottobre 2018 ho fatto trapianto di polmoni. Una malattia autoimmune mi ha colpito all’età di 2 anni l’ipofisi e quando avevo 23 anni si è manifestata nei polmoni, distruggendoli lentamente.
Da piccolissimo bevevo 10 litri di acqua al giorno e urinavo in continuazione.
La ghiandola ipofisaria è stata praticamente distrutta dalla malattia e a causa della mancanza della secrezione dell’ormone della crescita, sarei dovuto rimanere un nano. Fortunatamente proprio in quegli anni fu commercializzato il farmaco sostitutivo dell’ormone che ha funzionato alla grande… È andata bene!
Anche il trapianto bipolmonare sta andando benone, salvo qualche complicazione inevitabile. Ero costretto fino a pochi mesi fa a tenere il concentratore di Ossigeno, 24 ore su 24; mi dava molta più autonomia e libertà rispetto all’ossigeno chimico, ma il mio corpo non ce la faceva più.
Con i polmoni nuovi vado che è una meraviglia!
Per carattere ho sempre cercato di affrontare la vita con un atteggiamento leggero, perché non serve a niente piangersi addosso. Il Buddismo e la recitazione di Nam Myo Ho Renghe Kyo mi aiuta tantissimo a mantenere uno stato vitale alto e a vincere sui problemi e le difficoltà grazie al quale “si manifesta la forza di un leone all’attacco”.
Detto questo è chiaro che “la melanconia domestica” è una velatura che si stende su alcune giornate più difficili. Semza contare che dal 1985 al 1990 ho sofferto di depressione senza mai un giorno di gioia, poi ho conosciuto Rossella che piano piano mi ha fatto conoscere il Buddismo e praticando molto intensamente sono riuscito a guarire in un anno. Fino agli anni ’90 facevo dei lavori con le radiografie ingigantite poi iniziai a fare i grandi lavori soffiati sul tema dei cieli… Un apoteosi di colore, e di li a poco comparvero, davanti ai cieli delle figure di argilla cruda e vinavil (come le faceva mio fratello maggiore Plinio, (ora primario dell’ospedale della Versilia). Il colore è comparso con una rinascita spirituale, filosofica e vitale, in modo spontaneo e naturale. Evidentemente questa rivoluzione interiore mi ha portato naturalmente verso il colore, la vitalità, mantenendo a tratti “un rumorino di fondo” che è poi il sale della vita, vissuta con senso profondo e verace.
Paolo Fabiani
(Montevarchi 1962)
Paolo Fabiani ha iniziato il suo itinerario artistico verso la fine degli anni Ottanta dipingendo alberi e cieli, con un metodo che possiamo definire a soffio cioè, attraverso una cannula il pneuma arriva al colore e lo indirizza, creando forme appunto simili ad alberi e cieli. La ricerca di Fabiani lo ha portato ad unire ai dipinti delle piccole sculture in argilla cruda, ceramica o gesso. Intorno al 1993 l’elemento tridimensionale ha preso il sopravvento e l’interesse dell’artista si è focalizzato soltanto sulla scultura. Laura Cherubini (Paolo Fabiani, Galleria Margiacchi, Arezzo, 1995), descrive il lavoro di Fabiani “scultura domestica”. Lo scultore ora trae ispirazione dai personaggi della commedia dell’arte, come la figura di Pulcinella, simbolica espressione di una vita avventurosa e immagine tragicomica dell’esperienza esistenziale, che si nutre di memorie infantili e suggerisce uno sguardo surreale del mondo, appoggia queste figure sopra ad elettrodomestici e basi trovate nell’ambiente domestico, come a a voler trasferire nei luoghi espositivi, parti di sé e dei luoghi familiari. Nel 1996 è invitato da Francesco Bonami in Korea, al National Museum of Contemporary Art di Seul per la mostra Tradition & Innovation, Italian Art of Last 60 Years, uno spaccato dell’arte italiana, da Manzù a Fontana da Burri a Ontani fino alle ultime generazioni.
Ludovico Pratesi scrive: “Fabiani lavora la terracotta da scultore, per studiare l’espressione della forma. Una forma che si nutre della propria indeterminatezza, di un’imperfezione che è linguaggio. L’Arte di Fabiani vive di una tensione non verso la costruzione, bensì verso la dissoluzione della forma.”
Il suo approccio creativo è essenzialmente ludico e poetico, sia nella realizzazione dei suoi soggetti in materiale povero, che sembrano derivare dal vuoto, sia nello studio dello spazio in cui collocare o da cui far nascere l’opera, come in Place installazione ambientale ideata nel 2005 per Pitti Immagine, presentato alla Fortezza da Basso di Firenze durante Pitti Uomo.
Nel 2016 nasce il progetto Stand Up For Africa, arte contemporanea per i diritti umani, piattaforma di arte contemporanea e diritti umani che coinvolge artisti e giovani richiedenti asilo ospitati nelle strutture della provincia di Arezzo. Rossella Del Sere e Paolo Fabiani sono ideatori di Stand Up For Africa, che nel 2019 giunge alla quarta edizione.
L’Unione dei Comuni Montani del Casentino e Ecomuseo del Casentino, sono i capofila della rete di Stand Up For Africa, con l’importante contributo di Regione Toscana, nell’ambito del bando Toscanaincontemporanea.

Pratovecchio 2019,
ph.Luca Moretti

“Pulcinella che suona la chitarra”, 1997, fusione in
alluminio, cm 160x100x70.
Collezione Privata

” Strega con gatti”, 1994, terracotta, 38x42x34, collezione
privata

“Pulcinella playing guitar”, 1995, tecnica mista, cm. 20x20x32
courtesy l’artista.
Invito della mostra “Tradition e Innovation” Museum of
Contemporary
Art, Seul, Korea gennaio 1996.

“Pulcinella”, 1996, tecnica mista, cm. 29x26x36
courtesy Banca Intesa ” Progetto Cultura”.


“Ho tagliato la testa all’omo nero!”, 2015, tecnica
mista, cm.
23x23x19, collezione privata.

“Senza Titolo”, 1991, tecnica mista su tavola, cm. 300×200
courtesy Fabio Sargentini, Associazione Culturale L’Attico, Roma.
Veduta della mostra “Scorribanda” 60 anni della galleria
L’Attico,
gennaio 2018, Galleria d’arte Moderna e Contemporanea, Roma.

“Senza Titolo”, 1991, tecnica mista su tavola, cm. 300×200
courtesy Fabio Sargentini, Associazione Culturale L’Attico, Roma.
Veduta della mostra “Scorribanda” 60 anni della galleria
L’Attico,
gennaio 2018, Galleria d’arte Moderna e Contemporanea, Roma.

“Sfruttamento di minori” 2003, materiali vari, installazione
per la
mostra “Uscita Pistoia”


“L’altalena dei Pulcinella”,
1793/97, affresco,
cm. 200×170, Ca’ Rezzonico, Venezia.
