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Gabriele Landi: Ciao Alessandro, spesso per noi artisti i primi sintomi di questa “grave patologia che chiamiamo arte” si manifestano già dall’ infanzia é stato così anche per te? Racconta?
Alessandro Traina: Sì. I primi sintomi si sono manifestati dalla terza media, i miei disegni guardavano alla pittura metafisica di De Chirico e Morandi ed ero il pupillo della prof di Educazione Artistica.
La patologia poi si è aggravata gradualmente, c’è stato un tentativo di soffocamento durante i primi anni di Architettura ma poi ha preso il sopravvento su tutti i fronti…
G.L.: Di fronte a questo dilagare hai proseguito i tuoi studi di Architettura o sei passato all’Accademia?
A.T.: Come dicevo ha preso il sopravvento; ho interrotto gli studi e mi sono concentrato sul lavoro artistico attraversando diverse fasi fino trovare un mio linguaggio. Non mi sono mai iscritto all’Accademia.
G.L.: Come dicevi prima i tuoi interessi erano agli inizi legati ad un certo tipo di figurazione, De Chirico, Morandi. Hai cominciato a muovere i tuoi primi passi nel sistema dell’arte gallerie, critici… con lavori figurativi?
A.T.: Beh, da quei primi interessi ai primi passi nel sistema dell’arte passarono più di dieci anni… però incominciai davvero proponendo opere figurative. Si trattava di immagini frammentate su varie tele sagomate che si componevano sulla parete, ma fu una ricerca che durò poco e non venne mai esposta. In breve iniziai a ridurre l’immagine fino a passare a forme essenziali che miravano all’ assoluto e con questo lavoro inizialmente pittorico iniziai a esporre.
G.L.: L’articolazione spaziale dei tuoi lavori trova origine nei tuoi studi architettonici?
A.T.: L’ architettura è rimasta comunque nei miei interessi ma non ritengo abbia mai interferito in tutta la mia ricerca artistica.
G.L.: Mi sembra che nei tuoi primi lavori, che passano dalle 2 alle 3 dimensioni, l’atto del dipingere giochi un ruolo centrale. Che importanza gli attribuisci?
A.T.: Era l’ultimo passaggio dalla pittura alla scultura. La tela diventa volume, porzione di spazio che racchiude uno o più elementi, e volumi diversi accostati tra loro diventano una sorta di archivio temporale. Non c’è più l’atto del dipingere che abbozza il soggetto, la pittura qui è soltanto disegno geometrico.
G.L.: Sembra che in questi lavori il colore passi da una valenza pittorica ad una valenza mimetica, imitando altri materiali e cosi?
A.T.: Non c’era una vera intenzione di imitare vari materiali ma ormai quasi tutte le mie immagini pittoriche erano diventate rappresentazioni di strutture realizzabili in tre dimensioni, cosa che mi portò inevitabilmente ad abbandonare la pittura e a cercare invece il modo e i materiali più adatti per realizzarle affinché trasmettessero esattamente lo stesso significato che volevo darle in pittura.
G.L.: Quando passi dalla rappresentazione degli oggetti agli oggetti veri e propri continui a realizzarli in prima persona o ti occupi della progettazione e la realizzazione viene affidata ad altri?
A.T.: Li realizzo io.
G.L.: Che importanza ha nel tuo lavoro l’idea di tensione, può essere in qualche modo associata all’idea di intensità?
A.T.: L’idea di tensione che si può inizialmente percepire, immagino che tu ti riferisca appunto alle mie prime sculture, è ingannevole. La tensione applica una pressione che deforma le cose, che è proprio quello che voglio evitare. La mia in realtà è una costrizione, è bloccare, è trattenere, è mantenere, tenere insieme, è fermare il momento per impedire un ulteriore decadimento. Forse si può associare lo stesso all’idea di intensità…
G.L.: Un’altra idea importante, e sempre molto presente in quello che fai, mi sembra quella della fisicità del toccare con mano. Puoi parlarne?
A.T.: E’ vero, questa fisicità è presente in diversi cicli di lavoro, non in tutti. In alcuni più datati ma anche in alcuni recenti, parliamo solo di opere a parete, il toccare con mano è riservato al collezionista o al gallerista più che allo spettatore, in quanto costretti ad assemblare l’opera, composta da più elementi, in una precisa composizione. A dire il vero nel ciclo Intervalli, quello più vecchio, la composizione era più libera, comunque fare parte della “costruzione” è anche il senso del lavoro. Al contrario nel ciclo recente dal titolo Insiemi l’opera già completa è composta da vari elementi in feltro, sovrapposti ma solo fissati in alto, che lo spettatore può anche sollevare per comprenderne la costruzione.
G.L.: Ti interessa l’idea di superficie, pelle, del lavoro? Mi sembra un’idea che ritorna in vari lavori quelli fatti con le calamite ad esempio che hanno delle parti in carta dipinta e strappata o quelli con i fogli lavorati con il pastello e cera.
A.T.: Non ho mai dato particolare importanza all’idea di superficie. Trovo che sia una peculiarità di chi fa principalmente pittura mentre il mio lavoro in tutte le sue espressioni è sempre scultoreo. Direi che infatti dò attenzione ai materiali che scelgo e tratto in base al significato dell’opera. Nel lavoro dei primi anni 90 e nella serie Intervalli ho usato la carta da spolvero per la sua praticità, la leggerezza per essere curvata dentro “gabbie” metalliche o costretta da calamite a nastro, il colore giallo pallido che meglio si adattava al nero delle strutture e al frottage con pastello a cera nero, sul pavimento del mio studio di allora, che voleva indicare un passaggio, un percorso svolto. Nelle serie Forma bianca, Inchini e Tempi vuoti, da fine anni 90 ai primi 2000, le calamite bloccano e riuniscono le parti di un foglio di carta strappata su un involucro di lamiera in ferro, ma il foglio è una particolare carta fatta a mano di un certo spessore ecc. che ha di per sé un suo fascino e un forte impatto estetico. Nell’insieme dell’opera e nel suo concetto era quello l’elemento che doveva risaltare. Il colore era solo una variazione che meglio si adattava alle serie.
G.L.: Nel tuo lavoro hai talvolta fatto ricorso a forme di derivazione geometrica talvolta anche con l’intento mi sembra di creare delle forzature, dei dissestamenti come per contraddirla è così?
A.T.: Ho sempre usato forme geometriche semplici come quadrati o rettangoli o cerchi ma non con l’intenzione cui ti riferisci. Come ho detto precedentemente non cerco una tensione o una forzatura, piuttosto un’ immobilità che ne conservi la forma, quindi l’essere.
Alessandro Traina Nato a San Vincenzo (LI) nel 1957 vive e lavora a Milano.
Nel 1987 la sua prima personale alla galleria Fac Simile a Milano. Nel 1989 è invitato al Premio Saatchi & Saatchi al Palazzo delle Stelline a Milano e alla mostra Fabbrica a cura di Massimo Minini.
Negli anni Novanta seguono mostre al Palazzo della Triennale a Milano, al Castello di Sartirana nella rassegna Giovane Arte Contemporanea e alla GAM di Gallarate.
Achille Bonito Oliva lo invita ad Arie, rassegna di scultura internazionale all’aperto nell’ambito del Festival dei Due Mondi di Spoleto.
Seguono personali tra le altre alla galleria Neon a Bologna, alla Juliet’s Room a Trieste, e a Milano allo Studio Cavellini e alla galleria Erha.
Tiene personali anche in Germania e in Francia dove espone più volte a Parigi.
Nel 1994 è presente al Castello di Rivara nella rassegna Equinozio d’Autunno poi le personali a Milano nel 1997 alla galleria Maria Cilena e nel 1998 alla galleria Plurima di Udine dove verrà invitato alla GAMUD nella mostra Nuove Contaminazioni curata da Enrico Crispolti.
Nel 2005 realizza una scultura in permanenza per l’arredo urbano del comune di Viadana (MN). Espone poi in rassegne nel Museo di Palazzo Poggi dell’Università di Bologna, nel Museo Civico Parisi Valle di Maccagno e nel 2006 tiene una personale allo Spazio Cesare da Sesto a Sesto Calende (VA). Tra il 2007 e 2010 le personali alla galleria Spazio Temporaneo di Milano e da Milly Pozzi a Como.
Nel 2012 è invitato alla Fondazione Zappettini di Chiavari nella rassegna Astratta, poi le
personali al Triangolo Nero di Alessandria nel 2013 e da Artesilva a Seregno nel 2014 presentato da Luciano Caramel che lo inviterà nel 2016 al Premio Michetti di Francavilla al Mare. E’ presente per due stagioni alla Bocconi Art Gallery di Milano, poi al Premio Suzzara (MN) e alla CAMEC di La Spezia.
Nel 2017 è al Chiostro di Voltorre (VA) e al Museo Floriano Bodini di Gemonio (VA).
Nel 2018 partecipa alla prima Biennale di Alessandria e nel 2019 la personale al Collegio Cairoli di Pavia.
Hanno presentato il suo lavoro tra gli altri: A. Altamira, R. Borghi, M. Campitelli, L. Caramel, L. Cavadini, C. Cerritelli, E. Di Raddo, R. Ferrario, M. Galbiati, M. Gandini, L. Giudici, C. Guidi, A. Locatelli, A. Madesani, M. Meneguzzo, F. Parachini, E. Pontiggia, A. Rigoni, C. Rizzi, F. Tedeschi.







