Intervista a Alberto Dambruoso

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Gabriele Landi: Ciao Alberto, quando e come hai iniziato ad interessarti all’arte ?

Alberto Dambruoso: Ho iniziato ad interessarmi all’arte quando ero piccolo perché mio papà era un appassionato d’arte e mi portava sempre con lui a visitare gli studi degli artisti e le mostre nelle gallerie d’arte. Ad un certo punto ne aprì anche lui una con due amici nella città dove sono nato, Valdagno in provincia di Vicenza. Una cittadina a ridosso delle Prealpi che aveva recitato un ruolo di primo piano nell’arte durante gli anni Sessanta e Settanta con il Premio Marzotto, premio molto ambito dagli artisti, che all’epoca era secondo solo alla Biennale di Venezia.

G.L.: Ci sono stati degli incontri importanti in questi anni ?

A.D.: Mi ricordo di essere stato nello studio di Mimmo Germanà che nei primi anni Ottanta godeva di un certo successo. Ricordo anche di aver conosciuto Carmelo Zotti, un artista friulano abbastanza noto al nord. 

G.L.: Dopo questi primi approcci come hai proseguito il tuo percorso?

A.D.: Diciamo che per un po’ di anni l’arte è rimasta dentro di me ma senza che si manifestasse in modo chiaro. Nel senso che non frequentavo mostre o artisti durante l’adolescenza ma l’iconosfera famigliare sotto sotto si faceva sentire. I tanti quadri o le sculture che abbellivano la casa dei miei genitori non passavano inosservati ai miei occhi. Quando poi arrivò il momento della scelta universitaria il bagaglio delle conoscenze artistiche maturate tra le mura domestiche si fece sentire e decisi di intraprendere la Facoltà di Beni Culturali anche su suggerimento di mio padre a dire il vero.

G.L.: Dove hai fatto l’università?

A.D.: Ho fatto l’Università della Tuscia a Viterbo. Facoltà di Beni culturali e corsi di laurea in Beni culturali. Durante l’università ho vinto una borsa erasmus e sono andato a Parigi per seguire un corso di specializzazione in Patrimoine. Ho preso poi post laurea la specializzazione in Storia dell’arte per l’insegnamento secondario alla Cà Foscari di Venezia.

G.L.: Finiti gli studi che anni erano e come hai proseguito il tuo percorso?

A.D.: Finiti gli studi ho iniziato a collaborare per qualche anno per qualche galleria d’arte contemporanea come assistente e contemporaneamente iniziavo a scrivere recensioni di mostre o presentazioni. Dopo qualche esperienza di curatela ho deciso che era arrivato il momento di “mettermi in proprio” e così ho iniziato a fare solo il critico d’arte e il curatore di mostre.  Ho avuto la fortuna d’incontrare nel mio percorso formativo il Prof. Maurizio Calvesi con il quale ho realizzato un’importante mostra collettiva per il Premio Vasto nel 2005.

G.L.: Quando inizia la tua collaborazione con Calvesi?

A.D.: Inizia di fatto con quella mostra anche se un anno prima l’avevo coinvolto in una mostra simile presso una galleria romana dove aveva scritto la prefazione.

G.L.: La mostra del Premio Vasto ruota intorno alla Scuola di Piazza Del Popolo su cui Calvesi era una delle massime autorità come avete deciso di strutturarla? 

A.D.: Avevamo deciso di allargare il numero degli artisti rispetto alla mostra dell’anno prima coinvolgendo anche figure anticipatrici della Scuola di Piazza del Popolo come Titina Maselli o Domenico Gnoli e altre che sono apparse sul finire del decennio come Vettor Pisani, Eliseo Mattiacci e Gino De Dominicis. 

G.L.: Mi sembra, da quello che dici, che foste animati dall’idea di portare uno sguardo allargato su un periodo della storia dell’arte Italiana con l’idea di ribadirne la centralità rispetto a gli esiti precedenti e successivi .

A.D.: Giusto Gabriele. L’intento era esattamente questo.  Gli anni Sessanta hanno rappresentato non solo in Italia uno dei momenti più importanti per il rinnovamento dei linguaggio artistico. Il gruppo romano della Scuola di Piazza del Popolo, lanciato soprattutto da Calvesi, annoverava artisti di straordinario talento, per nulla inferiori ad esempio agli artisti americani.

G.L.: Con Calvesi come è andata avanti la collaborazione e in che cosa si è concretizzata?

A.D.: La collaborazione con Calvesi è proseguita poi con il catalogo generale di Boccioni. Abbiamo iniziato a lavorarci nel 2009. Ogni giorno mi recavo da lui e insieme abbiamo studiato tutto il materiale che il Professore aveva accumulato dal 1983, ovvero da quando era stato pubblicato il primo catalogo generale edito da Electa Mondadori, fino al 2009 appunto. Una collaborazione che si è protratta almeno fino al 2014. Il catalogo è stato pubblicato poi nel 2016. 

G.L.: Con lui hai fatto anche delle mostre? 

A.D.: Si come detto più sopra, il Premio Vasto e la mostra sempre sulla Scuola di Piazza del Popolo l’anno prima. 

G.L.: Oltre al lavoro con il prof. Calvesi porti avanti il tuo lavoro di curatore indipendente come ti muovi in questo ambito e che taglio dai ai tuo interventi criti?

A.D.: Il taglio che ho sempre dato ai miei interventi è di tipo analitico. Mi piace approfondire, scoprire, indagare sia la natura dell’opera d’arte sia le personalità che la realizzano.  Questo discorso vale sia sui pezzi critici che scrivo sia per le presentazioni orali che sono quasi sempre a braccio, una modalità che mi consente di essere più diretto.

G.L.: E’ in quest’ottica analitica che vedono la luce anche i Martedì Critici? Puoi parlare di questo progetto che due anni fa ha compiuto 10 anni?

A.D.: Sì certamente è attraverso questo sguardo che si deve leggere anche il progetto de I Martedì Critici. Dare la parola all’artista mi è sembrata ad un certo punto una necessità. Sia per chi scrive sia per il pubblico. Diciamo che in passato l’artista veniva visto come un essere fuori dal comune, straordinario dal punto di vista della creazione (una sorta di demiurgo) al quale però non si doveva chiedere nulla. Come se le sue creazioni fossero avvolte in un mistero insondabile.  Insomma gli artisti venivano considerati i “senza parola”. Ricordo che Bonito Oliva disse in un’occasione di essere il portavoce degli artisti in quanto questi ultimi non parlavano. Ecco, avere invece ridato la parola agli artisti mi è sembrato molto importante perché i primi che possono rivelare degli aspetti non immediatamente riconoscibili dell’opera sono proprio loro in primis. Il progetto de I Martedì Critici si è posto fin dal principio come un approfondimento dei temi artistici e uno dei meriti dell’iniziativa è stata quella di aver dato voce a tanti artisti fuori dal mainstream che non avrebbero avuto modo di essere conosciuti.  Gli incontri sono sempre stati gratuiti e si sono finanziati negli anni in diversi modi, soprattutto va detto grazie agli artisti  stessi che hanno messo a disposizione delle loro opere per delle aste o delle riffe,  il cui ricavato ha consentito di poter ospitare altri artisti. 

G.L.: In tutto questo esiste in qualche modo anche un intento didattico rivolto al pubblico? 

A.D.: Certo quando dico approfondimento è in chiave di divulgazione. 

G.L.: Che sviluppi pensi ci possano essere per I Martedì Critici?

A.D.: Mi auspico che possano ritornare all’estero, presentati all’interno della programmazione degli Istituti Italiani di Cultura. Ci erano già statI in due occasioni a Il Cairo. 

G.L.: Su che altri progetti stai lavorando?

A.D.: Al momento sto lavorando alla stesura di due testi per le mostre di Lucio Del Pezzo e di Giulio Turcato presso due gallerie private. In attesa di capire se riesco a far ripartire I Martedì Critici. Quest’autunno ho problemi con le sedi e spero di trovarne presto una. Devo poi iniziare a fare le presentazioni del mio ultimo libro su Boccioni edito da Maretti qualche mese fa. Conto di farne almeno cinque – sei in tutta Italia. 

G.L.: Ti occupi anche di coordinare delle residenze d’artista?

A.D.: Sì ultimamente ho coordinato un progetto di residenze d’artista in Calabria. Vedremo se avrà un prosieguo il prossimo anno.