Intervista a Arianna Giorgi

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Gabriele Landi: Buona sera Arianna, come nasce il lavoro sugli Ara?

Arianna Giorgi: Ciao Gabriele, sarò un po’ prolissa ma voglio spiegare tutte le emozioni che mi hanno portato a questi lavori. Gli Ara nascono a seguito di un viaggio in Brasile. 

Più in particolare a Rio, dintorni e Minas Jerais, quello che fu l’Eldorado e in cui nacque e lavorò Aleijhadignho, l’artista del barocco locale, unico in bravura, mutilato alle mani da una malattia.  Restai una ventina di giorni in cui fui affascinata dal paese così meticcio, non solo umanamente parlando ma anche riguardo alla natura e alla preparazione al carnevale che avviene nelle estação de samba dei vari rioni della città. Centri sociali in cui si prepara la sfilata e in cui, almeno fino allora (1997), si costruisce un pensiero sociale che ha poco a che vedere con una parata semplicemente festaiola e superficiale.                                                                                                                           I più grandi cantautori e musicisti del Brasile sono passati da li, hanno creato queste scuole che gli sono dedicate.   Magari arrivando dalle favelas una delle quali ho visitato introdotta da un giovane artista che veniva da li.  Tutti i testi delle canzoni sono testi estremamente impegnati sia musicalmente che socialmente.                                                                                                                     Nella estação dove andammo, la Estação primeira  de mangueira, fondata e dedicata al cantautore e compositore Cartola, considerato il maggiore sambista brasiliano di tutti i tempi, si impara a ballare e a suonare la batucada (batteria) composta dagli strumenti africani e da quelli degli indios amazzonici e altri ancora.  Suonano i vecchi ed i bambini e tutti ballano la samba, la vera samba. Piumaggi, spray, festoni, luci colorate. Allora non sapevo niente di queste cose. Di come il carnevale fosse una vera costruzione sociale. Ne rimasi molto impressa. Ma l’impegno non impediva un’ esplosione di colori, di gioia, di passione. Più colori che in natura. Eppure la natura talvolta esplode in forme e colori anch’essi incredibili come gli uccelli. Tantissimi colibrì dai colori cangianti.       

Gli Ara nascono da qui credo: dall’artificio ancor più che dall’osservazione della natura. Un artificio tanto coinvolgente da apparirmi natura esso stesso. Natura in senso lato, che per me significa anche parentela. Simbiosi. Coesistenza, compenetrazione di elementi. Lì la ho trovata. In tutta la sua opulenza e freschezza. In oltre Il titolo originale era Pau de Arara (Trespolo di pappagallo) lo avevo tratto da una canzone omonima che racconta il viaggio dei migranti del nord este, posto poverissimo, verso Rio e San Paolo. Queste persone viaggiavano su carri a cui si aggrappavano come a un trespolo. I carri erano detti appunto: pau de arara. Successivamente ho saputo che con “pau de arara” si chiama anche una tortura ampiamente usata sotto il regime dei colonnelli. Chi me lo disse la aveva negli occhi. Non mi è sembrato opportuno lasciare quel titolo. Ho capito che non se non si è pronti su certe cose è meglio lasciar stare. Se penso alla svastica, sia pure ribaltata, devo fare uno sforzo di coscienza per vederla come un sole. E così i Pau de arara sono diventati Ara 

GL: Hai avuto occasione di vedere i pappagalli liberi nella Foresta Amazzonica ? Che cosa ti ha colpito di questi chiassosi pennuti ?

AG: Per risponderti a questa domanda ti dirò che non ho mai visto i pappagalli in libertà. Purtroppo non sono stata in amazzonia com’era previsto.  

Esposi in seguito i lavori a Care/of l’anno successivo al viaggio, ovvero il 1998. Misi anche foto di lavori di giovani artisti brasiliani che avevo conosciuto. 

Gli unici ararauna e aramacao che avevo già visto da vicino erano in cattività oppure quello di Kounellis ma questa risposta implicherebbe un approfondimento della prima. 

Mi colpisce da sempre il colore acceso e cangiante del piumaggio e il loro sguardo espressivo. I movimenti, che sembrano più artefatti e vanagloriosi di quelli  nella scuola della Mangueira.

GL: Tecnicamente come li hai realizzati?

AG: Sono partita dal voler rappresentare il colore come movimento.   Dovevo trovare il modo di ricostruire tutte le mie sensazioni. Non solo il piumaggio. Cercare di rendere una certa vibrazione. Soprattutto una forma idonea. Il link fu piuttosto casuale.Trovai dei pezzi di ardesia (ero in Liguria) le cui sfaccettature mi sembravano già piume o ali. Poi non tutte sono così, ma è partito da quelle. Mi hanno fatto pensare ai pappagalli (Ara) ma solo come “riassunto” com’è spesso tipico del mio modo di fare. Approfittare di una certa figuratività per suggerire uno sguardo e un senso allargati.

Per il colore ho utilizzato le bombolette spray. Ho spruzzato l’ardesia da un lato con un colore e poi dall’altro con un altro colore cercando di conferire un aspetto cangiante. Ci volevano anche delle code. Le ho realizzate con cornici in legno per falegnameria già sagomate e profilati in alluminio.Con la stessa modalità che ho usato sull’ardesia li ho spruzzati da un lato, poi dall’altro, poi col nero da sopra ecc. Questo ha creato un certo ritmo e ha reso l’idea del colore in movimento. Ho completato il tutto con un frutto oppure con più frutti piccoli possibilmente tropicali, comunque che si rispecchino nel colore dell’Ara su cui, o vicino al quale, li pongo.                                                          

Ma poi mi diverto a ritrovare in qualsiasi frutta o verdura l’andamento del colore dei lavori. Per esempio, i peperoni giallo verdi sono fantastici: un po’ di umorismo non guasta mai. I primi che ho fatto sono a terra, poi altri li ho forati e “sfacciatamente” appesi come veri ara. In pratica possono stare sia a terra che appesi.                                                       

Mi dissero che facevo il figurativo… 

GL: Hai realizzato una scultura alla volta o le hai fatte tutte insieme?
Ti chiedo questo perché mi sembra che ci sia un criterio ritmico fatto di rimbalzi, come se i lavori si chiamassero a vicenda o entrassero in risonanza fra loro per dare vita ad un clima, è corretto?

AG: È corretto! I primi li ho fatti tutti insieme. Poi, nel 2000 ne ho fatti altri. Nelle foto che vedi ci sono anche questi ultimi. Non è stato facile riprendere quel ritmo. 

Ne ho in programma anche altri ma non più legati al Brasile, vedremo. 

Arianna Giorgi è diplomata all’Accademia di Brera. Vive e lavora a Milano dove ha esposto per la prima nel 1989. Membro di Art For The World Europe, nel 2016 partecipa con un video al progetto World water joy di Ulay. Partecipa alle tre edizioni di Studifestival, Milano con tre mostre: Estis yan Ara kai Era, con Giuliana Storino (2015)- IBYM a cura di Sophie Usunier, (2016)- Il sole e la sua ombra a cura di Gianni Caravaggio (2017).  Nel 2019 è invitata a parlare di “Come si impara il fare arte” in occasione dell’incontro su “Autenticità”, a cura di Ausilia Binda, Macro Asilo – Museo Macro, Roma, IT e di parlare del suo lavoro con gli studenti presso l’Accademia di bella Arti G.Carrara, Bergamo (IT) a cura di Sara Rossi.

Selezione di mostre personali e di gruppo:

(2019) VITA ZITA studio Salonicco GR- Corale, a cura di Nazareno Guglielmi, Fabbrica del Vapore, Milano, IT. (2018) – L’occhio Irresponsabile, Alla ricerca dell’aura perduta, a cura di Paolo Toffolutti, Galleria Spazzapan, Gradisca d ‘ Isonzo, IT. (2017) –Mardonatello, personale  a cura di Francesca Pasini, Milano, IT. (2016) – No. Place 2, Castello di Fombio, Piacenza, IT – No. Place 3, Galleria del Premio Suzzara , IT. (2014) – Motivi di famiglia, Villa Toppo Florio, Buttrio, a cura di Paolo Toffolutti, SPAC Friuli Venezia Giulia, IT. (2012) – WOP! a cura di Francesca Lucioni, Renata Fabbri Contemporary Art, Milano, IT- Trasalimenti, Cantiere delle Belle Arti, Rocca Calascio, a cura di Gabriele Di Pietro, L’Aquila, IT – Ombre. L’indagine dell’inafferrabile, Renata Fabbri Contemporary Art, a cura di Federico Sardella Milano, IT. (2011) – Women White. La dimensione dell’infinibilità, a cura di Federico Sardella, Renata Fabbri Contemporary Art, Milano, IT. (2007) – Imago, personale, Studiocristinadelponte, Locarno, CH. (2004) – Interazioni 04, Canton Ticino, CH. (2003) – Mostra Personale, Studiocristinadelponte, Locarno, CH – Servizio civile per l’arte, a cura di Johannes Gachnang e Cristina Del Ponte, spazio per l’arte contemporanea, Les Halles, Porrentruy. (2001) Tana, personale, Studiocristinadelponte, Locarno, CH. (2000) – Real Presence, a cura di Bijliana Tomich e Dobrila De Negri, Museo XXV Maggio, Belgrad, Serbia – Boeklin atelier of Zurig, a cura di J. Gachnang – Italina collectif in La beauté in fabula a cura di J. De Loisy, Palais des Papes, Avignone, FR. (1999) – Galleria Elisabeth Kaufmann, Basilea – Museu do Telephone a cura di G.Ferriera, Rio de Janeiro, BRA. Artisti in vetrina, a cura di Isabella Puliafito, Milano, IT. (1998) Ara, personale,  Care/of, Cusano Milanino, IT- Immagine Naturale, Galleria Micheline Szwajcer, Anvers, BG. (1996) – Dis Fabro! C’est qui Prométhée, Workshop per i bambini all’ Atelier des Enfants, Centre Georges Pompidou, Parigi, FR – Fuoricentro, Contesti d’arte contemporanea, a cura di Gianni Dessì e Daniela Lancioni, Spazio per l’Arte Contemporanea, Expo Tor Bella Monaca, Roma, IT. (1994) – Cohabitatione a cura di Bruno Corà, Palazzo Fabroni, Pistoia, IT (1991) Doppia personale, Marion Bush, Rotterdam art space, NL (1990) Doppia personale, Marion Bush Rotterdam art Space, NL. (1989)- Meteore , personale, Galleria Diecidue, Milano, IT. Dal 1990 al 2007 ha svolto personali presso la Casa degli Artisti di Milano.