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Nel 2004 erano passati venti anni da quando avevo iniziato a dipingere. L’aria e la luce era calda e gialla come le pagine del libro che stavo leggendo, nello studio di Milano.
“[…] intarsio variegato di zone placide e potenti che vivono nella vita pullulante atomica sostanziata della materia pittorica. Negli accordi di colore offre le più forti e delicate contrapposizioni di valore – in cui si manifesta il vero colorismo – dove un rosa pallido e un violaceo autunnale si accostano a qualche poderoso tono composito di rosso di marrone o di bruno”
Milano è una città scura, umida e rarefatta come la pianura che la circonda; adatta a dipingere con l’olio alla maniera di Leonardo e dei suoi discepoli. Ma la lettura quel giorno mi portava altrove …
“[…] Immaginate le forme appianate e i delizianti colori di Paolo Uccello trasportati in iscala monumentale e solenne: sopprimete i residui dell’intonazione gotica di fiaba notturna ancora frequenti in Paolo Uccello e intonate anzi ogni superficie alla luce diurna di Domenico Veneziano ma resa più chiara più meridiana, più plein-air, e avrete Piero dei Franceschi”
Nei campi; nei giardini periferici appartati, dove la vegetazione incolta contrasta la geometria moderna dei palazzi. Un pullulare di avvolgibili e finestre; balconi sporgenti allineati, vetri, ringhiere; luce calda e fredda immobile e in movimento. Superfici lisce, taglienti, spigolose; polverose del passato e presente. Non capisco i macchiaioli e gli impressionisti con i quali sono nato e cresciuto; per questo serve tempo e distacco. Dunque dovevo ricominciare da dove non avevo lasciato: dal suo contrario. Poco importa se un lavoro è poco originale, conforme, non attuale. L’Arte è anche imitazione.
“[…] Egli è il puro pittore: per conseguenza. Nessuno meno schiavo di lui del soggetto e soprattutto del soggetto religioso. Ogni fatto diviene una festa una cerimonia o un banchetto. Perché? Per la necessità del colore che vuole candori di palazzi signorili, variare di marmi, di drappi di drappi e ancora di drappi. E come salvarsi dal bitume di Tiziano e di Tintoretto? E’ naturale: continuando il plein-air e sostituendo, nella superficie della tela, al predominio delle masse e dei campi scuri, quello dei campi chiari. La sua situazione è eternamente in bonaccia di celi torpidi e lattei di lenti meriggi d’agosto ed è intonazione di tale inesorabile unicità da ottundere tutte le tinte e tramarle come dietro una fitta griglia biancastra. Questo gli serve per distribuire con parsimonia e graduazione mirabili gli effetti delle tinte che cantano ad ogni angolo della tela con voce più o meno sommessa: il vero effetto sinfonico del colore.”( Roberto Longhi breve ma veridica storia della pittura italiana ed. BUR 1997)








